Luca Maria Patella s-comparso

28 Agosto 2023

Non un artista come gli altri, è stato questo il suo problema, bensì uno che si era fatto un’idea irriducibile dell’arte, a cui ha dedicato tutta la vita, morendo letteralmente con la penna in mano, scrivendo, disegnando, progettando sui fogli sparsi sul letto, nei suoi leggendari quaderni dove prendeva nota di tutto, sogni, riflessioni, lettere… Chi dimentica le sue lettere scritte ancora a mano – eventualmente le faceva spedire scannerizzate per email da un service sotto casa –, piene di aggiunte, frecce, sottolineature, parole cerchiate, disegnini, in colori diversi, fogli pieni fino all’inverosimile. Erano, sono la fotografia della sua mente, del suo pensare, di tornare continuamente a rileggere, chiosare, individuare giochi di parole, di suoni, di sensi.

Parlo di Luca Maria Patella, morto venerdì scorso alle soglie dei novant’anni.

Terra animata
Luca Maria Patella, Terra animata, 1967. Tela fotografica virata, 125 x 190 cm.

Era un “fissato”, non pensava ad altro che all’arte, che per lui era tutto, era ciò che legava e doveva contenere tutto. L’ha ripetuto-ribadito mille volte: creativo fin da bambino, dettava storie ancora prima di saper scrivere, ha esitato tra la approfondita formazione scientifica e quella artistica fino al momento in cui ha compreso che le due dovevano convivere e anzi, per essere un vero, un grande artista, dovevano intrecciarsi anche con riflessione filosofica, semiologica, psicanalitica, di tutto lo scibile umano. Memorabili sono i suoi primi libri con diagrammi delle relazioni e degli intrecci tra queste discipline, le sue performance in cui li sottoponeva al pubblico – meno affascinante di Joseph Beuys, troppo intellettuale per alcuni, ma ora li ristudieremo e vi scopriremo un sacco di cose.

Era insistente, ripeteva di aver anticipato tutto. Il fatto è che è vero, ma, almeno così gli dicevo io, lo devi lasciar scoprire e dire dagli altri, no? o comunque farlo con discrezione, con precisione, non con rivendicazione. Ma è vero anche che il mondo dell’arte è fatto così, che la modestia è considerata “falsa” in ogni caso. Eppure viveva isolato, poco presente, per niente mondano. Era Rosa, la moglie-musa-complice, a tenerlo al corrente di tutto, a sollecitarlo anche, a tenere i rapporti.

Alberi parlanti.
Luca Maria Patella, Alberi parlanti & cespugli musicali (interattivi), 1971. Installazione alla Walker Art gallery, Liverpool.

I collezionisti lo ricordano per le Terre animate (1965-67), specie se su tela emulsionata, ché così sono copie uniche. In effetti è stata la sua idea più “iconica”: proto-land art – è Jeffrey Deitch ad averlo scritto –, originalissime nella composizione, così semplici ma fulminee; “animare”, dare anima – Gustav Jung c’entra molto –, e prendere anima dalla Madre Terra; misurare, ma in senso qualitativo, come relazione, fino alla “rubedo”, la trasformazione secondo l’Alchimia. E la reinvenzione, a sua volta rianimazione, della sovraesposizione e del viraggio. Il coraggio di averne fatto un film (diceva di essere stato il primo, anche qui, a usare la cinepresa in Italia, per poi prestarla agli altri artisti vicini).

Ma si passino in rassegna tutte le sue mostre da Fabio Sargentini e si vedrà come ognuna era una novità e un rinnovamento continuo. Delle sue installazioni si ricorda soprattutto quella degli Alberi parlanti (1971), ma quante altre sono da rivedere, quelle politiche (con la falce e martello), quelle polemiche (Porci in alto non è il caso, 1977), quelle con citazione, quelle con “strip-tease” (dell’anima, di nuovo). Certo, gli Alberi parlanti sono più memorabili – prima ci furono i Muri parlanti (dello stesso anno), meno spettacolari, evidentemente –, ma chi è andato a vedere, ops!, a sentire, cosa dicevano?

 

Diagramma
Luca Maria Patella, pagina dal libro “Io sono qui” (Avventure & cultura), 1970-72. Edizione La Nuova Foglio, 1975.

Troppo complicato! Troppe cose diverse. È stato il suo altro problema. Ma lui non demordeva: tutto doveva diventare “opera”, lavoro d’artista, che fossero libri, perfino i cataloghi (non ce n’è uno “normale”) – e i “bollettini” –, la documentazione (fotografava e riprendeva in continuazione – quante fotografie e video inediti che ha esitato a stampare), gli oggetti. Anche la scrittura, intendo poesie e “romanzine”, come le chiamava, erano per lui lavoro d’artista (“letteratura d’artista”, se si potesse dire come si dice “libro d’artista”), che infatti trattava allo stesso modo, sul linguaggio verbale (ma non solo, in realtà) invece che quello visivo (che del resto era ben più che visivo). Ma quando si ha il quadro generale della sua attività, tutto diventa chiaro, tutto godibile, e di una ricchezza che pochi artisti hanno coltivato (o si sono permessi).

Chi può dimenticare le sue “scoperte” duchampiane? Il Tum (titolo di un’opera di Duchamp) che è il riflesso speculare di Mut (lo pseudonimo adottato per l’Orinatoio), scritte allora appunto con uno specchio al centro. Il letto “wrong” (sbagliato) di Apolinère Enameled, da lui ricostruito “right” (giusto), e anche ingigantito in modo che la bambina diventi una Alice nel Paese delle Meraviglie.

E le fotografie? Tutto reinventato: il fish eye, il foro stenopeico, le colorazioni senza pellicola a colori. Tutto spiegato anche questo, come tutto il suo lavoro (per tecniche, soggetti, oggetti…), in un libro, in questo caso La fotografia dalla alfa alla zeta (2004).

Montepulciano.
Luca Maria Patella, Omaggio a Diderot, 1983. Proiezione sulla facciata del Palazzo Comunale di Montepulciano.

Non ha mai fatto parte di gruppi, e questo l’ha pagato, tanto più che era intransigente nei discorsi e severo nel denunciare. Ma è stato all’inizio di tante situazioni che poi sono diventate gruppi. (È la storia di diversi artisti importanti in Italia e non solo.)

Era divertentissimo se gli eri amico, almeno con me lo è stato sempre. Parlava come scriveva, non poteva non giocare con le parole, ma lo faceva sorridendo, per suggerire, ma soprattutto per farti intendere continuamente che non c’è essere senza non essere, non c’è sapere senza ignoranza, non c’è conscio senza inconscio: “C’eravate prima di entrare” (da Jacques le Fataliste di Diderot), frase che proiettò sul Palazzo Comunale di Montepulciano (1983).

Letti.
Luca Maria Patella, Letti (The wrong & right), 1990. Materiali vari.

Negli ultimi anni era davvero chiuso in casa, soprattutto a partire da una caduta che gli aveva causato disturbi permanenti a una gamba. E allora lavorava e lavorava, forse anche di più di prima, visto che non aveva più distrazioni. Stava finendo un nuovo libro che spero esca e non passi nel reparto delle attese. Per quanto chiuso in casa, era comunque di una disponibilità assoluta, ha moltiplicato le sue comparse, approfittando della tecnologia, con registrazioni (d’artista, of course) o collegamenti in diretta. Voleva farsi sentire, soprattutto alle ultime generazioni, sicuro che fossero più curiose e interessate.

Purtroppo la distanza non ci ha permesso di frequentarci con la disinvoltura degli amici, come io avrei voluto, ma mi si permetta di concludere con la commozione che gli devo.

In copertina: Luca Maria Patella, Id e Azione, 1976. Performance.

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