Lui, lui, lui... e Walter Chiari

8 Marzo 2024

Nel 2024 la televisione italiana e Walter Chiari festeggiano insieme, e a pochi mesi di distanza, un importante anniversario: cento anni lui, un po’ più giovane – settant’anni – lei. Questa beffarda coincidenza ci porta inevitabilmente a parlare ancora oggi del lungo e travagliato rapporto tra i due. Walter Chiari è stato infatti l’ospite d’onore di molti compleanni della RAI, l’officiante dei riti televisivi, il ponte tra la platea e una strana entità situata proprio al di sopra del suo ciuffo bruno: la televisione.

Perché Chiari con la televisione parlava, e nel corso delle sue trasmissioni la interpellava direttamente, spesso volgendo lo sguardo in alto, come a consultare un’entità divina. Uomo di spettacolo a tutto tondo, reduce dai palcoscenici più sgangherati dell’avanspettacolo, dal teatro di rivista e dalle commedie musicali, dalla radio, dal cinema popolare e d’autore, Chiari (nato Walter Annicchiarico l’8 marzo 1924) approda alla televisione nel 1958 con la trasmissione La via del successo, scritta da Metz, Marchesi, Frattini e Terzoli. Si tratta di uno spettacolo televisivo strettamente imparentato con la bidimensionalità del teatro di varietà, ed è proprio da quell’immenso bacino di sketch che Chiari attinge liberamente portando su piccolo schermo gag già ampiamente collaudate assieme a Carlo Campanini ed altri. 

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Walter Chiari con William Holden in La via del successo, 1958.

Pur essendo alle prime armi con il linguaggio televisivo, Chiari non è mai un semplice mediatore passivo e isolante. Da La via del successo in poi sarà sempre, piuttosto, un “conduttore di elettricità”, generoso e abile nel mettere in contatto democraticamente la platea presente in studio e quella che partecipa allo spettacolo da casa. Chiari è però anche in grado di far crescere, nello spettatore televisivo, un certo senso di frustrazione e insoddisfazione, un genuino sentimento di invidia nei confronti di chi assiste allo spettacolo dal vivo, di chi può beneficiare della vicinanza del conduttore e dei suoi sguardi. Chiari, infatti, non guarda quasi mai nell’obiettivo della telecamera, e non perché è abituato alle regole del set cinematografico. I suoi sguardi e le sue attenzioni sono rivolti anzitutto al pubblico presente in studio, un pubblico che conserva, almeno in parte, le caratteristiche della platea teatrale cui Chiari sarà sempre molto affezionato. 

Negli anni in cui la paleotelevisione fagocita le ormai sorpassate forme dello spettacolo popolare, Chiari emerge come un ponte tra mondi e linguaggi differenti. In La via del successo, infatti, da un lato fa affidamento sul suo repertorio affinato in anni di spettacoli di rivista e varietà, ma dall’altro crea ex novo uno stile di conduzione atipico. Molti anni dopo, così lo ricorderà Enrico Vaime in un intervento apparso nel 2015 in un numero di “Panta” dedicato a Marcello Marchesi:

Walter non assomigliava ai comici tradizionali ai quali si era abituati, quelli che davanti a un congiuntivo si facevano prendere da una colica. Walter usava i congiuntivi e i condizionali e li adoperava tutti, un miracolo per allora. […] Era moderno. Era bello, atletico, intelligente. E sapeva parlare. […] Walter è arrivato che aveva già tutte le sue consecutio a posto e quindi è stato uno shock. Era anche fisicamente più gradevole. Non faceva ridere perché era uno sgorbio o perché era basso e grasso.

Vera e propria celebrity ante-litteram, in lui vita personale e professione si mescolano tra loro e si forgiano reciprocamente. È così che si creano, nel corso degli anni, alcune ricorrenze e cliché che accompagneranno Chiari fino alla fine della sua carriera: i proverbiali ritardi, i viaggi intercontinentali per incontrare Ava Gardner, l’amore per il Milan o gli interminabili e incontenibili monologhi – che lo stesso Chiari, nel suo “semiromanzo quasibiografico” Quando spunta la luna a Walterchiari (Sipiel, 1974), volle ribattezzare «logorrate walteriane». Ma anche la passione per il mondo del pugilato, uno sport che ha frequentato agli albori della sua carriera e che gli ha lasciato quell’insolita camminata da boxeur, con la spalla destra un po’ più bassa rispetto alla sinistra. 

Alto, dinoccolato, attraente. Il cinema valorizza fin da subito la prestanza fisica di Walter Chiari facendogli vestire i panni di calciatori (L’inafferrabile 12, Mario Mattoli, 1950), pugili (Walter e i suoi cugini, Marino Girolami, 1961), ginnasti circensi (Arrivano i nostri, Mario Mattoli, 1951), gladiatori (O.K. Nerone, Mario Soldati, 1951) o, più semplicemente, facendogli interpretare uomini di mezza età affetti dalla sindrome del gallismo o con il complesso di Peter Pan (Gli zitelloni, Giorgio Bianchi, 1958; Gli italiani e le donne, Marino Girolami, 1962; l’episodio La gelosia in Capriccio all’italiana, Mauro Bolognini, 1968); mentre solo di rado gli verranno affidati ruoli più articolati e introspettivi, comunque giocati su un registro brillante o al limite agrodolce (Bellissima, Luchino Visconti, 1951; La rimpatriata, Damiano Damiani, 1963; Il giovedì, Dino Risi, 1964; Io, io, io... e gli altri, Alessandro Blasetti, 1966).

A teatro e in televisione è l’unico che può interpretare una parodia credibile di Marlon Brando (nella trasmissione Il teatrino di Walter Chiari del 1959 e nella versione televisiva del 1966 della commedia musicale Buonanotte Bettina) sfoggiando una canotta a righe striminzita e logora, degna di quella indossata dall’attore americano nel 1951 in Un tram che si chiama desiderio. Ma le performance atletiche che valorizzano la sua prestanza fisica si mescolano sempre a tratti puerili e sconclusionati: uno strano mix di bellezza e comicità che fa di Walter Chiari un unicum all’interno del panorama attoriale del secondo Dopoguerra. Chiari riesce in sostanza a realizzare una parodia dei modelli tipicamente mascolini – i cosiddetti “tarzanisti” del grande schermo – proponendo spesso personaggi dai tratti animaleschi e scimmieschi. Del resto, già nel 1944 l’attore porta nei suoi primi spettacoli per i militari l’imitazione dello scimmione, destinata a tornare in film e sketch successivi. 

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Chiari con Anna Magnani in un fotogramma di Bellissima, 1951.

Questo ci dà un’idea di quanto l’esperienza nell’avanspettacolo e nel teatro di rivista sia stata fondamentale per Chiari. Tutto il materiale creato in quegli anni formerà un serbatoio potenzialmente infinito, dal quale egli attingerà fino alla fine della sua carriera. Le sue macchiette saranno un tratto distintivo – ma anche il suo sostegno, una sorta di coperta di Linus – soprattutto nel momento in cui Chiari si troverà alle prese con grandi autori e attori del grande schermo. In Bellissima, ad esempio, Chiari interpreta Annovazzi, un personaggio inizialmente modesto e solo più tardi ampliato e caratterizzato grazie all’apporto di Suso Cecchi D’Amico. Dopo aver rimesso mano al soggetto di Zavattini, gli sceneggiatori inventano la sequenza alla trattoria del Biondo Tevere. Ecco come l’hanno descritta Nicola Dusi e Lorenza Di Francesco (“Bellissima” nelle stratificazioni delle scritture di Visconti, Cecchi D’Amico, Rosi, in “Bellissima” tra scrittura e metacinema, a cura di N. Dusi, L. Di Francesco, Diabasis 2017):

durante il pranzo, la macchina da presa segue principalmente Maddalena, e questo ha delle conseguenze importanti sulla rappresentazione di Annovazzi […]. Quando questi gioca con Maria che non vuole prendere lo sciroppo, la macchina da presa lo inquadra frontalmente in un primo piano che esalta il divo Walter Chiari nella sua performance comica.  

Attraverso l’espediente dello sciroppo si dà all’attore l’occasione di palesare la sua indole di comico che nel film viene volutamente castrata, gli si dà in sostanza la possibilità di essere riconosciuto attraverso una delle sue tante macchiette – quella del “paperino” – dagli spettatori che lo avevano visto a teatro o nei tanti film popolari usciti a cavallo tra anni Quaranta e Cinquanta. 

Scrivere di Walter Chiari significa essenzialmente sviscerare cinquant’anni di storia dello spettacolo italiano tra radio, teatro, televisione e cinema. Nelle trasmissioni, nei film, negli spettacoli radiofonici e teatrali, Chiari è sempre riuscito a creare un dialogo e un legame con i suoi spettatori. Persino nel suo romanzo autobiografico del 1974, l’attore esplicita fin dalle prime pagine la sua necessità di avere un pubblico di lettori attivi, vivi, curiosi, degli interlocutori da interpellare continuamente:

Curiòs, vero? Non intendo dire se trovi curioso il fatto che io abbia scritto un libro, […] intendo dire: sei curiòs di vedere cos’ho scritto, sarà un romanzo, una storia vera e propria con un capo, una coda e una vicenda tra l’uno e l’altra? Oppure una “logorrata” walteriana in righe e spazi anziché in carne ed ossa? Cosa potrà aver scritto Walter, lui che parla, parla, parla e ogni parola è uno spunto per divagare, per allungare il discorso verso la conclusione. […] Capisci perché mi fa paura la lingua scritta? E poi manca la mimica, la gestualità, l’intonazione. […] La platea, a teatro, “intende”, afferra al volo che, se per esempio mi rivolgo ad una signora, parlo a tutti. Il soggetto o il verbo o il predicato, al maschile o al femminile, otto volte su dieci va bene per tutti, non crea confusioni, se dico “curiosa, eh?” alla signora della prima fila, tutti capiscono che mi sono rivolto a ciascuno di loro.

In questo incipit c’è tutto, persino un primo sgangherato prototipo dell’odierna schwa (quel “curiòs”, volutamente tronco e privo di declinazione al maschile o al femminile, scritto con un preciso intento “inclusivo”). Ma c’è anzitutto un’attenzione specifica nei confronti del linguaggio dei media, caratteristica che farà dell’attore uno tra i più attenti osservatori, in particolare, del mezzo televisivo. 

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Chiari negli anni ’80, fotografato al Teatro Ristori di Verona.

Chiari si è sempre definito prima di tutto un uomo di teatro, ma è stato anche un grande attore che si è lasciato sfuggire dalle mani – forse volutamente – il successo cinematografico. E nonostante la difficoltà più volte ribadita «di far ridere guardando un tubettino nero con un vetro», Chiari è stato anche un uomo di televisione, almeno fino a quando la televisione glielo ha permesso. È difficile dire chi e cosa sia stato Walter Chiari per la storia dello spettacolo italiano e, più in generale, per la nostra Storia. La sensazione è che lui ci sia sempre stato, in tutti i momenti simbolici della storia del nostro Paese, anche quando non lo abbiamo visto. Era appena al di fuori di un’inquadratura de La dolce vita, forse era dietro la macchina da presa di Luchino Visconti sul set di Rocco e i suoi fratelli, probabilmente era immortalato di spalle in una fotografia di Uliano Lucas scattata davanti al Pirellone, forse era in sala di registrazione con Mina nel momento in cui incideva Le mille bolle blu

Al di là di queste ipotetiche presenze che si situano ai margini della vita e degli eventi, ciò che rimane ancora oggi, a quasi trentatré anni dalla scomparsa (avvenuta il 20 dicembre 1991), è il Chiari protagonista assoluto degli eventi, quello che si mostra davanti all’obiettivo di una macchina da presa o di una telecamera, quello che, con le parole di Marcello Marchesi, «si dà fuoco tutte le sere per scaldare gli amici».

In copertina: Walter Chiari in una immagine degli Archivi RAI.

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