Il mestiere di pensare

3 Aprile 2014

La filosofia, oggi, ha un problema: non si riesce più a comunicare il lavoro filosofico di qualità a un pubblico colto ma estraneo alla filosofia come disciplina accademica. Questo lavoro, sostiene Diego Marconi (Il mestiere di pensare, Einaudi 2014), è oggi condotto attraverso pubblicazioni iper-specialistiche, dallo stile perlopiù inaccessibile, che presuppone una conoscenza del dibattito sui temi trattati e, spesso, alcune competenze tecniche. I classici della filosofia, invece, sono opere fruibili, per quanto dense e impegnative, da “un laureato in qualsiasi disciplina” (7). L’autore sostiene che la svolta specialistica pone problemi seri alla filosofia, perché: 1) la priva di legittimizzazione in quanto pratica sociale – come, aggiungo io, testimonia il recente dibattito sull’insegnamento della filosofia nella scuola; 2) i filosofi rischiano di perdere di vista il senso del proprio lavoro; 3) la specializzazione ostacola la comunicazione fra i filosofi e gli esperti di altre discipline. Questa non è pero una strada senza via d’uscita: Marconi menziona alcuni buoni lavori di comunicazione della filosofia contemporanea rivolti al pubblico colto dei non-specialisti e di divulgazione filosofica per un pubblico ancora più ampio, auspicando la proliferazione di questo tipo di letteratura.
 

 

Diego Marconi - Ph. di Armando Rotoletti

Come siamo arrivati sin qui? Nel 1880 in Italia c’erano quarantasette professori universitari di filosofia e oggi ce ne sono circa mille. Con l’aumento del numero di filosofi è aumentato quello delle pubblicazioni filosofiche e ciò ha avuto un ruolo decisivo, secondo Marconi, nell’orientare la filosofia verso lo specialismo e nel trasformare l’immagine del filosofo, da quella di “architetto di cattedrali” a quella di “artigiano competente” (19). L’autore distingue tre forme di specialismo nella filosofia contemporanea: 1) lo “storicismo intrinseco” (cfr. Glock 2008), secondo cui i concetti filosofici hanno natura storica e possono essere colti solo alla luce della loro storia; 2) l’ermeneutica, che consiste nella “presentazione del modo in cui il concetto di X è venuto a svolgere il ruolo che ha nella nostra cultura” (21); 3) la filosofia analitica, tradizione entro la quale si colloca lo stesso Marconi e che concepisce la ricerca filosofica come volta alla risoluzione di problemi filosofici, considerati nella loro formulazione attuale, con attenzione al contesto delle scienze naturali e della matematica, attraverso l’elaborazione di argomenti la cui qualità deve essere vagliata dalla comunità dei filosofi analitici.

C’è però della filosofia che gode di ottima salute presso il pubblico ampio in Italia. Da un lato, Marconi osserva, c’è quella che non è propriamente filosofia: i “filosofi mediatici” sono filosofi di professione invitati il più delle volte a dire la propria su temi non filosofici attraverso i grandi mezzi di comunicazione. Dall’altro lato ci sono i cosiddetti “filosofi continentali” (per es. Deleuze, Foucault, Derrida, Habermas), capaci di parlare al pubblico colto in Europa continentale, perché ne condividono le radici culturali (per es. Platone, Hegel, Dostoevskij) e perché sanno stimolarlo intellettualmente accennando a “grandi abissi” del pensiero.

Marconi si occupa poi di ulteriori problemi di comunicazione della filosofia, dovuti alle divergenze di orientamento tra filosofi di diversi indirizzi e in particolare tra analitici e “tradizionalisti”, ossia studiosi dediti a studiare la tradizione filosofica, interpretando i grandi filosofi, più ancora che dedicandosi alla storia della filosofia in senso stretto (cfr. Glock 2008). L’autore rileva che ci sono alcune critiche legittime all’accentuato specialismo della filosofia analitica, come quella che nota come gli analitici rischiano talvolta di precludersi “la strada della saggezza” (97) focalizzandosi su questioni di dettaglio, e quella, indirizzata dagli storici a tutti i filosofi teorici, secondo cui questi ultimi sono spesso poco sensibili alle alternative teoriche disponibili a chi abbia una buona conoscenza della storia della filosofia.

 



Il punto cruciale del contendere fra storici e teorici riguarda però, secondo Marconi, il ruolo giocato dalla ricerca della verità nella pratica filosofica. Per quanto riguarda l’interpretazione dei testi dei filosofi del passato, gli storici spesso sostengono che per comprendere il significato di un testo è ben più importante accertarsi delle occorrenze delle espressioni presenti nel testo in altri luoghi e ricostruire la mentalità dell’autore che non procedere con la ricostruzione razionale delle argomentazioni dell’autore e vagliarne la veridicità, perché questo procedimento rischierebbe di distorcere il contenuto dei testi e quindi di impedirne la comprensione.

 

Secondo Marconi, invece, “il modo migliore per comprendere una teoria richied[e] non solo che si comprendano letteralmente gli enunciati di cui è costituita, cioè che se ne conoscano le condizioni di verità, ma che si supponga che la teoria sia vera” (116). Questa, Marconi sottolinea, è un’idea condivisibile e centrale nella tradizione ermeneutica e, soprattutto, sembra essere un’idea che anche gli storici che professano di non condividerla in realtà adottano nel loro lavoro. Infine, non dobbiamo preoccuparci se con la ricostruzione razionale delle tesi di un grande filosofo spesso si fa emergere la debolezza argomentativa di tali tesi, perché questo non esclude che la debolezza argomentativa sia un problema di tutta la filosofia e perché “forse la grandezza dei classici non consiste nella loro solidità argomentativa [...] ed è del tutto possibile che certe idee importanti debbano attendere secoli prima di trovare una formulazione argomentativamente solida, come l’atomismo di Democrito” (117).

 

Per quanto riguarda l’uso degli argomenti dei filosofi del passato nella discussione odierna, infine, Marconi critica l’opinione molto diffusa secondo cui, se un’argomentazione viene da un altro contesto, per questo stesso fatto non potrà essere analoga a un’argomentazione avanzabile nel contesto attuale. L’autore sottolinea che non abbiamo ragioni per sostenere che ciò valga per tutte le argomentazioni avanzate nel passato e che bisogna sempre valutare caso per caso.

Di questo libro c’era bisogno, per mostrare che i problemi di comunicazione dei filosofi col “resto del mondo” potrebbero non essere il risultato del cosiddetto “dominio della tecnoscienza”, o un sintomo del fatto che la filosofia è una disciplina confusa, o magari un effetto delle lotte fra accademici per la gestione del potere, che condannerebbero la filosofia a una dimensione autoreferenziale. Lo specialismo è anche il risultato dello sforzo di produrre ricerca di qualità e i problemi che genera per la comunicazione della filosofia richiedono risposte di qualità, che sinora sono state poche. È un grande merito di Marconi averne fornite alcune, così come avere evidenziato il dissidio fra storici e teorici sul ruolo della ricerca della verità nella pratica della filosofia. Spero che altri filosofi vogliano offrire nuovi contributi al dibattito aperto da questo libro.

Riferimenti:
H.-J. Glock, What Is Analytic Philosophy?, Cambridge University Press, Cambridge 2008.

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