Gianni Sassi in prospettiva

10 Ottobre 2023

A voler raccontare chi era Gianni Sassi, soprattutto a chi non lo ha mai sentito nominare, non si sa bene da che punto partire. Fondatore della Cramps Records, cioè di quella che in molti considerano, a torto o a ragione, la prima etichetta indipendente italiana; editore e art director illuminato, fra le altre cose di “Alfabeta”, una delle riviste più importanti degli ultimi cinquant’anni; ideatore di un festival unico e irripetibile, cioè Milano Poesia, che fra 1984 e 1992 ha portato a Milano decine di artisti e intellettuali.

Ma questi sono solo i fatti più noti all’interno di un percorso che inizia nel 1963, quando Sassi fonda a Milano, con Sergio Albergoni, lo studio pubblicitario Al.Sa, e termina nel 1993, quando muore a soli cinquantacinque anni. Fra questi estremi, una serie di progetti uno più straordinario dell’altro: come Pollution (siamo nel 1972), una sorta di happening “per una nuova estetica dell’inquinamento” che consiste nella pavimentazione ‘artistica’ del centro storico di Bologna, in una serie di installazioni e in un concerto-performance di Franco Battiato – lo stesso Battiato che Sassi si può dire abbia inventato, anzitutto spiattellandolo su manifesti pubblicitari sparsi per tutta Milano, truccato da zombie e seduto su un divano Busnelli.

O come “La Gola”, mensile “del cibo e delle tecniche di vita materiale” che esce in edicola nel 1982 e fra le cui pagine si intrecciano cucina, arte e storia della cultura. E poi ci sono gli house organ trasformati in riviste d’arte, i manifesti e le riviste con la casa editrice ED.912, ma anche i legami con gli artisti Fluxus, il concerto di John Cage al Teatro Lirico nel 1977, una serie di pubblicità all’insegna della provocazione e addirittura un’ipotesi di film ‘cancellato’ ideato da Emilio Isgrò e interpretato, si fa per dire, da Paola Pitagora. E si potrebbe andare avanti ancora e ancora. Si ha davvero l’impressione di non finire più quando si inizia a ricordare ciò che Sassi ha realizzato. Anche se forse, più che realizzato, sarebbe meglio dire che ha orchestrato.

Perché – e questo è un primo aspetto che consente di leggere in senso unitario la sua carriera – il nome di Sassi non campeggia su copertine, manifesti o cataloghi. A sua firma non c’è quasi nulla. E a ciò si aggiunge il fatto, testimoniato da molti, che di musica capiva poco o niente, che la grafica non l’aveva studiata e che non era quello che si dice un lettore ‘forte’. Il punto è che Sassi ha sempre saputo creare gruppi di lavoro (oggi diremmo ‘team di creativi’) composti da personalità capaci di ragionare fuori dagli schemi, da Gianni-Emilio Simonetti ad Antonio Porta, da Walter Marchetti a fotografi come Roberto Masotti, Fabio Emilio Simion e Fabrizio Garghetti. Senza contare tutti coloro che hanno lavorato per dare concretezza a idee e progetti, da Monica Palla, sua storica collaboratrice, ad Aldo Colonetti, Carlo Formenti, Bruno Trombetti, Mario Giusti e a molti altri. Si chiamava non per caso Cooperativa Intrapresa la società che Sassi fondò a fine anni Settanta e con la quale diede vita a riviste, rassegne e convegni. Dove l’idea era appunto quella del fare insieme, anche quando l’“insieme” non doveva essere affatto semplice da gestire. Che a una riunione di “Alfabeta” sedessero allo stesso tavolo Umberto Eco e Nanni Balestrini, Maria Corti e Paolo Volponi, cioè intellettuali di sinistra tanto diversi fra loro, è qualcosa che ancora oggi è difficile immaginare.

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La redazione di Alfabeta al (quasi) completo.

Insomma, Sassi è stato quello che si dice un “agitatore culturale”, capace di innescare sinergie virtuose ma anche di fare un passo indietro, di scomparire, in un certo senso, dietro alle idee a cui dava vita. E la cosa può stupire, oggi che a tutti piace definirsi ‘autori’ ed esibire ogni minimo dettaglio delle proprie vite.

Ma c’è un altro aspetto che attraversa tutta la carriera di Sassi. Si tratta della scelta, e della capacità, di non ragionare per compartimenti stagni, ovvero di pensare al ‘prodotto’ come a una sorta di contenitore aperto, in grado di accogliere suggestioni provenienti da ambiti diversi. Se per esempio si prende in mano uno qualsiasi dei dischi Cramps, ci si trova di fronte a un oggetto in cui l’elemento grafico – e fotografico – ha un’importanza decisiva. Sfogliando le riviste a cui Sassi lavorò, ci si può accorgere di come le immagini portino avanti un discorso in sé coerente, a volte parallelo altre in contrasto con quello che si realizza a livello verbale. E del resto si sa (lo ha spiegato bene Valerio Mattioli in Superonda) che gli Area non furono solo un gruppo musicale quanto piuttosto un progetto costruito a tavolino, con Sassi e Albergoni che scrivevano i testi, fornivano le dritte ideologiche giuste e si occupavano degli aspetti di marketing.

Il tutto, sempre, con uno stile riconoscibilissimo, che di fatto non cambia mai nell’arco di trent’anni. Il carattere Times che campeggia sui manifesti di Milano Poesia è lo stesso utilizzato anni prima in riviste di ultranicchia; le polaroid presenti nelle pubblicità détournate dei modellini Polistil si trovano anche sulle copertine dei dischi Cramps; e certe ossessioni – come quella per l’immagine di Frankenstein – Sassi se le porta dietro fino alla fine. Cambiare sempre restando se stessi, muoversi su più fronti per non fossilizzarsi mai. Che al tempo dell’iper-specialismo è qualcosa di inconcepibile.

Così come è inconcepibile ciò che per Sassi era del tutto naturale, vale a dire tenere un piede nel mercato e l’altro in quello delle controculture. Vivere di pubblicità e frequentare il mondo dell’arte concettuale, ovvero cortocircuitare prodotti di consumo e retoriche dell’avanguardia; simpatizzare con i situazionisti e insieme a loro collaborare con grandi gruppi industriali; ma anche pubblicare dischi per il largo pubblico del rock e lavori destinati a nicchie microscopiche. Quanti sono i gradi di separazione fra un disco di Eugenio Finardi e Musica su schemi del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza? E il giovanilismo para-punk immortalato nei quaranta minuti scarsi di Rock ’80 cosa ha a che fare con i sette vinili di Futura: Poesia Sonora o con un capolavoro minimalista come Prati bagnati del Monte Analogo di Francesco Messina e Raul Lovisoni?

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Pubblicità della collana nova musicha della Cramps.

Dopo Sassi, io credo, nessuno è stato più in grado di portare avanti coerentemente questo genere di discorso. Sfido oggi a trovare un poeta, un musicista, più in generale un’artista di ricerca, tale o sedicente, che non guardi con sussiego, quando non con aperto disprezzo, ciò che ‘vende’; e viceversa, quale artista sta orgogliosamente dentro al mercato senza tenersi lontano da ciò che è ai margini – posto che sappia che quei margini esistono?

Non che la cosa sia stata sempre vista positivamente, anzi. Gli equilibrismi di Sassi fra arte e mercato sono stati spesso criticati. In I padroni della musica, un pamphlet pubblicato da Stampa Alternativa e oggi facilmente reperibile in rete, gli anonimi estensori si scagliavano senza mezzi termini contro Sassi, accusandolo di essere colluso con i ‘grandi’ dell’industria discografica e quindi di tradire le ragioni di una cultura che si immaginava ancora capace di opporsi al sistema. E accuse del genere sono state mosse anche in anni successivi. Accuse magari legittime, ma che è probabile non cogliessero il punto: e cioè che la sfida di Sassi è sempre stata quella di fare cultura dentro al mercato, accettando i vincoli e le contraddizioni che la scelta portava con sé, forse anche esasperando questo stato di cose. In Assalto a un tempo devastato e vile Giuseppe Genna ricorda di aver partecipato al funerale di Sassi, funerale che venne finanziato tramite una colletta dei presenti. E amici e conoscenti testimoniano che le cose sono andate per davvero così. Si potrebbe leggere nell’episodio il gesto ultimo del situazionista, o al contrario ricamarci sopra l’immagine romantica e improbabile dell’imprenditore in perdita, che sacrifica tutti i suoi guadagni in nome di valori più alti. Ma il fatto, forse, è soprattutto che Sassi non poteva evitare di rimettersi sempre in discussione, cioè di mettere in piedi nuovi progetti, con tutti i rischi che ciò comporta.

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Gianni Sassi ai fornelli con John Cage.

Detto questo, cosa rimane oggi di Sassi, della sua figura, delle sue idee? Pochissimo, si direbbe. Qualcosa sopravvive nelle testimonianze di chi lo ha conosciuto; testimonianze che ci arrivano grazie a lavori come Gianni Sassi, la Cramps & altri racconti di Giordano Casiraghi, pubblicato pochi mesi fa da Arcana, o Gianni Sassi, l’occhio, l’orecchio, la gola, un docufilm di Stefano Piantini e Roberto Manfredi. Nel marzo di quest’anno il Comune di Milano gli ha anche intitolato una passeggiata, che incrocia quella dedicata a Demetrio Stratos, uno degli artisti a cui fu più legato. Ma al di là di questo non sembra rimanere molto altro. Nessuno dei progetti a cui Sassi lavorò gli è sopravvissuto. Non esiste nulla di simile a un archivio che conservi i suoi lavori – dubito peraltro che l’idea gli sarebbe piaciuta. Negli spazi in cui aveva sede la Intrapresa, cioè nel quartiere di Calvairate, dove Sassi – vero e proprio arcimilanese – visse e operò per quasi tutta la sua vita, oggi c’è un centro massaggi. Al posto del mitico Lucky Bar, dove quotidianamente si ritrovava con artisti e amici, c’è un negozio di arredamento per la casa. E si potrebbe continuare così, confrontando ciò che allora c’era e oggi è scomparso. Ma significherebbe insistere in un’operazione nostalgica, che rischia di inchiodare Sassi a un’epoca che non c’è più e di restituirne immagini stereotipate. Quella del genio del marketing culturale, o quella, per chi lo ha conosciuto, del compagno talentuosissimo, l’amico geniale che se ne è andato troppo presto – “uno di noi”, come recitava il titolo di una mostra che la Fondazione Mudima dell’amico e sodale Gino Di Maggio gli ha dedicato nel 2016.

È probabile però che ci sia un altro modo di vedere le cose, e quindi anche di rispondere alla domanda che ponevo poco fa. Forse, a trent’anni dalla morte vale la pena sforzarsi di tenere a bada ogni tentazione nostalgica per provare a mettere Gianni Sassi in prospettiva. Che significa sì inquadrarlo nel suo tempo, e nei suoi spazi, anche a partire dai ricordi che nel tempo si sono accumulati. Ma significa anche ragionare sulla possibilità che oltre ai moltissimi lavori che ci ha lasciato qualcos’altro sia rimasto. Qualcosa di meno tangibile – un modo diverso di fare cultura? – che magari ha aperto strade, fornito un esempio, mosso idee. E che forse può ancora essere uno stimolo a progettare, cioè a riflettere criticamente sul presente.

Di Gianni Sassi e della sua eredità culturale si parlerà il 12 e 13 ottobre 2023 nel corso di Gianni Sassi fuorigabbia. Comunicazione visiva, editoria, letteratura, musica, un evento organizzato da un gruppo di docenti dell’Università IULM con il patrocinio del Municipio 4 del Comune di Milano, di AIAP – Associazione italiana design della comunicazione visiva, e la collaborazione del Sistema Bibliotecario Milanese e della Fondazione Mudima. A questo link tutte le informazioni sul programma dell'iniziativa. 

In copertinaBattiato per Busnelli, 1971.

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