Settantacinque anni / Le madri della Costituzione
Mettere insieme una costituzione è un compito serio e importante. La costituzione è una delle istituzioni essenziali dello stato moderno, quella che lo costituisce, appunto, che presenta le condizioni necessarie per il suo esserci, il suo stare. Ora stare, stato, istituzione e costituzione fanno parte, insieme a molte altre parole, della famiglia di termini legati all’idea di stabilità e derivati dal verbo greco ἵστημι, hístemi, stare, stare in piedi, tenersi eretti. E già ci rendiamo conto che verticalità e stabilità non sono ritenute faccende da donne, le quali sono sempre un po’ inclinate, di sbieco, e comunque instabili e volubili e mutanti d’accento e di pensier.
Anche fondare uno stato, o anche una semplice città, è una attività importante, seria e costitutiva. Siamo sempre all’interno della famiglia delle idee e delle parole solide, giacché fondare vuol dire poggiare una costruzione sul fondo stabile di un terreno scavato, per esempio dall’aratro di Romolo. Anche fondare uno stato o una città non è faccenda di donne e infatti di donne fondatrici non ce ne sono a parte la famosa Didone che fondò, grazie all’astuzia della pelle di toro, la città di Cartagine. Sì, però Didone era esotica, veniva da lontano, aveva la pelle scura, non era proprio una delle nostre donne, giusto per ribadire che la fondazione è una dura pratica maschile con la quale le femmine, con la loro morbidezza, hanno poco a che fare.
«La loro presenza era una novità assoluta»
Eppure eppure, con tutte le loro presunte instabilità, inclinazione e morbidezza, 21 donne entrarono nel novero dei cosiddetti «padri fondatori» della Costituzione italiana dopo essere state elette il 2 giugno 1946 all’Assemblea Costituente. 21 su 556, il 3,7 per cento. Eppure, scrive Emilio Gentile nella bella e sentita introduzione al libro della saggista e giornalista Eliana Di Caro, Le madri della Costituzione (ed. Il Sole 24 Ore), «la loro presenza era una novità assoluta, in quell’anno di novità e di svolta epocale». Se si guardano vecchie foto in bianco e nero di quel consesso reperibili in rete, si riesce a scorgere qua e là qualche figuretta femminile.
La loro presenza viene ora ricostruita nel libro di Di Caro in una raccolta di vite «vissute e convergenti – ancora Gentile – di 21 donne che volevano realizzare con la parità tra cittadine e cittadini, la libertà e la dignità di ogni essere umano». Libertà e dignità che neppure oggi, all’ingresso del secondo quinto del secolo ventunesimo, sono pienamente realizzate e per le quali ci si deve impegnare ogni giorno per trasformare la parità di diritto in parità di fatto. Concetto sul quale torneremo, non prima di aver esortato tutti alla lettura di libri come questo, da diffondere non soltanto come lettura della buona notte per bambine ribelli ma anche per ragazzine impegnate, quali «Marta Caiulo, 9 anni, Sindaca dei Ragazzi di Brindisi, e tutte le bambine e i bambini che si mettono sulla strada maestra delle ventuno elette», e questa volta cito la dedica dell’autrice. Sono certa che la bambina-sindaca non si comporterà come i maschietti-sindaco eletti in passato in contesti simili, e che per prima cosa dotavano il loro paese di una pista per skateboards e di un nuovo campo da pallone dovre avrebbero giocato incontrastati, con le bambine al più ad ammirarli dagli spalti. Sono sicura che la piccola sindaca penserà a tutti e a tutte, e soprattutto ai più deboli e svantaggiati, come fecero le 21 costituenti di sesso femminile.
Granatieri della costituzione
Se ci fu infatti un comportamento comune a tutte queste donne (comuniste, socialiste, democristiane o rappresentanti di “L’uomo qualunque”), oltre al fatto di aver spesso cercato (e trovato) condivisione delle loro posizioni, esso coincise col pensare ai soggetti svantaggiati, alle donne contadine, operaie, artigiane, disoccupate, madri di famiglia, ma anche ai contadini, ai braccianti, agli operai, ai disoccupati, ai padri di famiglia nonché ai bambini e ai ragazzi senza famiglia, che tutti uscivano stremati dagli anni della guerra e umiliati dalle discriminazioni e dalle ingiustizie fasciste.
Anche molte di queste donne venivano da famiglie povere o poverissime; altre dalla piccola, media ma anche grande borghesia. Tutte ebbero vite avventurose, travagliate, impegnate; alcune subirono esperienze devastanti, e molte delle loro storie mi hanno fatto venire i brividi dall’emozione, dallo sdegno, dal dolore; alcune mi hanno profondamente commossa e mi hanno fatto riflettere sulla banalità e le comodità di vita di noi donne nate e cresciute in democrazie liberali e in contesti economici di più o meno diffuso benessere.
Eppure i nomi di queste donne, che a leggere le loro biografie sembrano, più che tenere madri, energici granatieri della Costituzione, sono caduti nell’oblio, e cara grazia se ci si ricorda di Rita Montagnana e Nilde Iotti (per questioni private poi, e relative a un uomo, perché le donne, si sa, esistono prevalentemente in relazione ai loro uomini, padri, fratelli e sposi), di Teresa Noce e di Lina Merlin. E le altre, da Maria Agamben a Maria De Unterrichter? Dove sono le piazze e le strade, le statue e le targhe a loro intestate? Poiché però non dobbiamo lamentarci ma agire, dal momento che, come diceva Primo Levi, «di fronte ai soprusi lamentarsi non serve, occorre difendersi, individualmente o collettivamente, con tenacia e intelligenza, e anche con ottimismo», eccoci a difenderci, senza lagnarci, con i mezzi che abbiamo, che poi non sono altro che le parole.
Agire, non lamentarsi
Eccoci dunque ad agire affiancando le nostre parole a quelle dell’autrice ma soprattutto a quelle delle donne della Costituzione. Teresa Mattei, 1921-2013, Comunista: «Noi non possiamo ammettere che alle donne, in quanto tali, rimangano chiuse le porte che sono invece aperte agli uomini». Inteso era l’accesso alla Magistratura, negato fino a quel momento alle donne perché considerate – già lo sappiamo – volubili, instabili e non equilibrate. Ancora Teresa Mattei: « È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto – noi vogliamo che sia aggiunto – la libertà e l’eguaglianza degli individui». Di Maria Agamben, 1899-1984, Democristiana, leggiamo che sostenne insieme a molte delle 21 elette un emendamento che puntava a modificare il futuro art. 51 relativo agli uffici pubblici, ai quali i cittadini di entrambi i sessi devono entrare in condizioni di eguaglianza, cancellando la frase riferita alle donne: «Conformemente alle loro attitudini». Mentre Maria Maddalena Rossi, 1906-1995, Comunista, rimbrottando nientemeno che Piero Calamandrei, così diceva: «Si è parlato di preminenza naturale dell’uomo sulla donna. Io vorrei dire che la preminenza giuridica dell’uomo sulla donna proviene da un’altra cosa: dalla sua preminenza economica... che quasi sempre ha avuto in passato ma che oggi in moltissimi casi non ha più».
Ma le parole forse più importanti a favore della parità dei sessi introdotte nella Costituzione furono quelle di Lina Merlin, 1887-1979, Socialista. Laddove si diceva, in quello che sarà l’art. 3 che fissa il principio di eguaglianza: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, di lingua, di religione...» Merlin propose di aggiungere «di sesso». Grazie senatrice Merlin, per la sua legge a protezione delle prostitute indegnamente sfruttate dallo stato, e grazie davvero per queste due parole. Perché dove questa specificazione è assente succedono cose gravi, o almeno succedevano in passato.
La differenza dell’età e del sesso
Mi riferisco in particolare a un caso paradossale che mi piace ripetere e col quale concludo, e mi scuso se qualcuno lo ha già da me sentito. Riguarda il celebre Manifesto degli Eguali, programma protocomunista dei congiurati riuniti intorno a Gracco Babeuf, che avrebbero voluto introdurre in Francia l’eguaglianza di fatto tramite l’abolizione della proprietà privata. Ebbene, nel manifesto redatto da Sylvain Maréchal nel 1799, si chiede, esplicitamente, che «non ci sia più fra gli uomini altra differenza che quella dell'età e del sesso». – Questo fa comprendere come lo stesso Maréchal abbia potuto scrivere nel 1801 un incredibile (ma vero) Progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere ove si dichiarava che: «la Ragione vuole: All'uomo la spada e la penna. Alla donna l'ago e il fuso». Non riusciamo neanche a immaginare che qualcuno possa seriamente pensare di distribuire i compiti per sessi in tale o simile modo, eppure quella differenza dell’età e del sesso che unisce le donne ai minori era compatibile con la visione del mondo di alcuni padri costituzionali. Meno male che c’erano anche, poche ma buone, le madri.