A Venezia la mostra dedicata al grande fotografo / I nudi iperrealisti di Helmut Newton

4 Aprile 2016

È una delle più famose fotografie di Helmut Newton. Non a caso l’invito della mostra, che si apre oggi a Venezia (Helmut Newton. Fotografie. White Women Sleepless Nights Big Nudes, Tre Oci), lo presenta come un emblema del suo lavoro. S’intitola: Autoritratto con la moglie June e le modelle. Lo scatto è del 1980. Si vede la modella di schiena, le sue natiche in primo piano, il braccio e la mano appoggiata ai fianchi, mentre l’intero corpo nudo si riflette nello specchio al centro della foto: un’immagine dentro l’immagine, il davanti e il dietro; ma anche il cambio di dimensione: la donna in primo piano è più reale di quella riflessa nello specchio; la seconda donna è più “immagine” della prima. Fotografata di schiena è nuda, mentre di fronte è un nudo. In fondo allo specchio, dietro alla modella, c’è poi lui, il fotografo. Indossa un’impermeabile e sta guardando dentro l’obiettivo della macchina fotografica. Sul lato, sempre dentro lo specchio, s’intravedono due gambe nude che indossano scarpe dai tacchi altissimi; sul lato opposto, fuori dallo specchio, ma sempre dentro il riquadro della fotografia, c’è un’altra donna. È June, la moglie di Newton, è vestita e seduta su una sedia da regista. Guarda verso il fotografo e le sue modelle, guarda chi guarda: il fotografo, ma anche noi che da fuori guardiamo la complessa scena.

 

 

 

In questa fotografia si racchiude tutta l’arte di Helmut Newton: la sua attrazione per il voyeurismo, il complesso impianto scenico delle sue immagini, il realismo patinato, il gusto per la provocazione, il naturale manierismo dei suoi nudi, la continua tensione visiva tra atteggiamento raffinato e inclinazione alla volgarità. Newton è stato così: una centrifuga di luoghi comuni e di bizzarrie, di fotografia colta (alla Brassäi e alla Salomon) e di fotogiornalismo (da Weegee ai paparazzi romani), una mescolanza di jet-set e moda, di attrazione per soldi, potere e sesso, tre elementi che ha saputo raccontare nelle sue “nature vive” in cui donne bellissime e patinate si sdraiano sul bordo di piscine in abito da sera e seni nudi, mentre uomini decisamente ricchi prendono il sole su delle sdraio e guardano altrove.


I suoi set preferiti sono gli alberghi, le case di moda, la macchina, ma anche il jet privato. La donna di Newton è una donna sadiana; la sua perversione è fredda, gelida. Il suo corpo statuario: l’erotismo del muscolo, il sesso stesso come un muscolo. In questo egli ha anticipato di un paio di decenni l’evoluzione del gusto di massa, anzi l’ha indirizzato con il suo atteggiamento aristocratico e artificioso.
La donna ritratta da Newton è distante e autosufficiente, oggetto del desiderio maschile, ma al tempo stesso irraggiungibile. Scattando le immagini dei suoi celebri ritratti erotici è come se Newton volesse dirci che solo lui, attraverso l’oculare della macchina, può cogliere la bellezza di quei nudi, può davvero possederla, mentre a noi spettatori, distanti e passivi, non resterà che il piacere di quella forma inafferrabile che è la fotografia: realtà di secondo grado.

 

Ma nel medesimo tempo l’erotismo sofisticato in lui diventa una forma di iperrealismo, la descrizione di un mondo più vero del mondo quotidiano e che, attraverso la sua mediazione visiva, diventa fruibile dallo sguardo di tutti. Ma esiste davvero il mondo evocato nelle fotografie di Newton? Di questo non possiamo essere sicuri, dal momento che l’artificio in lui prevale sempre sulla naturalezza, il corpo femminile non è infatti mai nudo, ma vestito della propria pelle: abiti da indossare per apparire nude.

 

Helmut Newton «Fotografie» (Tre Oci, Venezia, dal 7 aprile al 7 agosto 2016). 

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