Come Piero consigliava e stroncava / Piero Sraffa. Ritratto del grande economista attraverso le lettere editoriali

6 Aprile 2018

Il libro. Einaudi ha pubblicato 97 lettere editoriali di Piero Sraffa: la gran parte spedite a Giulio Einaudi, le restanti a Raffaele Mattioli e altri intellettuali italiani. Le lettere vanno dal 1947 al 1975 e consentono di fare qualche passo in avanti per affrontare quello che Luigi Pasinetti ha chiamato l’“enigma Sraffa”.

 

Chi era Piero Sraffa alla fine degli anni Quaranta del Novecento. Come ricorda Tommaso Munari nell’introduzione, quando inizia la corrispondenza qui raccolta Sraffa aveva una fama leggendaria. Il mito era il frutto dell’intrecciarsi di esperienze personali e scientifiche uniche. Dell’opera di Sraffa sappiamo sempre di più grazie ai lavori di Nerio Naldi, Cristina Marcuzzo, Alessandro Roncaglia e altri, nonché alla disponibilità dei suoi archivi custoditi al Trinity  College di Cambridge.

Sraffa, nato nel 1898, si era laureato nel 1920 con Luigi Einaudi, con una tesi su “L’inflazione in Italia durante e dopo la guerra”. Nel 1919 aveva conosciuto Antonio Gramsci, che sarebbe diventato il suo più grande amico. Dal 1921 Sraffa aveva pubblicato articoli su “Ordine Nuovo”, la rivista di Gramsci, e su “Rivoluzione liberale”, la rivista di Piero Gobetti. Attraverso Gaetano Salvemini aveva conosciuto John Maynard Keynes, che gli caldeggiò due articoli sulla situazione delle banche italiane. Nel giugno del 1922 Sraffa pubblicò sull’“Economic Journal” “The Bank Crisis in Italy”, denunciando con asprezza le responsabilità del Governo nella crisi della Banca Italiana di Sconto. Nel dicembre dello stesso anno uscì “L’attuale situazione delle banche italiane” sul Manchester Journal. L’articolo era più innocente del precedente ma il testo in italiano ne favorì la segnalazione a Mussolini, da pochi mesi Capo del Governo. Mussolini inviò un telegramma al padre di Piero, Angelo Sraffa, rettore della Bocconi, intimandogli di far ritrattare l’articolo, giudicato “un atto di puro e semplice disfattismo nei confronti del settore bancario”. Il padre si rifiutò di esercitare pressioni sul figlio, rispondendo che Piero si era limitato a riassumere fatti. Seguito dalla polizia politica, Sraffa era diventato professore di Economia Politica in Italia. Nel 1925 pubblicò, negli Annali di economia, l’articolo “Sulle relazioni tra costo e quantità prodotta”. L’articolo fu apprezzato da Francis Ysidro Edgeworth, poliglotta condirettore con Keynes dell’“Economic Journal”; Sraffa fu invitato a produrre una versione inglese del paper, che fu pubblicato nel 1926 (“The Laws of Returns under Competitive Conditions”). I due contributi furono l’inizio della letteratura sulle forme di mercato diverse dalla concorrenza perfetta. Nel 1927 il clima di intimidazione politica in Italia contribuì a far accettare a Sraffa l’offerta di Keynes di diventare lecturer all’Università di Cambridge. 

La ricerca di Sraffa attaccava le fondamenta dell’impostazione di Alfred Marshall (1842-1924), l’economista il cui testo Principi di Economia, del 1890, era ancora il manuale di riferimento a Cambridge e in tutto il Regno Unito. La personalità di Sraffa si impose subito, così come il suo programma di ricerca, volto alla critica del paradigma di Marshall. È come se un giovane studioso straniero piombasse oggi all’Università di Bologna, invitato da colleghi italiani, con un programma di ricerca destinato a demolire i lavori di Umberto Eco. 

 

Sraffa manifestò una scarsa attitudine all’insegnamento. Dopo imbarazzanti rinvii delle lezioni, tenne corsi solo dal 1928 al 1931 (con l’eccezione di poche altre lezioni durante la guerra, nel 1941-1942). Resosi conto delle idiosincrasie dell’amico, in particolare del terrore di fronteggiare gli studenti, Keynes lo nominò bibliotecario della Marshall Library di Cambridge. Il nuovo lavoro permise a Sraffa di sviluppare la passione, condivisa con Keynes, di bibliofilo. Keynes ritrovò un testo del 1740, An Abstract of a Treatise of Human Nature, considerato una sintesi anonima del testo di David Hume. Furono Keynes e Sraffa ad attribuire allo stesso Hume il volume, ripubblicandolo nel 1938, con una loro introduzione.

Sin dai primi anni Trenta Sraffa si dedicò all’edizione critica delle opere di David Ricardo, commissionatagli dalla Royal Economic Society su iniziativa dell’impagabile Keynes. Il primo volume, con un’introduzione destinata ad avere una forte influenza sulle interpretazioni successive del pensiero di Ricardo, sarebbe apparso nel 1951. Luigi Einaudi, un economista dalle idee diametralmente opposte a quelle di Sraffa, avrebbe salutato l’opera con una recensione intitolata “Dalla leggenda al monumento”. La consacrazione di Sraffa sarebbe avvenuta nel 1961, con l’attribuzione della medaglia Söderström della Royal Swedish Academy of Sciences, un premio che anticipava il premio Nobel per l’economia, introdotto solo nel 1969. La medaglia gli fu attribuita per l’edizione di Ricardo. 

Alla fine degli anni Quaranta del Novecento Sraffa era il più importante economista italiano al mondo. Ma era anche uno studioso caratterizzato da un forte impegno politico e dalle discussioni, spesso ambigue e irrisolte, con personalità tanto diverse come Antonio Gramsci, Ludwig Wittengstein, John Maynard Keynes, Arthur Cecil Pigou, Richard Kahn, Joan Robinson, Nicholas Kaldor, Michael Kalecki.

 

Il mistero Sraffa. In tutta la sua vita Sraffa ha pubblicato 250 pagine di articoli, più le 120 pagine del libro Produzione di merci a mezzo di merci, uscito nel 1960. Amartya Sen ha scritto, con ironia ma verosimiglianza, che Sraffa considerava immorale scrivere più di una pagina al mese. Luigi Einaudi ha parlato della “misurata rarità” delle scritture di Sraffa. Nel 1927, in una lettera alla moglie, Lydia Lopokova, Keynes scriveva “Sabato ho avuto una lunga discussione con Sraffa sul suo lavoro. È molto interessante e originale ma mi chiedo se i suoi studenti lo capiranno a lezione”. Nel 1932 Richard Kahn gli scrisse “Piero, tu sei un assoluto messaggio cifrato per il mondo esterno”. Ludwig Wittengestein, che ha avuto un’amicizia prolungata con Sraffa, gli ha attribuito un ruolo decisivo nel passaggio dal Tractatus logicus philosophicus (1921) alle Ricerche filosofiche (1953), aggiungendo che dopo le conversazioni con lui si sentiva come “un albero al quale fossero stati tagliati tutti i rami”. Ma quando Amartya Sen gli chiese quali fossero i contenuti delle conversazioni con Wittengestein, Sraffa rispose che si trattava di cose “piuttosto ovvie” (per la cronaca: Sraffa nel 1946 decise di non avere più discussioni con Wittengstein; la corrispondenza tra i due è spesso di una durezza disturbante). Cristina Marcuzzo ha parlato della figura elusiva di Sraffa; ha sottolineato come non si sia mai identificato con un’istituzione (non fu mai iscritto a un partito politico), non abbia mai sopportato l’idea di concorrere per riconoscimenti accademici (fu nominato reader solo nel 1964, due anni prima del pensionamento); ha sostenuto che l’isolamento di Sraffa potrebbe essere derivato, oltre che dagli impulsi personali, dalla congerie dei suoi interessi e dallo smodato amore per il collezionismo librario: Sraffa ha lasciato al Trinity College di Cambridge una biblioteca di quasi 8.000 volumi. 

Altri hanno sostenuto che l’assoluta riservatezza di Sraffa, la sua prudenza nell’esprimere posizioni in pubblico siano da attribuire all’essere stato seguito da anni dall’OVRA e dalla polizia inglese. Ancora nel 1951 una segnalazione della polizia italiana parla di Sraffa come “sospettato di essere un delegato clandestino del P.C.I.”.     

Le lettere editoriali aiutano a ricostruire alcuni tasselli del puzzle Sraffa.

 

Di che cosa parlano le lettere. Le lettere riguardano quattro progetti: la traduzione in inglese delle Lettere dal carcere di Antonio Gramsci; la collaborazione di Sraffa con la casa editrice Einaudi; le vicende della pubblicazione di Produzione di merci a mezzo di merci; l’ipotesi di traduzione in italiano degli 11 volumi delle opere di Ricardo.

 

 

I tentativi di far tradurre Gramsci in inglese. Anche dopo il trasferimento in Inghilterra, Sraffa non dimenticò mai Antonio Gramsci. Sul rapporto tra i due, come scrive Munari, conosciamo ormai tutto. Molte lettere scritte a Giulio Einaudi raccontano dei tentativi di trovare un editore inglese disposto a pubblicare le Lettere dal carcere. Il libro aveva vinto nel 1947 il premio Viareggio, sconfiggendo il favorito Alberto Moravia, in concorso con La romana

L’impresa della traduzione in inglese si risolse in un fallimento (le lettere di Gramsci sarebbero apparse in inglese solo nel 1974, su una rivista). Sraffa contattò sei editori, ottenendo rifiuti. Con il passare degli anni Sraffa si rese conto che nel Regno Unito c’era uno scarso interesse per la figura di Gramsci. Questa consapevolezza lo rattristò. Ci sono scatti di rabbia che aiutano a confermare la sua visione del mondo. A un certo punto, quando la traduzione delle Lettere dal carcere sembrava cosa fatta, Giulio Einaudi propose Benedetto Croce come autore della prefazione per il lettore inglese. Croce, infatti, aveva apprezzato le Lettere dal carcere in una recensione del luglio del 1947. Ma Sraffa tuonò contro l’ipotesi, tagliando corto che sarebbe stato come chiedere una prefazione di Gramsci a Churchill. 

 

I consigli a Giulio Einaudi e le stroncature. La visione del mondo di Sraffa emerge guardando ai titoli consigliati a Giulio Einaudi per la traduzione in italiano. Ecco una lista incompleta: Engels, Anti-During; Rosa Luxemburg, Accumulazione del Capitale; Hilferding, Capitale finanziario; Hobson, Imperialism; Sidney e Beatrice Webb, Soviet Communism: A New Civilitization?; Christopher Hill, Lenin and the Russian Revolution; Francis Klingender, Art and the Industrial Revolution; Alexander Baykov, Lo sviluppo del sistema economico sovietico; R. Schlesinger Soviet Ideology; Rothstein, Man and Plan in Soviet Economy.

Giulio Einaudi seguì molti dei consigli di Sraffa, non tutti. Einaudi aveva una visione diversa, condivisa anche da Antonio Giolitti, allora collaboratore della casa editrice e interlocutore dello stesso Sraffa nell’ideazione della collana “Classici dell’economia”. L’Italia era uscita dalla dittatura; bisognava formare una nuova classe dirigente, un nuovo pubblico, esercitando un’egemonia culturale, in concorrenza con altri circoli intellettuali italiani. Per raggiungere questi obiettivi Giulio Einaudi e Giolitti pensavano che accanto ai testi marxisti bisognasse pubblicare lavori di diverso orientamento. Sraffa era invece inflessibile. Nel Regno Unito liberali e conservatori propinavano libri e forme di divulgazione dove non c’era spazio per Marx e il marxismo. Bisognava quindi rispondere con scelte altrettanto unilaterali.  

Ecco allora le stroncature di Sraffa: Werner Stark è un “imbecille oltre che un convertito al cattolicesimo”; Ludvig von Mises è un “reazionario antidiluviano”; Friedrich von Hayek è un “ultrareazionario”; un libro di Georges Bataille è di “scarsissimo valore”; Giovanni Demaria è fra gli economisti italiani “uno dei meno reazionari – non che sia un grande elogio”. 

La polemica più ricorrente è quella con Hayek (che avrebbe ricevuto il premio Nobel nel 1974). Ciò avveniva per due motivi. Hayek era l’autore di Road to Serfdom (1944), un grande successo editoriale che denunciava il pericolo del dirigismo economico, non solo in Russia ma anche nei paesi di economia liberale: possiamo immaginare che cosa Sraffa pensasse del libro. Ma soprattutto non si era mai sopita una polemica tra Hayek e Sraffa avvenuta nel 1931-1932, centrata sulla natura del tasso di interesse e sulle caratteristiche di un’economia monetaria (temi sui quali la discussione economica è sempre aperta). Hayek aveva criticato il Trattato della moneta di Keynes. Sraffa era intervenuto dicendo che la critica era sbagliata. Hayek aveva replicato che Sraffa non aveva capito né la sua critica né Keynes. Sraffa aveva controreplicato. Keynes aveva chiuso la polemica dicendo a Hayek che l’interpretazione di Sraffa del suo pensiero era giusta e che lui non aveva nulla da aggiungere. Va detto, di passaggio, che Hayek ha scatenato giudizi estremi da parte di altri studiosi. Oskar  Morgenstern, uno dei padri della teoria dei giochi, ha annotato nel suo diario del 2 novembre 1935 “Wald is really clever. I regard these works as very significant. They shed new light on the application of mathematics in economics…  — Hayek, by the way, is a dullard”.

 

Il rapporto con Giulio Einaudi è corretto ma pieno di rimproveri, da vecchio zio che si rivolge a un giovane nipote un po’ scapestrato. Sraffa rimprovera Einaudi di aver sbagliato indirizzo in una lettera spedita a Cambridge, non aggiungendo United Kingdom e causando così l’arrivo della lettera a Cambridge nel Massachussets. In un’altra occasione Einaudi ha scritto sulla busta solo Trinity College, e Sraffa lo rimbrotta perché la lettera è arrivata al Trinity College di Dublino. Arriva poi a rimproverarlo per il cattivo inglese (9 dicembre del 1949); e poi a rinfacciagli ritardi nelle risposte alle lettere. Einaudi confonde due edizioni di un libro e Sraffa gli dice “Un’altra volta spiegati meglio” (27 novembre 1972). Anche Gaia Servadio, che ha scritto il più bel ritratto intimo di Sraffa, ha ricordato gli improperi che le arrivarono dopo avergli scritto una lettera al Trinity College, dimenticando, sulla busta, una effe del cognome.

Giulio Einaudi non reagì mai alle invettive, considerando Sraffa un punto di riferimento per la casa editrice e trattandolo con il rispetto dovuto a un Maestro di 14 anni più anziano. Le lettere confermano l’idiosincrasia di Sraffa ad assumere qualsiasi incarico: rifiutò infatti la proposta di dirigere la collana dei “Classici dell’economia”. A onor del vero, con il passare degli anni i consigli di traduzione di Sraffa diventarono più diversificati; tra i filosofi suggerì Wittengstein; tra gli economisti arrivarono Hicks, Klein, Kaldor e altri. 

Pensare i libri. Pubblicare i libri migliori. Pubblicarli senza errori, con una veste tipografica perfetta. Curare i minimi particolari, le note a piè di pagina, le appendici, gli spazi tra i paragrafi, gli spazi tra le lettere delle parole che compongono i titoli. Su questo terreno tra Giulio Einaudi e Sraffa c’era unità d’intenti. Ma il secondo sfiorava la malattia. Un errore di stampa o la dimenticanza di un nome in un indice analitico sono per Sraffa crimini ingiustificabili.

La passione per i libri è assoluta e attraversa tutte le lettere. Nell’aprile del 1948 Sraffa incontra a Roma Luigi Einaudi che gli chiede l’acquisto di alcuni libri inglesi. Nel maggio del 1948 Einaudi diventa Presidente della Repubblica. A fine mese Sraffa chiede a Giulio a quale indirizzo inviare i libri comprati per il padre, chiedendogli se nella nuova situazione “abbia ancora voglia e tempo per queste cose”. Sraffa ha paura che i libri finiscano “nella caserma dei Corazzieri”. Con tenerezza Giulio Einaudi risponde che i libri possono essere mandati all’indirizzo del Quirinale e che “non ci siano né segreterie né corazzieri che tengano”. Ed è tragicomico osservare che chi comprava libri inglesi per il Presidente della Repubblica era contemporaneamente sotto osservazione da parte della polizia.

 

La nascita di Produzione di merci a mezzo di merci. Come ricordato, l’unico libro di Sraffa è Produzione di merci a mezzo di merci, pubblicato contemporaneamente da Cambridge University Press e da Einaudi nel 1960. Nella prefazione Sraffa scrisse che la stesura delle tesi fondamentali risaliva alla fine degli anni Venti, ringraziando, tra gli altri, Frank Ramsey, un geniale matematico scomparso nel 1930. La maturazione più che trentennale del libro è stata poi confermata da diversi studiosi. 

Una lettera dell’11 febbraio 1955 a Raffaele Mattioli ribadisce l’incredibile gestazione del libro. Sraffa scrive di essere impegnato nel ruolo dell’auto-esecutore letterario, portandosi dietro circa 20 chili di note scritte in circa trenta anni e abbandonate del tutto quando si era messo a lavorare sul serio a Ricardo. Il 7 dicembre del 1955 racconta a Mattioli che gli è venuta in mente un’idea che cercava da trent’anni. Il 1° agosto del 1957 scrive di aver pianto – e non gli accadeva dal funerale della madre – perché un economista inglese ha pubblicato un articolo “che anticipa una parte importante del mio lavoro”. Le lettere a Mattioli sono più affettuose di quelle scritte a Einaudi. Sraffa era molto legato al banchiere bibliofilo che nel 1937, dopo la morte di Gramsci, aveva salvato i Quaderni del carcere nascondendoli nella cassaforte della Banca Commerciale Italiana. 

 

Per la stampa di Produzione di merci a mezzo di merci, Sraffa ottiene da Giulio Einaudi il diritto di poter interloquire direttamente con la tipografia della casa editrice. Ordina che la composizione sia a monotype (o comunque a caratteri mobili) e non a lynotype (13 gennaio 1960). Scrive al tipografo soffermandosi sulla visibilità dei numeri dei paragrafi, delle testate di pagina, dei titoli dei capitoli, delle virgolette. È insoddisfatto del risultato finale, ma si rassegna, protestando anche contro la fascetta del libro. Segue il lancio del volume, dominato dalla maniacalità. Sraffa ordina a Einaudi di stamparne 1.500 copie; impone il prezzo non superiore alle 1.000 lire; si riserva la proprietà letteraria e i diritti esteri, nonché “la facoltà di ritirare l’edizione in qualunque momento, comprando il rimanente stock a prezzo di costo”. 

Mattioli aiutò Sraffa nella stesura italiana di “Produzione di merci a mezzo di merci”, incontrandolo con regolarità a Milano e facendo da tramite per i rapporti con i primi lettori e recensori. Le lettere confermano che Sraffa mantenne sempre un legame con l’Italia, dove tornò periodicamente fino ai primi anni Settanta. Fu, ad esempio, membro delle commissioni per l’assegnazione delle borse di studio “Bonaldo Stringher” della Banca d’Italia. 

 

Come naufragò il progetto di tradurre in italiane le opere di Ricardo. Sraffa aveva raggiunto un accordo con la casa editrice Il Saggiatore per una traduzione in italiano delle Opere di Ricardo. Ma l’editore italiano non si era più fatto vivo. Dopo l’uscita dell’ultimo volume nel 1972, iniziò una cavillosa corrispondenza per cercare di arrivare a una traduzione con Einaudi. Il progetto naufragò. Sraffa era sulla linea del “tutto o niente”, respingendo l’ipotesi di una selezione del materiale dei volumi di Ricardo per l’uscita in italiano. Ma un’altra causa importante fu il peggioramento delle condizioni di salute. Negli ultimi anni di vita Sraffa perse progressivamente le facoltà mentali. Si spense a Cambridge il 3 settembre del 1983. Un amico presente al funerale ricorda che alla funzione funebre parteciparono una decina di persone.

 

Il puzzle Sraffa. Settario; intollerante; perfezionista; puntiglioso; coltissimo; abituato alla solitudine e restio a farsi coinvolgere in qualsiasi iniziativa pubblica, un po’ come il Gadda del “Per favore, mi lasci nell’ombra”; indisponibile a parlare di fronte a grandi udienze; propenso a condurre l’understatement inglese alla soglia estrema dell’autocensura; oscillante tra insicurezza, da un lato, e assoluto estremismo, dall’altro; collezionista di libri, filologo e tipografo insuperabile; indifferente a ogni forma di potere e di ricerca del successo, come ha ricordato Sergio Steve; generosissimo e disinteressato con gli amici. Forse, come ha detto Eraclito, “il carattere di un uomo è il suo destino”.

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