Giovanni Muzzarelli / Italia mia, il tuo sì lungo pianto

25 Luglio 2011

Giovanni Muzzarelli, poeta rinascimentale, a causa della sua morte tragica (venne assassinato a trent’anni, in circostanze misteriose, nella rocca malatestiana di Mondaino, di cui era governatore) è noto più per le leggende fiorite sulla sua vicenda che non per i suoi meriti letterari. Tuttavia vale la pena ricordarlo anche per questa dolente canzone sulla sorte dell’Italia.

 

 

 

Italia mia, il tuo sì lungo pianto,

coi sospir molti e gravi,

racqueta omai, poi che ‘l secondo Giove,

cui son del ciel commesse ambe le chiavi

con l’onorato manto,

perché ristauro a’tuoi danni ritruove,

e per te stessa prove

quant’era ogn’altro d’onor tal men degno,

lieto ti porge l’una e l’altra mano.

E perché incerto e vano

infino ad or tornato è ogni disegno,

a lui senza altro ingegno

pòi ritentar umìle

scoprir le tue profonde indegne piaghe,

sì che, cangiando stile,

risaldi ogni tuo vizio, e ‘l danno appaghe.

 

I duri oltraggi e tanto l’altrui ferro

tinger col proprio sangue

puoi obliar, e quel comun disnore

per cui molti anni ogni buon’opra langue,

perciò che, s’io non erro,

pieno gran tempo d’un bel sdegno il core,

il saggio almo pastore

la notte e ‘l giorno a sollevarti intende.

Però con quel vigor ch’anco ti resta,

così dogliosa e mesta,

poscia che di tal man soccorso attendi,

prendi partito, prendi,

e ogni contraria voglia,

onde al ciel non potean giunger tuoi prieghi,

in un voler s’accoglia,

tal che il gran padre al tuo chiamar si pieghi.

 

Perché dal dì chi a mille altre ruine

lascia aperta la strada,

quando il popol roman fece Alarico

Affliger con la fame e con la spada,

mai sentenze divine,

per farti il mondo d’ogni parte amico,

cangiando l’odio antico

ne la tanti anni sospirata pace,

non ti dieder più saggio ed umil padre;

il qual, senza altre squadre

che de’santi costumi onde al ciel piace,

u’‘l mal sente vivace,

ch’occupato ha ogni luogo,

va disperdendo con mirabil cura,

perché da l’aspro giogo

possa il collo ritrar lieta e sicura.

 

Dunque, sian l’acque de’ correnti fiumi,

già sì vermigli e lenti,

dolce cristallo; il suo pregio natio

rivestan le campagne, sì che, spenti

i fier primi costumi,

sol tenga il mondo di valor desio;

e di rubesto in pio

si muti ogni voler, e d’ogni intorno

sudi di mèl,come gia il secol d’oro,

ogni dorato alloro;

e dal già tanto desïato corno,

di gentil copia adorno,

sì vaga primavera,

sì dolce autón, sì largo onor trabocchi,

che poi, com’altri spera,

incontro ogni sventura indarno scocchi.

 

Quinci tanta dolcezza si distilli,

che gli animi sì crudi,

cui lungo odio civil cotanto gira,

tosto sian giunti, d’impietate ignudi,

al loco onde partilli

gran tempo ingiusto sdegno od altrui ira;

ché già di Cipro spira

l’alta regina, e move dal bel seno

un sì caldo piacer e sì dolce aura,

che ‘l mondo tutto inaura

e di soave amor cuopre il terreno,

a’più protervi il freno

stringendo, sì ch’omai

la strada d’ogni onor si trovi aperta,

e dopo tanti lai

in dolce pace ogn’odio si converta.

 

Signor, i’parlo a voi, poi che presente

in ciascun loco sete,

empiendo ogn’or di vostra alta virtute

quanto il sol scalda, e ‘l ciel, come vedete,

d’alzarvi non si pente,

perché ferma da voi certa salute

aspetta, e che si mute

il suo stato sì oscuro e sì doglioso

Italia, che la sua fosca ed amara

voce tanto rischiara

al vostro onor, ed al suo mal riposo

promette alto e gioioso,

più che l’usato lieta.

Dunque aprasi il camin, che tanto serra

Marte superbo e vieta,

e segua pace eterna omai la guerra.

 

Ch’altri lauri Babel e chiunque alberga

fra il Nilo e l’Eüfrate

tesse, per adornarvi ogn’or la chioma;

di che tanto vi stringa alta pietate,

che da vendetta s’erga

de le sue gravi offese e molte Roma

e chi da voi si noma,

sì che cometta a più lodati inchiostri

nuovi trionfi e poetando scriva

ciascuno, e con più viva

vena, dopo mill’anni altrui dimostri

in parte gli onor vostri,

e di cotanta gloria

si dia materia sempre a nuovi versi,

e sian di voi memoria

Turchi, Medi, Caldei, Tartari e Persi.

 

Se ‘l tuo poco ornamento,

Canzon, non ti togliesse il gir in parte

ov’è chi Italia e tutto il mondo onora,

direi che, uscendo fuora,

il Vatican cercassi a parte a parte,

pregando che di Marte

l’alto furor s’estingua,

sì che si svegli, onde movesi solo

ogni più chiara lingua,

ornando il nome ch’io celebro e colo.

 

 

Edizione di riferimento: Giovanni Muzzarelli,Rime, a c. di G. Hannuss Palazzini, Arcari, Mantova 1983 

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