La mano manca
È opinione comune che gli uomini abbiano due mani. Per me sono pochi quelli che ne posseggono veramente quante madre natura ci assegna. Giacometti era uno di questi: con la destra aggiungeva, plasmava, formava, con la sinistra scalfiva, asportava, bucava. La testa era ben piantata nel mezzo.
I musicisti? Beh, quelli a volte hanno addirittura due mani destre oltre alla testa, ma sono rari, rarissimi. Fra gli altri ci sono quelli che hanno solo la testa e niente mani o solo due mani destre e niente testa. Preferisco i primi, per comporre le mani non sono necessarie: possono averle gli esecutori, che però, sia ben chiaro, non sono esentati da possedere anche una testa.
E la sinistra? la negletta, disprezzata, wrong sinistra ci pende triste da una spalla, leggermente più bassa di quell’altra, incapace perfino di affettare la carne o di tagliarci le unghie. La superiorità della destra è universalmente riconosciuta: ci sono popoli che per indicarla usano un aggettivo che significa addirittura giusto: la giusta.
Fotografia di Enrico Cattaneo
Bisogna finirla una buona volta con questa dittatura, sconfiggere il monopolio. Il conforto dei chiromanti non consola affatto i proprietari della sola sinistra: sono isolati, pochi. No, non i chiromanti, che di questi tempi meccanico-elettronici, per compensazione sono diventati addirittura legioni; i secondi: si contano sulle dita di una sola mano (la sinistra naturalmente).
A me manca la mano destra e quindi appartengo a questa sparuta schiera. Racconto come è andata.
Era il 1977: nella primavera di quel fatidico anno, a forza di stringere fra le dita della destra un gessetto nero, nell’attesa del dono faticoso dell’assenza di pensiero (non di testa), m'ero procurata una forma d'artrite al pollice dolorosa e quindi handicappante per uno che presumeva di poter fare il pittore e si considerava talentuoso!
Federico De Leonardis
Naturalmente le ho tentate tutte: magnetoterapia (per fortuna non esisteva ancora), cerotti di calore, voltaren, iniezioni di cortisone, mani-polazioni da parte di belle fanciulle, addirittura punture omeopatiche di acido formico (le formiche si sa sollevano pesi cento volte superiori alla loro stazza) ecc. Niente da fare: il dolore non se n'andava, mi attanagliava e disperava: il pollice non voleva saperne di tornare ai suoi doveri, di tenere in mano una matita o un carboncino neanche parlarne. Arriva l'estate e sono sempre più disperato, odio quella stagione, la vacanza, il tutti al mare, le balle del riposo, la panza spaparanzata al sole, a far che? A pensare di dare una svolta alla tua vita? Ma figuriamoci, come faccio con quel pollice? E poi non è quel vuoto, quel vacuum che cerco: la direzione per me era, è, un'altra.
Federico De Leonardis
Comunque per tentare l'ultima carta mi sottopongo a un viaggio di due giorni per nave: intendo raggiungere l' Africa, Pantelleria, dove mi aspettano le acque termali a 80 gradi che quel vulcano spento ancora fa affiorare in superficie, anche in mare. C'è un rischio, ma decido di correrlo. È così che la mano destra, lessata o bollita non so, dopo qualche immersione mi si stacca dal braccio e finisce sul fondo sassoso del canale di Sicilia.
Federico De Leonardis
Naturalmente per trovare quel vuoto è stato giocoforza passare all'altra, la wrong, ma non ho rimpianti perché, sarà stato il colpo di sole africano (50 gradi all'ombra!), avevo capito la ragione per cui mi ero ingrippato: odiavo il talento, il potere del talento, dell’abilità, dell’esperienza; lo odiavo dentro, nell’interno, nella testa (non nel pensiero). E io con la destra ero un fenomeno! Non racconto balle: una parte del prodotto della mia abilità giace ben inlucchettata in una cassettiera del mio studio, l’altra è stata regalata a amici e parenti che d’arte non ne capiscono un fico e con i quali non mi vergogno. Per la verità non me ne vergogno con nessuno: sono studi, essays, d’après: disegnare o dipingere serve a guardare bene e l’arte che ci ha preceduto e che sopravvive va guardata con attenzione, è l’humus del nostro linguaggio, è la sua spina dorsale.
Federico De Leonardis
Mi odiavo, dicevo, o per lo meno non mi potevo soffrire e quest’insofferenza non è ancora tramontata. Penso che mi accompagnerà fin nell’ultimo viaggio. Ma siccome della destra non possono fare a meno che quei disgraziati degli handicappati e i mancini (ma anche per loro, ribaltato, vale lo stesso discorso), mi adatto qualche volta a tirarla su dal fondo: mi serve ancora per studiare la realtà delle mie fantasie spaziali e produco qualche scarabocchiio, ma non lo firmo naturalmente: noblesse oblige, sono un artista!
Federico De Leonardis
Scherzo, questa volta scherzo, la noblesse dell'artista non c’entra, perché per la verità mi servo veramente anche della mano destra, ma quella degli altri, i più umili, i più patentemente privi di talento: i mano-vali, per intenderci. Che vuol dire? Che ho una pletora di aiutanti, di robot al mio servizio? In senso solo metaforico: se ci guardiamo attorno c’è tanta gente che impiega le mani solo per sollevare cemento, fare tracce sui muri con scalpello e mazzuolo (proprio come gli scultori!), mano-vrare macchinoni con le ruote più grandi di loro, spaccare la pietra con mazze ben salde fra le mani: proprio non c’è bisogno di menare le proprie. Almeno, io me ne sento esentato: mi basta alzare il dito indice della mano, sinistra naturalmente, per indicare il risultato del loro lavoro: eccolo lì, dico, guardate gente, che forza!, che energia!
Guardare è il mio mestiere, guardare e far guardare, per la precisione. Per tutto il resto sono pigro. Ma ho paura però, paura che il talento si appiccichi anche alla mano sinistra (non è pericolo da escludere: pensate, agli ambidestri: non vorrei mai diventare uno di loro). Così, attratto da un cantiere dismesso, da una cava deserta o da una fabbrica fallita, vagolando con le mani rigorosamente in tasca, mi guardo in giro e incappo a volte in un guanto da lavoro per terra. Destro o sinistro, fa lo stesso, tutti portano traccia del loro antico contenuto. Ma devo stare attento; non amano la pubblicità: chi senza un dito, chi rigido come uno stoccafisso, chi pieno di buchi, si mimetizzano nella polvere o nel fango dove sono stati abbandonati. Ci vuole occhio a scoprirli: è il mio mestiere.