Una mostra alla National Gallery / Monochrome. In bianco e nero

29 Dicembre 2017

La pittura monocroma mette a fuoco un particolare soggetto senza la distrazione del colore: questa la tesi di Lelia Packer e Jennifer Sliwka nell'introduzione al catalogo della mostra in corso alla National Gallery di Londra, Monochrome. Painting in Black and White (Yale University Press; la mostra è aperta fino al 18 febbraio del 2018 e viene riproposta, con qualche modifica, dal 22 marzo al 15 luglio 2018 al Museum Kunstpalast di Düsseldorf). Invero l'allestimento delle due curatrici ci accompagna in un percorso particolarmente originale nella storia dell'arte e del pensiero, che prende le mosse dall'antichità e perviene alle installazioni del presente, un percorso nel quale la pittura in bianco e nero rivela l'opposizione al sistema cromatico e, insieme, le infinite relazioni che il bianco, il nero e il grigio intrattengono non solo con la luce, con le ombre e con l'oscurità, ma anche con gli altri colori, diventando essi stessi colore. Del resto l'origine stessa della pittura è monocromatica ed è ascritta alla skiagraphia, letteralmente "pittura dell'ombra", la cui definizione oscilla tra il disegno del contorno dell'ombra proiettata da un cavallo al sole (disegno realizzato da Saurias, l'antico pittore di Samo) e la tecnica preparatoria della pittura, che definisce le luci e le ombre, in vista del dipinto finale. 

 

Copertina del catalogo che riproduce un particolare del quadro di Jean-Auguste-Dominique Ingres, Odalisque en Grisaille, ca. 1824-34, olio su tela, The Metropolitan Museum of Art, New York.


Il monocromo ritorna nel Medioevo: il bianco e nero suggerisce la spiritualità; in contrapposizione alle cose colorate che popolano il mondo, la cella monastica è minimale e austera, in particolare nei conventi dell'ordine cistercense per il quale Bernardo di Chiaravalle, in uno statuto emanato attorno al 1134, proibisce l'uso del colore. Le vetrate verranno realizzate in grisaille, nella scala dei grigi, creando raffinati giochi di luce che saranno imitati anche nelle chiese degli altri ordini monastici. Il carattere simbolico della pittura del sacro si rivela anche nell'accostamento di miniature cromatiche e miniature monocromatiche, ma con un esito molto diverso: al colore si affida il momento più importante della narrazione – la Crocifissione, ad esempio, o in genere il Nuovo Testamento, in opposizione all'Antico o per contrasto al mondo pagano –, il momento solenne contro il quotidiano, il presente di contro al passato. In monocromo sono poi dipinti i paraventi del periodo dell'avvento e della quaresima, ma anche i concetti astratti, come nel caso delle virtù e dei vizi in Giotto e in Raffaello, mentre il colore è riservato al concreto, alla carne, in teologia all'incarnazione.

 

Per il suo carattere astratto il monocromo esalta e spinge ai limiti l'abilità del disegnatore, dell'incisore e del pittore nella resa della tridimensionalità: questo appare in particolare negli studi preparatori degli artisti a partire dal Quattrocento, nella bottega del Verrocchio, nella definizione dei drappeggi del Ghirlandaio e di Dürer, negli olî di Beccafumi, in Rembrandt e in tanti altri. Ma la pittura in grisaille diventa anche opera finita, indipendente: il primo esempio indicato è la Santa Barbara di van Eyck del 1437 (Koninklijk Museum voor Schone Kunsten ad Anversa, in Belgio), cui seguono altre opere importanti esposte nella mostra, tra le quali possiamo segnalare la bellissima grisaille del minuzioso manierista olandese Hendrick Glotzius. 

 

Hendrik Goltzius, Without Ceres and Bacchus Venus would Freeze (Sine Cerere et Baccho Friget Venus), 1599, gesso, inchiostro e olio su carta, The British Museum, Londra


Icona della pittura in bianco e nero è l'Odalisque in Grisaille di Ingres (1824-34, riprodotta nella copertina del catalogo), riduzione del dipinto La Grande Odalisque, del 1814, dedicato alla sorella di Napoleone, Caroline Bonaparte, moglie di Gioacchino Murat, regina consorte di Napoli. Ingres – nota Lelia Packer – non solo riduce le dimensioni della tela e il numero dei colori, ma omette un gran numero di dettagli orientali e di accessori: il braccialetto, il ventaglio con le piume di pavone, la decorazione del turbante, il broccato del tendaggio. Non si tratta più di una concubina in un harem: la figura è «astratta e decontestualizzata», fornisce il pretesto a Ingres per studiare le luci e le ombre (pp. 95-96). 

 

Il confronto tra pittura e scultura, condotto sullo sfondo del dibattito sul paragone delle arti di ascendenza umanistica e rinascimentale, ci fa scoprire un'altra dimensione del monocromo: la resa in pittura dell'opera scultorea entra direttamente al centro della questione con il dipinto di Tiziano La Schiavona (1510-12), che contiene sia il ritratto pittorico che lo stesso soggetto di profilo in un monocromo che rende la tridimensionalità. Il catalogo cita poi le figure monocrome del polittico dell'altare di Gand di van Eyck, e in mostra è esposto il dipinto di Mantegna L'introduzione del culto di Cibele a Roma (1505-6) che mostra come in Italia la pittura monocroma si connetta con la riscoperta dell'antico.

 

Andrea Mantegna, L'introduzione del culto di Cibele a Roma, 1505-6, tempera a colla su tela, The National Gallery, Londra (particolare).


Molto interessante è anche lo studio dell'interazione tra l'invenzione della stampa e la pittura, sia perché la stampa può riprodurre e diffondere le opere degli artisti – talora sono gli stessi artisti a preparare un monocromo che poi viene trasferito in un'incisione –, sia per gli effetti di trompe l'oeil di alcune incisioni. La ricerca di un effetto simile alla stampa viene riproposto in un dipinto della fine del Settecento del pittore francese Boilly, che ritrae una ragazza alla finestra e inserisce nel quadro alcuni strumenti ottici – un piccolo monocolo e due telescopi – e la riproduzione di un bassorilievo, rendendo tema della composizione la visione, lo sguardo.

 

La pittura in bianco e nero nell'epoca della fotografia propone interazioni ancora più strette e reciproche: del resto – scrivono le curatrici della mostra – fotografia significa «disegnare con la luce» (p. 163), e per questa sezione mi limito a citare il ritratto di Helga Matura di Gerhard Richter, che ripropone a olio la foto, tratta da un giornale scandalistico, di una prostituta (1966). Il quadro rende l'effetto di una foto sfocata, diventando un momento di critica sociale, elemento questo che ritroviamo nei lavori di Andy Wahrol e Marlene Dumas, i quali operano proprio con il bianco e nero, con la fotografia, con citazioni dal cinema.

 

Naturalmente anche nell'arte del Novecento la pittura monocroma è parte importante della riflessione sull'astrazione e sul colore. Nel 1915 Malevič dipinge la prima versione del Quadrato nero: Jennifer Sliwka vi nota la tensione tra bianco e nero, tra luce e oscurità, profondità e superficie, assenza e vuoto, in contrasto con la presenza fisica del pigmento nero, mentre la cornice bianca svuota il quadrato nero trasformandolo in uno spazio vuoto. Ricorda anche come venne esposto, nella mostra del 1915 a Pietrogrado, Last exibition of Futuristic Painting 0,10: appeso di traverso, tra due pareti ad angolo, come le icone sacre. Da Albers alla op art la riflessione e la sperimentazione proseguono nella ricerca sulla luce e sul colore mettendo in primo piano di volta in volta aspetti nuovi e sorprendenti della fenomenologia del bianco e nero: basti citare le gocciolature di Pollock, i segni di Twombly che evocano le scritte sulla lavagna, i dipinti di Johns che lasciano intravedere collage di giornali, le tele grigie di Opalka e le sperimentazioni di molti altri che ci mostrano aspetti inconsueti del mondo in bianco e nero.

 

La mostra si chiude con un'installazione di Olafur Eliasson, Room for one colour (1997), nella quale la luce gialla al sodio trasforma gli oggetti e le persone in figure grigie, bianche e nere; anche il catalogo si chiude con una breve nota di questo artista sulla sperimentazione del monocromo, che – afferma – non è riduzione della complessità, ma astrazione: isolando alcuni degli elementi con i quali la percezione ci dà il mondo, essa ci permette di vedere noi stessi e le cose che ci circondano in una luce letteralmente differente.

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