Un percorso kafkiano per la scuola / Per un pugno di CFU
Primo passo. la consapevolezza
Un giorno ti svegli, a 45 anni, e decidi che insegnare a scuola ti piacerebbe davvero, che pensi di avere molto da dare, di avere la passione e le competenze giuste, acquisite in anni di incontri, conferenze, lezioni, viaggi della memoria.
Così ho cominciato ad informarmi, scoprendo subito una cosa che forse per molti è ovvia, ma non per me: pur avendo ottenuto l'Abilitazione Scientifica Nazionale, che mi abilita appunto all'insegnamento universitario, non posso insegnare nella scuola pubblica secondaria. Per farlo, ovvero per entrare in una “classe di concorso”, devo sostenere alcuni esami integrativi. In sostanza il mio curriculum mi consentirebbe di insegnare solo Storia, che però non esiste come insegnamento singolo, e per insegnare Storia + 1 materia a scelta (tra Filosofia e Italiano), devo dare gli esami integrativi universitari delle altre materie. Più 24 Crediti Formativi (CFU) su argomenti pedagogici-didattici che dovrebbero servire a formare meglio l'insegnante.
La cosa sembra ragionevole. Per insegnare filosofia o italiano bisogna conoscere la materia. Ma per insegnare, è logico che si debba possedere una conoscenza di didattica e pedagogia. È vero che forse in questo ambito l'esperienza e le capacità intellettuali e empatiche servono molto di più dello studio teorico. Ma come fare esperienza se non si può insegnare con i titoli acquisiti in decenni di studi? Mentre cominciavo il percorso per gli esami integrativi ho consegnato un certo numero di MAD in decine di scuole della mia città. Si tratta della famosa “messa a disposizione”, l'ultimo gradino della lunga catena di “graduatorie”: dai sempre più rari docenti “di ruolo” (con tutti i diritti relativi a salute, contratti, pensioni), ai molti precari di diverso livello (comunque tutti supplenti, quindi con pochi diritti e mai uno stipendio annuale pieno), fino ai “consegnatori di MAD”, che vengono scelti per disperazione fra migliaia di domande quando tutti gli altri sono stati chiamati e ci sono ancora posti vacanti. Questo sistema di chiamate peraltro è molto lungo e complesso e dura nei fatti spesso fino a novembre, con il risultato che non solo molti potenziali docenti vengono assunti solo da novembre a giugno, ma anche gli allievi si trovano senza insegnanti per più mesi. Nel mondo delle MAD, a quanto pare, non serve avere titoli specifici per insegnare (si viene scelti direttamente dal preside grazie alla “autonomia scolastica”) ma è molto più facile essere chiamati a “coprire” il lavoro di sostegno, ovvero di aiuto scolastico per i disabili, un ruolo che necessiterebbe di competenze specifiche e che invece viene spesso ricoperto da persone totalmente inesperte, come in effetti sarei io.
Secondo passo. La scelta
Nel frattempo ho cominciato a capire dove sostenere gli esami integrativi, più i 24 CFU. Mi sono rivolto subito all'università pubblica della mia città, dove mi ero a suo tempo laureato, ma ho capito presto che: non è immediato capire come iscriversi, quanto si paga, quali corsi frequentare, come dare gli esami; ci sono enti che offrono lo stesso percorso a prezzi minori e con un iter burocratico infinitamente più semplice: io ho fatto l'iscrizione on-line in mezza giornata e pochi giorni dopo avevo già cominciato i corsi.
A differenza dell'università pubblica, questi enti privati, riconosciuti dal Ministero (MIUR), sono pensati proprio per sostenere specifici esami, non per un iter universitario completo; alcune università on-line offrono anche questa opportunità, ma è chiaro a tutti che la laurea on-line non è uguale a quella di altri atenei di prestigio. Si tratta in sostanza di una sorta di “indotto formativo” creato dalle recenti leggi che hanno modificato le classi di concorso e istituito l'obbligatorietà dei 24 CFU. L'ente che ho scelto io non è probabilmente né peggio né meglio di tanti altri, ma preferisco comunque non nominarlo, anche se ho già terminato il percorso, ottenendo i crediti formativi che mi servivano.
Terzo passo. I corsi
Una volta iscritto e pagato (nel mio caso un po' più di 1000 euro; 500 è il prezzo fisso per i 24 CFU), ho cominciato quelli che dovrebbero essere dei corsi universitari: in ogni caso superandoli si ottengono Crediti Formativi Universitari esattamente come con gli esami dell'università pubblica. Si tratta in sostanza di una serie di corsi composti da dispense da leggere on-line sulla piattaforma dell'ente, a cui si accede con una password che si ottiene solo dopo aver pagato l'iscrizione. Alla fine della lettura (comunque non obbligatoria) di ogni dispensa, bisogna superare un test. Sono domande puramente mnemoniche – date, numeri, definizioni concettuali preconfezionate – per cui è sufficiente cercare nella dispensa l'evento o la definizione richiesta e si risponde agevolmente anche senza averla letta in precedenza. Infine per ogni corso bisogna scrivere una tesina di tre pagine. Questa è apparentemente la fase più difficile, soprattutto per chi non ha mai dovuto scrivere molto nel corso dei suoi studi e dunque non lo fa con rapidità. Eppure anche qui c'è qualcosa di sospetto. Sono infatti precisissime le indicazioni tecniche sulla lunghezza del testo, il carattere da utilizzare, l'interlinea ma non c'è nessuna richiesta sui contenuti. In pratica si può scrivere qualunque cosa che abbia a che fare con il corso in oggetto, purché sia lungo almeno tre pagine. La sensazione è che, siccome non c'è alcun interesse per il contenuto, nessuno vada a leggere queste tesine: se va bene, ci si limita a controllare che siano effettivamente lunghe tre pagine. Esiste anche un colloquio finale, teoricamente incentrato su questi testi; almeno nel mio caso si è trattato semplicemente di riassumere a voce cosa avevo scritto e l'esame è durato poco più di 3 minuti, meno comunque di una qualsiasi interrogazione sostenuta in una scuola media.
In sostanza, esiste un mercato di CFU a pagamento con il minimo sforzo: con test a cui puoi rispondere senza leggere la dispensa (con cerca-trova nel file) e una tesina di tre pagine che nessuno legge hai ottenuto i CFU necessari. Il messaggio è chiaro: non serve studiare.
Quarto passo. Circolo vizioso
Per curiosità, per sincera volontà di imparare qualcosa che non sapevo o per ingenuità, mi sono letto tutti i corsi e ho scritto tesine magari semplici, ma cercando di ragionare su quel (poco) che avevo capito dalla lettura delle dispense. Ma come sono fatte queste dispense?
In generale sono testi scritti malissimo, in un italiano involuto e confuso, con frequenti errori di grammatica e di sintassi, composti da una sequenza disordinata concetti slegati fra loro. La sensazione è che si tratti di testi in lingua straniera mal tradotti, oppure copiati da vari testi, quindi con ripetizioni o con parti molto generiche e parti molto specifiche, e comunque curati da redattori alle prime armi, incapaci di scrivere e di cogliere l'ingenuità o l'incoerenza di molte frasi.
Come è possibile proporre a futuri (o attuali) insegnanti di Lettere (per quanto riguarda il corso che ho seguito io) un testo così pieno di errori proprio nella lingua che si dovrebbe insegnare? Questi autori, in definitiva, scrivono con la massima sciatteria (linguistica e contenutistica), sapendo benissimo che quasi nessuno li leggerà. Si innesca un circolo vizioso: sia chi scrive i corsi, sia chi scrive le tesine lo fa immaginando che nessuno legga ciò che viene scritto. “Professori” e “allievi” agiscono in sostanza nella stessa logica: fare più in fretta possibile, senza impiegare energie, ottenendo il risultato col minimo sforzo, riempiendo il numero di pagine che sono ritenute necessarie: i primi per un corso che venga approvato dal Ministero; i secondi per un esame che venga approvato dall'Ente approvato dal Ministero.
Vale la pena notare che questi corsi sono pensati per formare gli educatori dei nostri figli. Ovvero, grazie a questi corsi, realizzati in questo modo, potenziali docenti (di Lettere, nel mio caso) vengono autorizzati ad insegnare. Per essere più chiari, il messaggio che si dà a chi si iscrive a questi corsi per poter accedere alla carriera dell'insegnamento è il seguente: non importano i contenuti di ciò che insegni, l'unica cosa importante è far “sembrare” a chi c'è sopra di te che stai facendo ciò che è previsto (e farlo col minimo sforzo). Cosa insegneranno persone così formate ai nostri figli? A fingere di far bene? Ad assecondare il “superiore” col minimo sforzo ma sempre, rigorosamente, senza usare il cervello?
Quinto passo. Corto circuito
In questa situazione assurda può accadere (e credo spesso) che il “docente”, ovvero l'autore della dispensa, sia meno preparato dell'allievo, ovvero di solito un insegnante già attivo da anni. Nel mio caso da ricercatore e specialista negli studi storici, è stato straniante leggere il corso di Storia contemporanea. Se per le altre dispense posso solo notare la sciatteria linguistica e la superficialità dei contenuti, in questo ambito mi sono fatto un'idea chiara del livello e del messaggio che viene trasmesso e mi piacerebbe condividerne alcuni tratti.
Innanzitutto anche questa dispensa (di cui non è indicato l'autore) è piena di errori linguistici. Alcuni esempi: “La politica d’equilibrio aveva garantito una relativa pacificità”; “la capacità gheddafiana di ammansire le rivolte”; “rendendo famosamente omaggio” (la parola “famosamente” piace molto all'estensore visto che si trova almeno altre tre volte nel testo). La confusione sintattica e gli errori grammaticali rendono praticamente inutile la lettura del testo, ma a questi si aggiungono anche errori storici grossolani, talmente banali che sarebbero facilmente evitabili anche solo con una verifica on-line. Ne cito solo due per pietà, provenienti dalle prime pagine: gli italiani vengono sconfitti a Caporetto “nell’ottobre-novembre del 1918”, mentre con la rivoluzione d'Ottobre i bolscevichi “poterono rapidamente prendere il controllo di Mosca”. Sono sbagli veniali che magari verrebbero perdonati ad uno studente di quinta superiore; ma qui non si tratta nemmeno del testo di un professore, ma del testo di chi dovrebbe insegnare al professore. Oltretutto, a differenza dello studente alle prese con un saggio di storia, l'autore di questo corso avrebbe potuto prendersi tutto il tempo necessario per scrivere correttamente e controllare gli eventuali errori.
Non solo questo testo offre informazioni sbagliate in italiano scorretto, ma lo fa affastellando disordinatamente nomi e date senza nessuna logica, senza esprimere nessun concetto. Tutto il corso non è altro che un lungo elenco di nozioni, insopportabilmente noioso persino per chi ama la storia e, di fatto, impossibili da imparare, anche per il linguaggio incredibilmente involuto, a tratti davvero incomprensibile. Faccio un paio di esempi:
“Il controllo Democratico al Congresso (USA) fu in qualche modo favorito dal New Deal, dalla Grande Società e dallo Scandalo Watergate, ma negli anni 1980 e nei primi anni 1990 si è assistito ad un periodo di frammentazione di tale coalizione: la popolarità dei parlamentari democratici mascherava il crescente disincanto verso le capacità di governo del Congresso”.
Tra l'altro in nessuna altra parte del testo si parla del New Deal o dello scandalo Watergate: cosa dovrebbero imparare i docenti da questa frase?
Proviamo con un'altra:
“La guerra sarebbe però continuata con l’insorgere di movimenti fondamentalisti ebraico Hamas, che avviò una serie di atti terroristici ancora difficilmente controllati dal nuovo capo OLP, Abu Mazen (2006). Intanto l’Israele conservatore si richiudeva nell’intransigenza rispetto a una seconda Intifada”. In pratica una serie di parole messe in successione più o meno a caso, senza legame sintattico fra loro, cercando di far stare tutte insieme le cose che si dovrebbero conoscere del conflitto israelo-palestinese (tra cui che Hamas sarebbe un movimento “fondamentalista ebraico”).
Su alcuni temi poi emerge chiaramente una visione ideologica anti-comunista, anti-progressista e anticosmopolita. Nel paragrafetto “Problemi dell’urbanità multietnica” (già il titolo mi pare indicativo) si parla ad esempio, per l'inizio del Novecento, del “rapido migrare di diverse comunità etniche verso le città, con la conseguente nascita di tensioni di tipo nazionalistico”. C'era davvero bisogno di questa frase? È davvero necessario formare insegnanti (che dovranno educare future classi miste di ragazzi con provenienze etniche e nazionali globali) ad una visione anti-cosmopolita, che considera la migrazione un “problema” e il “nazionalismo” come la naturale risposta all'incontro tra culture diverse?
La visione antimodernista è così accentuata che ogni movimento progressista del Novecento viene liquidato in poche parole, e con brevissimi accenni alle repressioni subite nei paesi fascisti o nelle dittature di mezzo mondo. In compenso vengono inventati di sana pianta episodi violenti nella storia dell'URSS (come se ce ne fosse bisogno) per dare un'immagine ancora più negativa del comunismo sovietico: secondo questo corso, i bolscevichi avrebbero represso le rivolte “con i gas asfissianti”. Questo riferimento denota tutta la volontà mistificatrice dell'autore: i gas tossici non vengono nominati né quando si parla della Prima guerra mondiale (primo uso massiccio della storia e shock culturale per tutto il mondo), né in riferimento alla guerra d'Etiopia (dove l'esercito fascista ne fece largo uso, sebbene fossero da tempo proibiti dalle convenzioni internazionali) e viene dunque attribuito solo ed unicamente ai “cattivi” bolscevichi.
La parte sul fascismo poi, è talmente confusa e piena di errori (“Giacomo Matteotti, sequestrato e ucciso dalla Ceka”) che è come se non ci fosse. È incredibile la capacità di ignorare i principali crimini del regime (le decine di migliaia di morti prodotti in Libia, Etiopia, Jugoslavia), sminuire la repressione dell'antifascismo (“4569 condanne tra ‘27 e ‘43”, quando sono circa 200.000 gli antifascisti perseguitati in vario modo) e della lotta partigiana (“numerose stragi di antifascisti furono perpetrate in Emilia”, cioè solo in Emilia?), dando in compenso ampio spazio alle Foibe e alla “resa dei conti” a fine guerra: gli antifascisti “illegalmente si fecero vendetta, soprattutto nel triangolo Parma-Reggio Emilia-Modena”, mentre “in Francia venivano sterminati i collabos (collaborazionisti), giustiziati in circa diciassettemila”. In sostanza si evince che mentre i nazisti hanno commesso alcune stragi (ma solo in Emilia...) e i fascisti hanno processato pochissimi antifascisti (quattromila in vent'anni), i partigiani hanno invece “sterminato” “illegalmente” per “vendetta”. A questo punto mi chiedo: questo corso serve a formare insegnanti di un paese democratico nato dalla lotta di Resistenza (a cui hanno preso parte anche, anzi soprattutto, i comunisti, ahi ahi...) o educatori di uno stato filofascista che si ispira ai nobili ideali di patria etnicamente pura e di giusta repressione degli oppositori, come sembra credere l'autore di questo testo?
Sesto passo. Una nota di speranza?
Alla fine di quest'esperienza deprimente devo dire che mi consola sapere che quasi certamente nessuno leggerà questi testi.
Tuttavia allora mi chiedo: perché fare questi esami integrativi?
Quest'idea dei crediti formativi necessari per insegnare è davvero un'occasione mancata. È fondamentale dare una formazione disciplinare e didattica a chi si affaccia per la prima volta al mondo dell'insegnamento, uniformando le provenienze e con strategie di integrazione delle conoscenze. Tuttavia se l'offerta è questa (e nella stragrande maggioranza dei casi è così, se non peggiore), temo che si ottenga l'obiettivo opposto: invece di insegnare ai futuri docenti a educare correttamente, si insegna a non fare alcuno sforzo di comprensione, a “barare”, ingannare allievi e supervisori. Una selezione degli insegnanti su queste basi è assurda, se non pericolosa.
In sostanza non c'è alcuna selezione: chiunque, in grado di usare semplici funzioni informatiche come “copia-incolla” e “cerca-trova”, e con una spesa modesta (500-1000 euro a seconda delle esigenze), può risultare abile all'insegnamento. Ma se dunque questi corsi non insegnano niente di utile e non producono alcuna selezione, a che servono? Davvero non c'è modo di migliorarne il livello, di supervisionare seriamente queste pratiche e impedire le degenerazioni più evidenti?
La scuola è talmente importante che non si può pensare di ridurre la formazione degli insegnanti a un problema di validazione burocratica che viene sfruttata da enti formativi di dubbio valore. Forse non ci resta altro da fare che decretare il fallimento di questo tentativo ed evitare almeno di taglieggiare i futuri docenti con questa ulteriore “tassa d'ingresso”.