Una storia di immigrazione / Il suonatore del Bangladesh

12 Luglio 2020

Camminando nel centro di Ravenna, in via Corrado Ricci, da anni si può vedere un musicista del Bangladesh, seduto sotto i portici, intento a suonare un armonium. Io da lì ci passo molto spesso anche se, a dire il vero, non ho mai trovato il tempo per fermarmi. La sua musica, però, quella sì che mi è rimasta molto impressa: non avevo mai sentito così distintamente il suono di questo strano strumento in legno, che assomiglia un po’ a una fisarmonica. Il musicista è un uomo sui cinquant’anni, i capelli grigi e il viso sorridente, se ne sta seduto sempre nello stesso posto sotto quei portici di origine fascista, davanti alla piccolissima Chiesa di Santa Maddalena, non lontano dalla tomba di Dante Alighieri, che a Ravenna trovò asilo e poi vi morì. Una mattina decido di fermarmi a scambiare due chiacchiere e ad ascoltare meglio il musicista. E poi mi piacerebbe scrivere qualcosa su di lui. Io mi presento, lui mi dice che si chiama Cesar, è molto gentile e sorridente e alla mia richiesta di poterlo intervistare risponde subito di sì, senza chiedere altro. Così ci scambiamo i numeri di telefono.

 

 

È il primo febbraio, un sabato mattina, c’è il sole, io e il fotografo Marco Parollo lo andiamo a prendere nel solito posto e lo accompagniamo nello studio di Marco a cinque minuti a piedi. Il musicista ci racconta di chiamarsi Hossain Mehedi, ma suo padre gli diede il soprannome di Cesar, perché amava Giulio Cesare. Il padre, morto da pochi anni, era un uomo molto colto, collezionista di libri e di dischi. Laureato in legge, divenne in seguito avvocato, professione che ha esercitato per alcuni anni, soprattutto per lo Stato del Bangladesh. Poi è diventato prima ispettore e in seguito direttore del Labour Department del Governo. La madre di Cesar, di estrazione molto benestante, faceva la casalinga ed è morta nel 2001. In famiglia stavano decisamente molto bene e vivevano in una casa di proprietà a Dhaka, la capitale del Bangladesh, in un quartiere molto ricco. Cesar ci dice che non ama molto né il suo nome di battesimo né il suo soprannome. Avrebbe preferito essere chiamato con un nome bengalese, la sua lingua madre. In Bangladesh oltre il novanta per cento della popolazione pratica l’Islam e Hossain Mehedi è evidentemente un nome di origine araba, e per questo a Cesar non piace. Lui è di famiglia musulmana, però il motivo per cui ha deciso di lasciare il Bangladesh è l’intolleranza religiosa. Con un gruppo di amici, in giro per le strade, spiegava alle persone che incontrava che bisognava aprire la mente e smettere di usare nomi in lingua araba o salutarsi con as-salamu alaykum. In bengalese ovviamente esiste una parola per dire buongiorno, ed è schubHo schokal, quindi è così che ci si dovrebbe salutare quando ci si incontra, afferma l’uomo.

 

 

 

Hossain Mehedi è nato a Dhaka il 12 dicembre 1969, non è sposato e non ha figli. Per tutta la vita non ha fatto altro che suonare l’armonium, ne ha scoperto i segreti fin da bambino, senza l’aiuto di nessun maestro. In verità un po’ gli hanno dato una mano il fratello e la sorella maggiori, lui suonatore di tabla, lei famosa suonatrice proprio di armonium, al punto da incidere dischi e andare in televisione. Inoltre, ci racconta l’uomo, la sua casa natale è sempre stata frequentata da artisti di ogni genere e anche il fratello del padre era un famoso poeta. La sorella di Cesar porta il soprannome di Dilù, che vuol dire cuore, il fratello quello di Tul Tul, ovvero morbido. In Bangladesh tutti hanno un soprannome e una volta, quando molti bambini non venivano neanche registrati allo stato civile, alcuni avevano solo quello. L’armonium di Cesar ha circa vent’anni, è stato fabbricato a Calcutta e glielo ha regalato il fratello che lo ha comprato in un negozio vicino a casa, a Dhaka. Poi Cesar se l’è portato con sé quando nel 2010 è venuto in Italia con il volo Dhaka – Milano Malpensa solo andata, chiamato con le quote dallo stesso fratello, che intanto si era trasferito a Bologna per lavoro, quote per lavoro domestico, giusto per fuggire via dal proprio Paese.

L’armonium è uno strumento musicale ad aria e i suoni vengono ottenuti tramite una tastiera, come avviene per la fisarmonica. In India uno strumento simile esiste da circa mille anni, mentre quello attuale, che usa anche Cesar, è stato importato dopo la metà dell’Ottocento da missionari cristiani occidentali perché facile da trasportare. Veniva infatti utilizzato soprattutto per accompagnare il canto durante le funzioni religiose e poi ha avuto molta diffusione nella musica classica indiana. In Occidente è nato con il nome di orgue expressif ed è stato inventato nel 1810 da un costruttore francese, un certo Grenié, e poi brevettato nel 1848 da Alexandre-François Debain, anche lui francese.

 

 

Come si diceva, in casa di Cesar la musica c’è sempre stata, il padre era un collezionista di dischi, ne aveva a centinaia, soprattutto musica di Calcutta e di Dhaka. Cesar sostiene che la musica sia nata proprio in India e ama molto anche quella contemporanea, come le colonne sonore dei film di Bollywood. Musica che piace anche a me, anche se possiedo una sola raccolta di grandi successi. Proprio lo scorso anno, a novembre, ho avuto la possibilità di assistere al concerto di Asha Puthli, una star di Bollywood, durante la serata conclusiva del Festival Le Guess Who?, che da oltre dieci anni si tiene nella città olandese di Utrecht. La cantante bollywoodiana preferita di Cesar è invece Lata Mangeshkar, che oggi ha ottantun anni e continua a fare concerti. Lata Mangeshkar è persino stata nel Guinnes dei primati dal 1974 al 1991 come cantante con il maggior numero di registrazioni al mondo, circa trentamila. Anche le sue sorelle, più giovani di lei, sono cantanti di successo e una di queste, Asha Bhosle, a detta di Cesar è stata la maestra di Asha Puthli. Lata Mangeshkar è originaria di Indore, il maggior centro urbano del Madhya Pradesh, mentre Calcutta, dove è stata prodotta la maggior parte dei dischi della collezione del padre di Cesar, è nel Bengala Occidentale, ai confini con il Bangladesh.Bengal è la provincia con più cultura di tutta l’India” racconta Cesar con aria soddisfatta. “Abbiamo Tagore, che ha scritto canzoni, poesie, romanzi e drammi, lui ha anche avuto il premio Nobel per la letteratura”. E in effetti Rabindranath Tagore, che era anche pittore e filosofo, è stato il primo scrittore non occidentale a ottenere il prestigioso premio, nel 1913, dodici anni dopo la sua prima assegnazione. Le sue canzoni sono state cantate anche dalla stessa Lata Mangeshkar.

 

 

Fin da giovane, a partire dagli anni ottanta, Cesar incideva cassette e andava in televisione. “Una o due volte all’anno suonavo l’armonium per la televisione di Stato, la Bangladesh Tv, BTV. All’epoca c’era un solo canale, oggi ci sono tanti canali privati” racconta l’uomo. “Ho iniziato nel 1986 e sono andato in televisione fino al 1994”. Alla BTV si esibiva tutti gli anni in occasione dell’Aïd el-Fitr, la festa che nell’Islam segue la fine del Ramadan. Cesar ha molta voglia di parlare e così ci racconta della sua giovinezza, di quando a dieci anni vinceva i tornei di tennis da tavolo e, più avanti, di quando frequentava la più grande scuola superiore di Dhaka, la Central Government High School, “dove ero abbastanza bravo sia in matematica che in letteratura, anche se la mia grande passione, anche ai tempi, era la musica”. Il fratello invece, Tul Tul, il suonatore di tabla, prima di giungere in Italia, grazie a una borsa di studio si è trasferito in Svizzera dove si è laureato in Hotel Management.

 

 

Adesso vive con la famiglia a Londra, dove fa il commesso in una farmacia, “uno dei pochi bangladesi a fare quel lavoro”, sottolinea Cesar con orgoglio. Da Bologna Cesar si è invece trasferito a Ravenna, dove ha trovato alloggio presso una signora anziana, senza marito né figli, che gli dava da dormire e da mangiare in cambio di un aiuto in casa. “Si chiama Ebe Tesselli, la sua casa era piena di dischi e faceva sempre la settimana enigmistica. Aveva un compagno pittore, che però è morto” racconta l’uomo. “Lo scorso agosto è stata messa in una casa di riposo, ha circa novant’anni, e così sono rimasto senza un posto per dormire. Ebe Tesselli – continua Cesar – mi ha dato tante buone cose che non avevo nel mio paese, è una bella persona, ci capivamo al volo, due tre minuti capito tutto. Se sono rimasto in questo Paese è stato solo per lei”. Cesar in Italia si è sempre trovato molto bene, pensa che gli italiani siano gentili e “troppo civili”, così dice. Non a caso lascia molto spesso il proprio strumento incustodito sotto ai portici dove è solito suonare. “Gli italiani sono i genitori di Europa e di America, avete avuto Cristoforo Colombo” afferma l’uomo. “L’economia va male, ma avete il cervello fine e siete molto educati. A me piace che parlate indirettamente, non dite che una cosa è brutta, ma che non vi piace, non volete offendere le altre persone”.

 

 

A Cesar piace molto la pasta, soprattutto gli spaghetti, anche se il suo piatto preferito è il riso basmati con le verdure. Però lui mangia solo per riempirsi la pancia, almeno così dice. Questa è la prima volta che viene intervistato e ci è sembrato avesse molta voglia di raccontarsi, di parlare solo delle cose belle però, di parlare in particolare di musica, mentre gli episodi più spiacevoli ha preferito tacerli. Non ha mai suonato con nessun altro in Italia, perché la sua musica è troppo diversa, troppo particolare, ci spiega. Ma anche in Bangladesh suonava sempre da solo, il suono che esce dall’armonium sembra quasi quello di un’intera orchestra. Da ragazzo, nel periodo delle superiori, ha provato con degli amici, ma sulla musica non andavano proprio d’accordo, anche se a lui il suono della batteria piaceva molto, così ci racconta.

Per tutto il tempo l’uomo non si è tolto il giubbotto, forse perchè aveva freddo, non gliel’abbiamo chiesto. Finita l’intervista ci stringiamo la mano e ci diciamo grazie. Poi Marco Parollo lo accompagna davanti a uno schermo nero, gli chiede di sedersi e gli scatta alcune foto. Cesar il giubbotto non se l’è voluto togliere neanche in quella occasione.

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