I ponti solitari di Jürgenssen e Ruggeri

1 Febbraio 2025

Birgit Jürgenssen (1949-2003) e Cinzia Ruggeri (1942-2019) proseguono il loro dialogo fittizio avviato nel 2021 nella Galleria Hubert Winter di Vienna, quando, grazie all’ottima idea curatoriale, sono state messe in luce le connessioni profonde e inaspettate tra queste due artiste. È questa, infatti, la seconda esposizione organizzata intorno a un loro immaginario incontro, con il medesimo titolo e i medesimi curatori, l’artista Maurizio Cattelan e la curatrice Marta Papini. E sono davvero sorprendenti le similitudini tra le opere di Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri, viennese la prima, milanese la seconda (con madre nata a Vienna) che pur essendo coeve non si sono mai incontrate nella vita reale. Al centro della loro ricerca artistica c’è il corpo femminile, i suoi oggetti e le relazioni messe in atto attraverso oggetti, abiti, scarpe, accessori, disegni, sculture, luci, arredo. Benché Cinzia sia stata anche una vera progettista di abiti prêt-à-porter – cioè una stilista, all’epoca della nascita dello stilismo milanese – e Birgit un’artista che si esprimeva con la fotografia e con gli oggetti, tra cui anche gli abiti, il loro processo creativo è simile. Entrambe hanno utilizzato diversi media e attraversato molteplici ambiti artistici mettendo in relazione design, moda e immagine. Di Cinzia sappiamo che non si è mai dichiarata “femminista”, anzi si è posta al di fuori del movimento militante che negli anni Settanta caratterizzava le lotte delle donne. Di Birgit non sappiamo, anche se un suo disegno in mostra, una donna che stira una camicia maschile, in realtà stia stirando proprio l’uomo che la indossa (Housewives’ Work 1973), allude inequivocabilmente alla sua adesione al femminismo internazionale. Tuttavia, anche Birgit non voleva essere etichettata o chiusa in una sola appartenenza. In un tempo che oggi definiamo postfemminista e postumano, possiamo dire che entrambe le artiste abbiano anticipato molti dei temi che caratterizzano il pensiero contemporaneo. 

La loro opera sfida senz’altro i dualismi convenzionali: non solo maschile e femminile, ma anche umano e non umano, animato e inanimato, oggetto e soggetto. Animali che si fondono con il corpo umano, oggetti animati che trascendono la loro funzione utilitaristica, scarpe che diventano scale (Ruggeri Scarpe scale 1984) per accedere ad altre dimensioni, feticismo dell’accessorio vestimentario o arredativo e animismo trasversale sono temi ricorrenti nei loro lavori. Come scrivono i curatori nel piccolo catalogo di accompagnamento – “Le loro ricerche si sono incontrate molte volte: quando hanno approfondito il ruolo della donna in casa e nel mondo durante gli anni ’70 e ’80, nella fascinazione per il mondo animale e vegetale, per la leggerezza con cui hanno giocato con le pesanti eredità del Surrealismo e del Dadaismo, per il loro feticismo per scarpe e piedi, guanti e mani, per il loro sguardo ironico, ma anche drammatico sulle cose (in)animate.” (p.2). Questo sguardo si manifesta, ad esempio, nella serie di scarpe di Cinzia Ruggeri – colorate, animate, spaiate, asimmetriche – che si snoda lungo il perimetro delle due stanze centrali dell’esposizione. Tale disposizione sottolinea non solo il feticismo del piede e della scarpa, ma anche la capacità del femminile di sfidare le norme sociali, rendendo la moda un linguaggio di emancipazione. L’influenza del Surrealismo è evidente, non solo per i riferimenti all’opera di Meret Oppenheim, ma anche in relazione al legame del movimento con l’abito e con la moda, basti pensare a Elsa Schiaparelli e al suo celebre abito aragosta creato insieme a Salvador Dalì.

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“Birgit Jürgenssen and Cinzia Ruggeri. Lonely Are All Bridges", installation view, Fondazione ICA Milano, Milan, 2025. Courtesy Fondazione ICA Milano. Ph. credits: Andrea Rossetti.

Cinzia Ruggeri stilista gioca molto con la moda, per lei l’abito era “lo spettacolo (sempre intenzionale) di noi stessi”. Entrambe, Ruggeri e Jürgenssen, hanno fatto del gioco una dimensione fondamentale delle loro opere, gioco che si manifesta nella leggerezza del travestimento e nella sovversione delle norme sociali. La dimensione ludica si dipana lungo il percorso espositivo organizzato in stanze in cui sono esposte le opere: il travestimento è parte del gioco che la moda e i suoi oggetti possono offrire, che siano gli stivali Italia di Cinzia (1986) o i sandali-letto (Bed Shoes 1976) di Birgit. Com’è noto a chi conosce la sua attività, Cinzia ha tuttavia trascurato l’aspetto commerciale della faccenda moda, senza essere del tutto avulsa da una ricerca di concretezza. I suoi abiti si potevano indossare, anzi, era ed è un piacere farlo. In mostra ce n’è uno di organza verde – che richiama il celebre ziqqurat-omaggio a Lévi Strauss, indossato nel 1984 da Antonella Ruggiero/ Matia Bazar. Cinzia faceva parte di quel gruppo di donne milanesi, possiamo citare in primo luogo Nanni Strada, che offrivano, ognuna a modo proprio, la loro ricerca di designer, artiste e progettiste alla nascente cultura del made in Italy. Conosciuta soprattutto per la sua vicinanza all'architettura postmoderna e ai gruppi Alchimia e Memphis, Cinzia Ruggeri ha trasformato la vita di tutti i giorni con forme eclettiche, come nello specchio a braccia (Schatzi 1995) e nel divano (Colombra 1990) esposti in mostra. Lavorando all'incrocio tra design industriale, moda, scultura e installazione, la sua pratica ha attraversato il maggior numero possibile di generi. 

Esattamente come Birgit Jürgenssen la quale, in una lunga carriera tra la fotografia, la cianotipia, il disegno, il collage, la scultura e la performance, ha messo in discussione i modelli di genere codificati su natura, corpo, sessualità ed erotismo, attingendo anche alla psicanalisi. Jürgenssen ha sovvertito le convenzioni sociali con un umorismo sottile e spesso ha fatto uso della sua stessa immagine per trasmettere il suo messaggio. Un autoritratto fotografico in mostra, in cui una parte del volto è celato, dialoga in modo diretto con uno di Cinzia seduta su una poltrona, con ogni probabilità la Proust di Alessandro Mendini, occhiali neri che nascondono lo sguardo, il suo amato cane Scottish terrier. Questo dialogo visivo mette in luce la loro comune propensione per la trasformazione simbolica di oggetti, corpi e identità; il rapporto tra il reale e il simbolico è dunque una chiave per comprendere le pratiche di queste artiste, ognuna delle quali a suo modo sfugge, con leggerezza e ironia, al peso soffocante dei ruoli di genere culturalmente costruiti.

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“Birgit Jürgenssen and Cinzia Ruggeri. Lonely Are All Bridges", installation view, Fondazione ICA Milano, Milan, 2025. Courtesy Fondazione ICA Milano. Ph. credits: Andrea Rossetti.

Il titolo della mostra Lonely Are All Bridges è tratto da una poesia, Die Brücken, di Ingeborg Bachmann, austriaca come Jürgenssen, e sta a indicare, secondo i curatori, i confini che entrambe le artiste hanno superato con la loro arte e con la loro vita, cui abitare una sponda sola del fiume certamente non bastava. Il catalogo riporta un dialogo immaginario tra le due, come nella tradizione delle mostre in cui si immagina un contatto tra due artisti che in realtà non si sono frequentati o perché vissuti in epoche diverse – penso a Schiaparelli e Prada Impossible Conversations al Met di New York (2012, a cura di Andrew Bolton) – o perché, come in questo caso, la vita non le ha fatte incontrare. Il dialogo immaginario è un artificio retorico gradito perché aiuta i visitatori e le visitatrici a gustare più profondamente gli accostamenti proposti, al di là delle similitudini formali. Se nella prima tranche viennese erano prevalenti i materiali di Jürgenssen, in questa esposizione milanese, che inaugura la stagione 2025 di ICA Milano, si dà maggiore spazio all’opera di Cinzia Ruggeri, quasi a voler equilibrare il dialogo.

ICA Milano, situata nella zona Sud della città, non lontano dalla Fondazione Prada, è un’istituzione no profit per tutte le arti fondata da Alberto Salvadori nel 2021, su modello delle fondazioni anglosassoni già esistenti, come ICA London (1946), che mirano a confrontarsi con periodi e artisti diversi, nella ricerca di trasversalità e porosità dei confini tra le discipline artistiche e culturali. Hanno sostenuto la realizzazione di questa mostra la Galerie Huber Winter di Vienna e la Galleria Federico Vavassori di Milano, i luoghi istituzionali dove le due artiste hanno esposto in passato. I materiali in esposizione provengono anche dall’Estate Birgit Jürgenssen e dall’archivio Cinzia Ruggeri Milano. I curatori Maurizio Cattelan (1960) e Marta Papini (1985) non sono nuovi alla co-curatela: oltre alle due mostre “Lonely Are All Bridges”, Vienna e Milano, hanno collaborato, nel 2018, alla realizzazione della mostra “The Artist is Present” presso lo Yuz Museum di Shanghai.

Lonely Are All Bridges. Birgit Jürgenssen e/and Cinzia Ruggeri
A cura di Maurizio Cattelan e Marta Papini
ICA Milano fino al 15 marzo 2025

In copertina, “Birgit Jürgenssen and Cinzia Ruggeri. Lonely Are All Bridges", installation view, Fondazione ICA Milano, Milan, 2025. Courtesy Fondazione ICA Milano. Ph. credits: Andrea Rossetti.

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