Le confessioni di Piergiorgio Paterlini
Sono nata e cresciuta negli stessi luoghi che Piergiorgio Paterlini descrive nella propria autobiografia Confiteor di recente pubblicata da Piemme. Conosco persone, fatti e situazioni narrate, eppure non è dall’aria di casa che mi sono fatta conquistare leggendolo, bensì dalla consapevolezza letteraria visibile nella costruzione del racconto e dall’onestà dello sguardo.
“Confiteor è il racconto dell’uomo che sono diventato, non flusso di coscienza, ma fatti, storie. E l’attraversamento, in settant’anni di vita, di tre secoli, dal mio “Ottocento” a oggi.”.
Questa è l’affermazione che troviamo nel risvolto di copertina, non esente da una punta di ribalderia – tre secoli attraversati in settant’anni! – ma la lettrice e il lettore smaliziati sanno ormai che ogni autobiografia esibisce una propria unicità, quella di Paterlini rivendica di basarsi sui fatti, di aderire se non alla Storia alle storie, quelle capitate all’autore, quelle da lui intersecate e raccolte.
Come ogni affermazione programmatica relativa a un racconto di sé, va presa con un margine di dubbio sulla sua autenticità. E tanto per depistare immediatamente chi legge l’autore inizia il racconto dal proprio nome coincidente e ispirato da quello di Pier Giorgio Frassati, un giovane attivista cattolico morto in odore di santità di cui la madre, durante un pellegrinaggio al santuario di Oropa, gli racconta non tanto la vita virtuosa quanto il fatto che fu trovato con le mani nei capelli nella bara, segno che era stato sepolto vivo. Un caso di morte apparente che nel piccolo Piergiorgio di cinque anni istilla il terrore della morte e ogni sorta di dubbio escatologico.
Se non siamo dentro a un flusso di coscienza – il racconto della gita, come tutto quello che viene narrato in seguito, è in effetti tanto dettagliato e vivace da produrre l’effetto della presa diretta – siamo senz’altro dentro una coscienza, quella dell’autore, che spia il proprio definirsi all’ombra di un cattolicesimo sempre ai limiti della bigotteria e di un impulso individuale a capire, il mondo e le persone, che lo porta a fare direttamente a pugni con Dio stesso.
Questo per dire che nonostante il tono colloquiale e le rivendicazioni fattuali, Confiteor è un libro che s’iscrive appieno nella più alta tradizione dell’autobiografia: quella che con Rousseau soprattutto, ma lo aveva già fatto Sant’Agostino, ha codificato l’infanzia come un momento fondante di un percorso di acquisizione di identità faticosa perché sempre messa in gioco in un contesto di pratiche sociali e valori diversi da quelli che il protagonista cerca come più rispondenti a sé.
Siamo nella bassa padana reggiana, in un paese, Castelnovo di Sotto, che negli anni cinquanta è ancora prevalentemente dominato dal lavoro nei campi, da una povertà dignitosa, e dall’ombra onnipresente della chiesa cattolica cui la famiglia del protagonista è legata da un fervore indiscusso e indiscutibile. Il bambino Piergiorgio oltre a interrogarsi precocemente su questioni capitali come l’esistenza di Dio, l’ingiustizia sovrana che sembra governare le vite di tutti, formiche comprese, da chierichetto zelante comincia a diventare il giovane insoddisfatto dei dogmi che porterà inquietudine, curiosità e voglia di distinguersi prima in seminario, dove studia, poi nelle riviste culturali con cui comincia a collaborare o che fonda, come la celeberrima Cuore insieme a Michele Serra e Andrea Aloi.
La fuga dal natio borgo selvaggio, è dunque una ricerca inesausta per colmare una mancanza di espressione affettiva, intellettuale e umana patita da una posizione di diversità, anche nell’orientamento sessuale, che non si accontenta di giudicare come piccolo e ottuso l’orizzonte nebbioso da cui è sorta, a dire il vero non lo fa proprio, ne riconosce piuttosto l’alterità e nel farlo non può che lacerarsi perché quel mondo, che a ragione Paterlini definisce ancora come ottocentesco, lo ha comunque nutrito e cresciuto. Attraverso progetti megalomani, ricostruire la storia dei Longobardi, che s’incontrano e decadono con saggezza di un prete di campagna, o intuizioni brucianti come i gusti della madre in fatto di ragazzi coincidenti con quelli del protagonista, Paterlini ricostruisce la fisionomia della propria famiglia con una madre attrice mancata e una nonna tirannica che dispensava ingiustizie ai suoi stessi familiari, colei che in fondo lo spinge a essere “quella persona che sentiva un orrore spontaneo e sincero per le angherie e i soprusi” che da adulto aiuterà tanti e tante a trovare la propria strada. Ma Confiteor non è un libro apologetico, ogni qualvolta sta per diventarlo l’autore cambia strada e racconta frammenti della vita di qualcun altro, dei tanti noti e meno noti che in una lunga e ricchissima carriera professionale, come giornalista, scrittore e autore televisivo ha incontrato, dai professori di liceo ai collaboratori nelle testate giornalistiche in cui ha lavorato, agli scrittori come Ignazio Silone e Luce d’Eramo, fino al premio Nobel Giorgio Parisi con cui ha lavorato per scriverne la biografia.
Tra sfondo e primo piano passano gli anni del coinvolgimento con le Comunità cristiane di base (un dissenso dall’interno del cattolicesimo) della contestazione di fine anni ’60 e ‘70, dell’impegno politico a sinistra, costellato – l’autore dice che sia un caso – da figure di donne che hanno fatto un pezzo di storia del teatro italiano come Lella Costa, con la quale scrive numerosi testi, e dell’editoria, come Grazia Cherchi, o di altre, sconosciute ai più, che nel bel mezzo di un paese bigotto e sessista come qualunque altro in Italia praticano, senza mai dichiararlo, il più bell’esempio di parità giocando a carte al bar con i maschi, come la mitica Giovanna proprietaria di una cartoleria.
E poi l’amore, con un compagno di vita che diventa anche compagno di tante avventure intellettuali, un pezzo consistente di carriera in televisione con programmi culturali che a immaginarli oggi sarebbe impossibile. Viene da dire: tre secoli in fondo sono pochi per questa insaziabilità di vita che trabocca dal libro di Paterlini. Ci (e gli) auguriamo un seguito altrettanto variegato e pieno di passioni.