L’Esperimento richiede di continuare
La lingua dei signori della guerra s’impose su quelle della vecchia Europa nel neolitico. L’archeologa Marija Gimbutas (1921-1994) identifica nei Kurgan e negli Indoeuropei i campioni nell’arte della guerra e della violenza. Sistema linguistico ordinato, dove l’esitazione è tradimento. Questa lingua si nasconde/mostra nell’intertestualità delle nostre espressioni più brutali, come nelle barzellette del capo, che esitano in un emispasmo glosso-labiale dei suoi adepti. Unica forma di esitazione concessa.
Felice ha diciassette anni. È sotto processo insieme a un gruppo di coetanei. Poca voglia di studiare, i suoi lo mandano in collegio, anche se oggi si chiama convitto, è moderno, con giardino e comodità. Dorme con un compagno.
Primo racconto. Il gruppo lo costringe a scegliere, con loro oppure vittima. Diventa un sensale di tortura. Apre la porta della camera e deve, dice, mostrare di essere il primo persecutore, invita gli altri a proseguire. Zona grigia. Quando gli altri se ne vanno cerca di lenire le ferite del compagno. Come nel film Garage Olimpo di Marco Bechis, dove il timido suo omonimo, innamorato di Maria, si trova a torturarla. Al secondo incontro si mostra timido come l’altro, Felix.
Nuovo racconto. Insiste con il compagno di camera perché si vada insieme dal Rettore a denunciare gli episodi, ma, dice, la vittima non ci sta, ha paura. Il medico osserva ustioni e lesioni. Il gruppo è una decina, il capo, più grande, ripetente, senza famiglia. Il processo termina con la sentenza di lavoro sociale, se l’accordo non si rispetta, scatta la recidiva. Il solito. Non importa che non funzioni mai, è protocollo.
Viene in mente l’esperimento di Milgram (1961). Milgram istruisce le sue cavie in questi termini: “Stiamo facendo un esperimento sull’apprendimento, abbiamo scoperto che accelera se il soggetto è sottoposto a punizioni”. Presenti alla spiegazione ci sono due uomini, l’attore che collabora segretamente con Milgram e il soggetto sperimentale. L’attore farà l’allievo, l’altro l’istruttore. Una macchina - simulata per dare la scossa all’allievo quando sbaglia - è il mezzo punitivo. L’apparecchio è graduato, da lieve a molto pericoloso. Man mano che gli errori si accumulano, la scossa cresce, fino al punto in cui l’allievo protesta, prima con urla, poi gridando: “Tiratemi fuori di qui!”, infine col silenzio, come svenuto, forse morto.
La scena è comunemente identica, alle prime urla l’istruttore si gira verso il Professor Milgram, presente alle spalle dell’istruttore, con un camice bianco, su una cattedra rialzata; citazione dal grande dittatore di Chaplin. L’istruttore chiede d’interrompere l’esperimento. Milgram ripete all’infinito: “Prosegua. L’Esperimento richiede che lei prosegua”.
La sequenza dura tre minuti. L’allievo grida, chiede di essere liberato. Segue la torsione tragica del soggetto dell’esperimento (l’istruttore), che si rivolge a Milgram. Il Professore, dall’alto della cattedra, dice: “Prosegua. L’Esperimento richiede che prosegua”. L’uomo impartisce una nuova scossa. In molte sequenze il persecutore si torce, come il suo volto, in una smorfia. Il mascherone di Santa Maria Formosa a Venezia, studiato da Charcot e Richer: emispasmo glosso-labiale isterico. Mostro a Felice la sequenza, tre minuti. Ha una reazione simile a quella dell’istruttore nel video, si vede in quei panni e resta senza parole. Sembra l’Homer Simpson del Giorno della locusta, il Lennie di Uomini e topi.
Rimangono i resti, senza linguaggio. Di fronte alla violenza Felice resta senza parole.