Acque palladiane
È di nuovo un grande tema quello che ispira la seconda mostra del ciclo “Tre capolavori a Vicenza” allestita nel salone della Basilica palladiana – edificio capolavoro simbolo della città e che dal 1994 rientra tra i beni patrimonio dell’umanità dell’Unesco – per la cura di Guido Beltramini, direttore del CISA, Centro Studi di Architettura Andrea Palladio, e del Palladium Museum, co-organizzata da Banca Intesa (che in questi stessi giorni nella vicina sede vicentina delle Gallerie d’Italia offre al pubblico la visione di La caduta degli angeli ribelli, di Francesco Bertos, al centro della prima mostra dedicata allo scultore settecentesco).
La prima puntata, a cavallo del 2023-24, ruotava intorno al tempo, e aveva reso ieratici protagonisti della grandiosa sala della Basilica Le quattro età dell’uomo di Antoon Van Dyck (in prestito dal locale Museo Civico, che ha sede nel palladiano Palazzo Chiericati e di cui da pochi giorni è stata aperta al pubblico la nuova Ala Roi), il San Girolamo di Caravaggio e No Memory Without Loss, opera dinamica, ammaliante e icastica di Arcangelo Sassolino – Daniele Monarca ne ha scritto su Doppiozero qui.
“Panta rei”, tutto scorre, si dice del tempo e delle cose del mondo per analogia con l'acqua. E dopo il tempo, è proprio l'acqua il filo che lega le opere di quest'anno, in mostra fino al 9 marzo 2025. Anche questa volta si tratta di un'opera contemporanea e due del passato, con un piccolo corredo di antiche pubblicazioni sullo stesso tema.
La prima ad accoglierci, con un effetto mozzafiato, nel vasto buio del Salone del Consiglio dei Quattrocento è Per Silentia III, un'installazione site-specific di Gianandrea Gazzola, artista, scenografo e designer veronese, classe 1948, che all'architettura palladiana è legato anche per l’interposta persona del padre, Piero Gazzola, architetto letterato che del CISA fu uno dei fondatori. Imponente e insieme aerea, l’opera è stata immaginata dall'artista per dialogare con i fogli del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci esposti a poca distanza. Si tratta di due lunghi teli, alti undici metri, sospesi sopra un grande quadrato d'acqua profondo pochi centimetri e di dodici metri di lato; della sua superficie, grazie a una particolare illuminazione, i due stendardi bianchi riflettono da ambo i lati le increspature e le onde. Il movimento dell'acqua è provocato da dei dispositivi che l'artista chiama “attuatori”: delle lamelle il cui spostamento, comandato da un computer, crea onde sonore che per la loro frequenza non risultano percepibili dall'orecchio, ma che diventano percepibili dall'occhio nella vibrazione provocata nell'acqua. Gazzola prende insomma il suono, che siamo abituati a cogliere e immaginare propagato nell’aria, e spostandolo in un nuovo medium ce lo fa vedere, e non sentire, permettendoci di cogliere anche graficamente i suoi cangianti rapporti matematici; è una sorta di partitura di impulsi che dura circa mezz’ora, e poi si ripete generando esattamente gli stessi liquidi riflessi: una musica che non parla ma disegna. Una prima versione dell’opera era stata realizzata nel 2015 dall’artista per Arte Sella, a Trento, ma l’impatto di quella in Basilica risulta fortemente potenziato dal salto di scala – che è anche il titolo di un libro di Ruggero Pierantoni, a cui la mostra fa pensare.
Circumnavigata la vasca su cui svettano i due teli, si penetra in un basso parallelepipedo nero su cui è stampigliata la frase “Il pittore deve farsi a similitudine dello specchio e così parrà essere una seconda natura”, tratta dal Libro di pittura di Leonardo – che ha avuto nell'acqua uno dei temi centrali dei suoi ragionamenti e progetti. È al suo interno che il visitatore può ammirare i tre fogli del Codice Atlantico concessi in prestito dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Si tratta del foglio 527 verso – “Studio sulla percezione dell’ombra e del colore” (1508–10), del foglio 672 verso – “Studio sulla riflessione della luce” (1513 circa), e del foglio 767 recto – “Studio sulla trasmissione della forza” (1500-1503): ragionamenti vergati nella grafia inversa, “a specchio” di Leonardo, accompagnati da schemi e disegni – bellissimo quello acquarellato del terzo foglio – sulle scie delle “species” che riteneva essere emanate dai corpi e raggiungere i nostri sensi.
Lasciato il Codice Atlantico, ci si ritrova, su una parete esterna della scatola nera, di fronte alla potente pala di Jacopo Bassano Santi Antonio e Crescenzio che intercedono presso la Vergine per le vittime dell'alluvione del fiume Colmeda. Si tratta di un olio su tela dipinto nel 1576 per la parrocchia di Santa Maria degli Angeli a Feltre, allora nella cosiddetta “terraferma” – una definizione che pare in questo caso ossimorica – della Serenissima Repubblica di Venezia. La pala d’altare era stata commissionata in seguito alla tragica esondazione del fiume Colmeda della mattina del 27 luglio 1564, che aveva causato ventinove vittime e grande devastazione, colpendo con particolare violenza Tezze, dove sorgevano la chiesa e l’adiacente piccolo convento francescano, miracolosamente salvi. Dipinta nel 1576, riflette un clima di generale preoccupazione per le conseguenze della deforestazione e della deviazione e manipolazione dei corsi d’acqua volti allo sfruttamento sempre più intensivo del territorio: un’antropizzazione che aveva portato già a numerosi trattati, pronunciamenti e norme – del quadro generale di allora in territorio serenissimo rispetto a questi temi dà conto James Pilgrim nell’interessante, documentatissimo “Jacopo Bassano and the Flood of Feltre”, che fa intravedere anche l’emergere di una consapevolezza ecologica; leggendolo, non si può non guardare con triste meraviglia a quanto alcuni dei temi che ci stringono oggi – sul rapporto territoriale con i corsi d’acqua e una necessaria rinaturalizzazione è interessante per esempio leggere qui il recente articolo di Davide Papotti – fossero già affrontati cinquecento anni fa. Così, Jacopo, che anni prima aveva ricevuto dal Senato veneziano un “brevetto” per invenzioni idrauliche per il drenaggio, e con esperienze di agrimensore e cartografo, trasforma il quadro commissionatogli da immagine votiva, con i santi che nella parte alta rendono grazie e chiedono al contempo intercessione e protezione, a un monito contro l’aggressività dell’uomo, ben resa dal ceppo tagliato in primo piano. Dietro, nelle acque limacciose dell’inondazione si muovono cadaveri, catini, utensili di vita quotidiana, animali, superstiti che normalmente animerebbero un paesaggio idilliaco. Come nella mostra Attraverso i diluvi/Through de Floods alla Collezione Maramotti a Reggio Emilia, di cui ha scritto Claudio Franzoni, anche qui la natura da sfondo gentile diventa attrice protagonista, reattiva e temibile.
A fianco del dipinto, un libro aperto su un disegno di Andrea Palladio di una macchina per il governo delle acque: sono i Tre discorsi sopra il modo d’alzare acque da’ luoghi bassi. Per adacquar terreni. Per levar l’acque sorgenti, & piovute dalle campagne, che non possono naturalmente dare loro il decorso. Per mandare l’acqua de bere alle Città, che n’hanno bisogno, & per altri simili usi di Giuseppe Ceredi, fisico di Piacenza, stampato a Parma nel 1567. Segue, a chiudere il cerchio ricollegandosi all’opera di Gazzola, un’edizione del 1554 illustrata da Palladio di I dieci libri dell’architettura di M. Vitruvio, per il quale la voce si propagava nell’aria come onde nell’acqua, ragion per cui un architetto doveva conoscere la musica e i suoi rapporti matematici, ripresi negli edifici palladiani.
Di nuovo, insomma, riverbera nello spazio espositivo della Basilica palladiana una vocazione interdisciplinare, com’era stato con la mostra La proporzione aurea, di prossima riapertura a Roma. Alla fine del percorso si è più curiosi dei legami tra l'arte, la scienza e le sue applicazioni tecniche. E anche, per le allusioni del quadro di Jacopo Bassano, più convinti della necessità di una governance che, adesso più che mai, della scienza tenga conto.
Tre Capolavori a Vicenza. Leonardo da Vinci, Jacopo Bassano, Gianandrea Gazzola, ideato e promosso dal Comune di Vicenza con la co-organizzazione di Intesa Sanpaolo e curato da Guido Beltramini, direttore del Palladio Museum.
Basilica Palladiana, dal 6 dicembre 2024 al 9 marzo 2025.