Kristof Kintera, "Postnaturalia", 2017
A un primo sguardo distratto, quello che vedete potrebbe sembrare equivalente allo spettacolo, banale e quotidiano, che si offre a chiunque abbandoni le città e si immerga in ambienti costruiti e arredati per lo più da viventi che non condividono la nostra forma. Un prato ai margini di una foresta o di uno stagno, in cui si alternano graminacee erbose come la poa, la festuca o il loglio, a tarassachi, papaveri, fritillarie festuche, e decine di altre infestanti perenni o arbusti fioriti. Eppure basta avvicinarsi per accorgersi che questa impressione di banalità e di naturalità è solo un trompe-l’oeil e che quello che si ha davanti è un prato elettronico: un ecosistema di cavi, tastiere, led, lampadine, alimentatori, schede madre, casse d’amplificazione che si intrecciano seguendo forme simili a quelle che si incontrano a cielo aperto, in quello che ci ostiniamo a chiamare natura. La disillusione, in realtà, è solo parziale. Perché questa istallazione di Kristof Kintera, che porta il nome di Postnaturalia, sembra prolungarsi in una strana inquietudine anche quando abbandoniamo la sala che ospita l’istallazione.
In quella sala, natura e tecnologia più avanzata diventano, per un attimo, indistinguibili come se si trattasse della sovrapposizione del ritratto di due gemelle. E uscendo non possiamo fare a meno di chiederci se non sia proprio così: natura e tecnica sono due sorelle identiche. Hanno lo stesso volto, lo stesso sguardo, lo stesso identico DNA. A separarle è solo un gioco casuale di moltiplicazione numerica: l’una potrebbe essere dove sta l’altra, e questa potrebbe dire e pensare quello che la prima ha appena detto o immaginato. Siamo soliti considerarle come nemiche e come incompatibili. Eppure tecnica e natura perseguono il medesimo fine: l’invenzione di forme che non derivano necessariamente dalla realtà che le circonda e che permettono alla vita di manifestarsi in tutta la loro potenza. E forse, in fondo, quello che chiamiamo arte è solo questo: la soglia o la magia che permette, almeno per un attimo, di cogliere in maniera assolutamente evidente la perfetta coincidenza tra ciò che vive e quanto è artificiale. Forse l’arte è solo il gioco in cui le due gemelle si divertono a farsi prendere l’una per l’altra, a scambiarsi i vestiti, a farsi chiamare l’una con il nome dell’altra. Ogni opera d’arte, infatti, è il tentativo di trovare e assieme infondere natura e vita in tutto quello che emerge dalla manipolazione della materia del mondo e viceversa, il tentativo di smascherare in tutto ciò che vive la bellezza di qualcosa che si costruisce perseguendo una idea che non ha nessun’altra necessità che il desiderio di apparire.
È per questo, forse, che dovremmo lasciarci guidare sempre più dagli artisti e dalle artiste per risolvere la crisi ecologica che stiamo attraversando. Saranno loro a trovare il modo di ritrovare la vita in tutte le macchine che abbiamo costruito e che sembrano ucciderci e viceversa a dare a queste stesse macchine una vita identica a quella che si incarna nelle foreste, negli animali, nei funghi, nei mari, nei batteri.
Si tratta di un duplice cambiamento di sguardo. Questo prato elettronico fiorito deve certo spingerci a guardare i computer come se fossero degli insetti e a pensare che le metropoli occidentali sono foreste che hanno trasferito la vita a una vastissima porzione di materia minerale. Ma devono soprattutto permetterci di capire che la vera ragione per cui ci ingegniamo nel costruire oggetti e macchine è quella, sempre, di voler catturare e prolungare la vita di quello stesso inafferrabile e proteiforme spirito che anima i nostri cani e i nostri gatti, ma anche una quercia, un uccello del paradiso, una zecca, una russula o un millepiedi. La tecnologia non è una guerra contro la natura, ma un ponte verso quello che c’è di più spirituale in essa. E qualsiasi oggetto tecnico serve a questo: i miei occhiali servono a catturare ciò che c’è di più spirituale nella visione e un’auto permette di percepire la forza del movimento. Animali, piante, funghi o macchine: sono solo abiti che permettono alla vita di continuare a cambiare il proprio volto e a scegliere la tenuta più adatta per ogni occasione.
Nella foto un dettaglio dell'opera "Postnaturalia" di Kristof Kintera, 2017, Ph. Dario Lasagni.