Il castello che salvò i bambini
Nel 2017 sul sito di annunci economici francese Le bon coin apparve questa singolare inserzione: “Vendesi castello da smantellare o in loco. Numerosi conci, balcone in ferro battuto, scala in granito. Fare un’offerta”. Non so in quanti risposero all’annuncio all’epoca, ma a ritirare la proprietà fu un espatriato inglese poco più che trentenne, Daniel Preston, di formazione cuoco. Patrick Surget, il venditore che anni prima s’era aggiudicato il castello all’asta, aveva legato una sola condizione all’acquisto: che il compratore s’impegnasse a ristrutturare il castello per riportarlo all’antico splendore. Daniel Preston sostiene di aver sì acquisito il castello con l’intenzione di ristrutturarlo, ma che in gran parte ne ignorava la storia. È stato soltanto dopo, una volta iniziati i lavori di sgombero, che si è reso conto di ciò che stava dietro quell’edificio e della responsabilità che l’acquisto comportava.
Il castello è una dimora chiamata Château de Chaumont, sito nel dipartimento della Creuse, nella regione amministrativa della Nuova Aquitania. Curiosamente si trova a cavallo di due comuni: l’edificio vero e proprio sorge sul territorio del comune di La Serre-Bussière-Vieille, mentre parte del terreno e la via d’accesso alla proprietà si trovano nel comune di Mainsat. Il castello fu edificato tra fine Ottocento e inizio Novecento da Eugénie Bardet (poi Eugénie Marie-Françoise Bardet du Trémont, o “Contessa di Trémont” una volta assicuratasi il titolo nobiliare), cantante di cabaret che conobbe il successo a Parigi sul finire del secolo. La futura contessa, originaria della regione della Creuse, nella capitale frequentava il bel mondo: personalità dello spettacolo, celebrità letterarie, politici, ricchi industriali. Fu proprio grazie a uno di essi, l’ingegnere russo Charles Choubersky che Eugénie conobbe il di lui segretario, Louis Richard. Charles Choubersky aveva fatto fortuna grazie alla ferrovia, ma è anche simpaticamente ricordato come l’inventore del primo prototipo di pattini a rotelle, patin-bicyclette, i pattini a bicicletta, nonché dell’armoire-lavabo, il lavandino munito di armadietto che ancor oggi fa bella mostra di sé in molti dei nostri bagni. Morì poi suicida, sempre a Parigi, nel 1891. Quanto a Louis Richard, divenne dapprima il protettore di Eugénie Bardet e poi, a partire dal 1896, il beneficiario del cospicuo patrimonio dell’ingegnere-inventore.
Insomma, e per farla breve, a Eugénie Bardet, via Louis Richard, cominciò a girare talmente bene che comprò un terreno lì dove era nata e vi fece edificare un castello sulle fondamenta di un precedente edificio. Lusso sfrenato, un giardino affidato alle cure di orticultori chiamati appositamente da Clermont-Ferrand, la belle vie per una decina d’anni con feste principesche nel castello. Oltre ai ricevimenti serali Eugénie offriva anche delle merende pomeridiane ai bambini della scuola laica di Mainsat, frequentata dalla figlia Gilberte, concepita con il protettore Louis Richard. Poi, come succede talvolta, la rovina. Il fallimento di Richard si portò dietro anche la Contessa di Trémont, la quale, nel 1939, quattro anni prima della morte, fu costretta a cedere in affitto il castello. Primo inquilino fu l’Oeuvre de Secours aux Enfants (OSE), un’associazione basata in Francia ma fondata a San Pietroburgo nel 1912 con l’intento di offrire assistenza ai bambini ebrei più svantaggiati (presidente onorario fu, dal 1923 fino alla morte nel 1955, il fisico Albert Einstein). Nel 1923 la sede dell’associazione si spostò a Berlino, ma nel ‘33, con la nomina di Adolf Hitler a cancelliere del Reich, la stessa dovette cercare scampo in Francia trovando una nuova sede a Parigi. Da lì diede rifugio a bambini ebrei in provenienza dalla Germania e dall’Austria. Nella primavera del 1942 l’associazione accoglieva nelle diverse sedi sparse su territorio francese qualcosa come milletrecentocinquanta bambini ebrei. Si stima che nell’estate di quello stesso anno, i giorni della rafle du vélodrome d’hiver, il più importante rastrellamento di ebrei in Francia, l’OSE si fosse fatta carico di disperdere in provincia più di cinquemila bambini minacciati di deportazione. Alla Liberazione, nel ’45, l’OSE si occupava di più di duemila orfani, molti dei quali scampati al campo di concentramento di Buchenwald.
Il castello di Chaumont fu una delle quattordici sedi dove trovarono rifugio centinaia di bambini ebrei sotto l’egida dell’Oeuvre de Secours aux Enfants. L’associazione era tenuta a trasmettere ai funzionari del governo di Vichy l’elenco dei bambini ospitati nelle sue strutture, ed è facile immaginare in quali condizioni fosse costretta ad operare: da un lato lo spettro e l’assillo dei collaborazionisti, dall’altro la necessità di muoversi in clandestinità per garantire la sicurezza ed eventualmente una via di fuga ai bambini stessi. Fra di loro v’erano dei bambini che avrebbero poi acquisito notorietà da adulti. Il comico francese Popeck ad esempio, all’anagrafe Judka Herpstu, che trascorse due anni nel castello fra il 1940 e il ‘42 (la mamma, nel frattempo, era stata fatta salire sul convoglio numero 3 e deportata nel campo d’internamento di Drancy prima di essere mandata ad Auschwitz, dove morì). Oppure Wulf Wolodia Grajonca, a sua volta ospitato per un paio d’anni nel castello prima di essere trasferito negli Stati Uniti grazie alla rete sotterranea cui faceva capo l’associazione. Anche sua, di mamma, morì ad Auschwitz. A lui toccò l’America, altri bambini furono mandati in Spagna, altri in Svizzera. Una volta negli Stati Uniti il piccolo Wulf, dieci anni d’età, pescò un nome a caso dall’elenco telefonico del Bronx e diventò Bill Graham, futuro impresario e promotore di concerti rock per Janis Joplin, Jimi Hendrix e i Jefferson Airplane. O ancora la scrittrice Fanny Ben-Ami, autrice di Le journal de Fanny, in cui dettagliò la sua fuga, appena tredicenne, a capo di un gruppo di bambini che condusse attraverso il confine tra Francia e Svizzera, una storia portata al cinema nel 2016 dalla regista Lola Doillon. Anche lei, Fanny Ben-Ami, fu accolta fra queste mura e questi giardini, e anche i suoi, di genitori, morirono nei campi di concentramento di Auschwitz e di Lublino.
Vent’anni dopo la fine della guerra il castello fu acquistato da Jean-François Mironnet, segretario personale di Coco Chanel, e fu abitato fino alla metà degli anni ’80, quando un violento incendio distrusse l’intero edificio. Al momento del rogo nel castello era presente soltanto la moglie di Mironnet, un’ex-modella, la quale, leggenda vuole, si salvò calandosi da una finestra dopo aver annodato delle lenzuola, nella più classica delle fughe. Il castello da allora è disabitato, la proprietà abbandonata a sé stessa. Nel 2014 Patrick Surget si aggiudicò l’intera struttura all’asta per poi rimetterla in vendita su Le bon coin qualche anno più tardi. Gli interessavano gli otto ettari di bosco, non il maniero. Anzi, fra le ragioni della vendita addusse il fatto che il castello era meta di continue incursioni, e nella malaugurata eventualità di un incidente all’interno della proprietà, la responsabilità sarebbe caduta su di lui. Tanto meglio liberarsene.
Quello che lo chef espatriato Daniel Preston ha comprato non è dunque un castello qualsiasi. Ne è ben consapevole adesso, e sta facendo del suo meglio non solo per riportare la dimora al suo antico splendore, ma anche per ricollocarla entro un quadro che tenga conto della sua storia. Preston ha aperto un canale su Youtube dove, da poco meno di un anno, posta dei video che documentano i progressi fatti nel difficile lavoro di ristrutturazione del castello. Da autodidatta è ben consapevole dell’enormità di un’impresa che fin qui nessuno, privati o enti pubblici, si era detto disposto ad affrontare. In due anni il suo canale ha raccolto complessivamente più di quaranta milioni di visualizzazioni, mentre sulla piattaforma Patreon il progetto di recupero può beneficiare, per ora, di donazioni che garantiscono una rendita mensile pari a ottomilacinquecento dollari (volendo, gli si può offrire anche soltanto un caffè). Di che pagarsi, almeno in piccola parte, gli artigiani locali, i giardinieri, i carpentieri e tutte le maestranze di cui necessiterà per portare a termine i lavori. Preston prevede che la ristrutturazione del castello, nella migliore delle ipotesi, lo impegnerà per almeno cinque anni. La televisione inglese ha già preso accordi e sta documentando lo svolgersi nei lavori con l’intento di trasformare l’avventura edilizia in un programma televisivo.
Preston pensa anche di dare libero accesso al giardino la domenica, così che le famiglie che vivono nei dintorni e che ben conoscono la storia del castello possano trascorrere qualche ora nei giardini: una passeggiata, un pic-nic, un selfie col maniero sullo sfondo. Quel castello in fondo è parte della loro storia e Preston intende condividerla con loro. In futuro immagina che la struttura possa tornare ad accogliere dei bambini. Negli anni ’50 e ’60, prima della vendita al segretario personale di Coco Chanel, il castello aveva ospitato dei campi estivi per bambini provenienti da famiglie disagiate. Preston conta molto sull’adesione online, sull’entusiasmo che questa sua iniziativa sta generando. Il comico Popeck e la scrittrice Fanny Ben-Ami si sono dichiarati felici che qualcuno si sia infine lanciato nell’impresa di ristrutturare il castello che li ospitò durante l’occupazione per trasformarlo in una residenza estiva per bambini. A sua volta padre di due bambini, divorziato da poco, Preston sta decisamente prendendo a cuore la faccenda: “è vero, sto salvando l’edificio” ha dichiarato di recente alla rivista Tablet, “ma è altrettanto vero che l’edificio sta salvando me. Se un giorno non produco un video, mi sento perso”.
Imprese di questo genere stanno spopolando sulle più diverse piattaforme online. Un altro esempio è quello dell’olandese Martijn Doolard, da parte sua impegnato nella risistemazione di due cascinali abbandonati in Piemonte. Nel giro di poco il suo canale Youtube ha accumulato più di mezzo milione di iscritti. Dopo due viaggi-avventura in bicicletta, il primo da Vancouver alla Patagonia, il secondo da Amsterdam a Singapore, Doolard ha deciso di fermarsi, comprando una proprietà sulle colline sopra Torre Pellice. Da lì, ogni settimana, posta un video che documenta i progressi del suo lavoro e lo scorrere della sua vita neorurale. Preston e Doolard si pongono allo stesso tempo nel ruolo di protagonisti e di narratori di una vicenda che procede col procedere dei giorni e delle stagioni, uno scorrere lento, quotidiano, fatto di piccoli gesti, occasionali frustrazioni, gioie minute e tanta perseveranza, fidelizzando un pubblico proprio come anni fa era riuscito alle Scene da un matrimonio di bergmaniana memoria, a Twin Peaks o a Lost. Il successo aggregante di questi video (da sottolineare, in entrambi i casi, la partecipazione attiva degli spettatori, non solo in qualità di finanziatori delle rispettive imprese, ma presentandosi di persona in loco per dare una mano), del tutto indipendenti dai canali di promozione tradizionali, frutto di passa parola e di passioni che non ubbidiscono a logiche di mercato, sono fra le cose più belle emerse dalla galassia online negli ultimi anni.
Dopo i fasti d’inizio secolo, il destino drammatico negli anni dell’occupazione, l’abbandono e l’incuria degli ultimi decenni, alla storia del castello di Chaumont si è dunque aggiunto un nuovo capitolo. Ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo, se vuoi possederlo davvero, scriveva Goethe. Più prosaicamente Jacques Brel invitava a sognare un sogno impossibile. C’è qualcosa nella vicenda di Daniel Preston, di Martjin Doolard e di altri Youtuber, che ci parla sì di uno scarto dalla norma, della volontà di realizzare un sogno, ma ci suggerisce anche in modo chiaro come l’eredità dei padri chieda ogni volta una riconquista. Ristrutturare un luogo caduto in rovina, e farlo non con l’intenzione di trarne un resort o un centro wellness, ma per collocarsi dentro una storia che ci comprenda davvero, è qualcosa che non può che essere ammirato e sostenuto. Daniel Preston, di formazione cuoco, si è assunto una responsabilità enorme. Un istituto bancario avrebbe potuto assumersi l’onere della ristrutturazione senza intaccare il proprio bilancio, ma nel farlo avrebbe probabilmente spogliato quel luogo e quel castello del valore della riconquista di cui scriveva Goethe. Non c’è bambino che non abbia sognato un castello. Se è vero, e vogliamo credere che lo sia, Preston non si è limitato ad alimentare quel sogno. Ha avuto l’ardire di trasformarlo in realtà così da poterlo offrire un giorno, da adulto, ad altri bambini.