Contrabbando e tradimento
Nel primo episodio della telenovela La Reina del Sur a Teresa Mendoza ne capitano di tutti i colori. Di lei vengono svelate per prima cosa le gambe, gambe che stanno per immergerla in una vasca da bagno. Teresa ancora non lo sa, ma quello è l’ultimo momento di spensieratezza cui avrà diritto sull’arco dei sessantatré episodi della serie. Un cantante melodico in sottofondo – podemos ser felices toda vida – un calice di liquore, uno spinello, un esubero di schiuma dentro cui annegare le preoccupazioni. Proprio quando Teresa sta per accendere lo spinello, le squilla il cellulare. Un minuto e quindici secondi dentro la telenovela e già la vita di Teresa Mendoza è a un punto di svolta. Bisogna premettere che Teresa Mendoza vive a Culiacán, stato di Sinaloa, in Messico, uno dei centri del narcotraffico, e che ha per fidanzato un tale che si occupa di trasportare droga per conto di un cartello di narcos. Ogni volta che ti squilla il cellulare, se hai un fidanzato del genere, è legittimo avere un tuffo al cuore. Siccome nelle telenovele la vita è sovente rognosa, bisogna anche sapere che il cellulare che suona non è quello personale di Teresa, ma un secondo che il fidanzato le aveva affidato tempo prima con un’avvertenza: se suona questo, di cellulare, è per darti notizia che sono morto, e allora inizia a correre, perché stanno per venirti a prendere.
Teresa Mendoza, la protagonista di La Reina del Sur, è un personaggio nato dalla penna dello scrittore spagnolo Arturo Pérez-Reverte, il quale le intitolò un romanzo da cui fu tratta la telenovela (più tardi sarebbe seguita anche una serie TV, ispirata alla telenovela, intitolata The Queen of the South). Teresa, nel romanzo e nella trasposizione televisiva, è una donna messicana che, per una serie di circostanze, si ritroverà a capo di un cartello di narcotraffico (nel sud della Spagna nel romanzo e nella telenovela; fra Stati Uniti e Messico nella serie TV). Il personaggio di Teresa Mendoza, interpretato dall’attrice Kate del Castillo, ha una duplice origine. Da un lato s’ispira alla figura reale di Sandra Ávila Beltrán, meglio nota come, appunto, La Reina del Sur, o La Reina del Pacifico, nipote di Miguel Ángel Félix Gallardo, El Jefe de Jefes, il Boss dei Boss, signore del narcotraffico e fondatore del cartello di Guadalajara; nipote di un boss dunque, ma anche amante di Juan Diego Espinoza Ramìrez, detto El Tigre, esponente del cartello colombiano Norte del Valle, nonché amica di Joaquín Archivaldo Guzmán Loera, detto El Chapo, leggendario capo del cartello di Sinaloa. Una prima ispirazione che arriva dunque dalla vita vera, e una seconda che arriva invece dalle figure femminili delineate in molti narcocorrido, in particolare nella canzone che codificò il genere nei primi anni ’70, Contrabando y Traición, composta da Ángel González e portata al successo dal gruppo Los Tigres del Norte.
Il corrido è una ballata di carattere narrativo che in Messico ha trovato diffusione in ambito rurale e contadino a partire dall’Ottocento. Racconta le vicende degli eroi della frontiera, rivoluzionari alla Pancho Villa o semplici fuorilegge, figure capaci di accendere l’immaginazione del popolo offrendo, oltre all’irresistibile gancio di una narrazione epica, un senso di riscatto sociale. Il narcocorrido, accanto al corrido che mette in scena i migranti (due esempi su tutti: Corrido de Juanito, ormai oltre 500 milioni di visualizzazioni su Youtube, o El Inmigrante, entrambi del gruppo Calibre 50), al corrido religioso, al pornocorrido o al trapcorrido è una delle evoluzioni più recenti del corrido. Nel rispetto della tradizione magnifica le gesta dell’outsider, in questo caso il narcotrafficante, il fuorilegge moderno che si è sostituito all’eroe della rivoluzione o al bandito romantico. Di traffico illegale lungo la frontiera – tessili sul finire dell’800, tequila all’epoca del proibizionismo, e poi sostanze stupefacenti dopo l’abrogazione del proibizionismo nel 1933 – il corrido si è ampiamente nutrito e ampiamente si nutre. Il primo narcocorrido di cui si ha notizia fu composto nel 1934 da Juan Gaytán del duo Gaytán y Cantú e prendeva il titolo di El contrabandista. Vi si narrava la storia di un tale catturato dai ranger a Uvalde, in Texas, con l’accusa di aver cercato di contrabbandare cocaina, morfina e marijuana dal Messico agli Stati Uniti. Ne seguirono altri (la canzone Carga Blanca in particolare, grazie a una popolare versione del gruppo Los Alegres de Terán), ma fu soltanto una quarantina di anni dopo, nel 1972, che il narcocorrido trovò una sua canonizzazione come sottogenere grazie alla canzone Contrabando y Traición, dando il la a un filone che, nella sua unicità e nella sua schiettezza, è diventato parte della cultura di chi vive a ridosso della frontiera fra Messico e Stati Uniti.
Gli studiosi di corrido hanno individuato gli elementi che ne caratterizzano la forma sul piano narrativo. Nella sua esposizione, e per essere riconosciuto in quanto tale, un corrido deve presentare: luogo e nome del protagonista, retroscena e carattere del protagonista, il messaggio di fondo del corrido e, infine, il congedo dal personaggio principale. Oltre a queste componenti il corrido storico prevedeva anche il saluto iniziale da parte dell’interprete, premessa cui cantanti più moderni hanno ormai rinunciato. Contrabando y Traición rispetta tutte le caratteristiche del corrido classico. La canzone narra la storia di due amanti, Camelia la texana ed Emilio Varela, e del loro tentativo di trafficare una partita di droga dal Messico agli Stati Uniti. Nella tradizione dei corrido niente è lasciato al caso. Vi sono i nomi dei protagonisti, si citano i luoghi, e l’azione vi è dettagliata nei minimi particolari:
Salieron de San Isidro,
procedentes de Tijuana.
Avevano insomma lasciato San Isidro, città di frontiera, in provenienza da Tijuana, altra città di frontiera. Come nascondiglio per la marijuana avevano optato per gli pneumatici della macchina:
Traian las llantas del carro,
repletas de yerba mala.
Dopo il dove e il che cosa, il chi. In questo caso, non un protagonista bensì due:
Eran Emilio Varela,
y Camelia, la Tejana.
Bisogna anzitutto figurarsi una cosa. E cioè che trafficare marijuana attraverso il confine era un’attività di cui, in quei primi anni Settanta, chiunque vivesse a ridosso della frontiera fra Messico e Stati Uniti era perfettamente edotto. Il narcotraffico era così diffuso che il sentirlo dettagliare in canzone destò l’attenzione non perché raccontasse un che di inedito o di riprovevole sul piano morale, ma perché illustrava in modo realistico qualcosa di così familiare che tutti potevano facilmente riconoscersi nella vicenda. Forse non succedeva nella tua famiglia, ma è molto probabile che qualcuno della famiglia accanto si guadagnasse da vivere a quel modo, trasportando yerba mala oltre confine. Quello che capitò con Contrabando y Traición fu dunque in primo luogo questo: che molti sentirono, in quella canzone, il racconto di qualcosa che era il riflesso di una quotidianità, qualcosa che era facile ritrovare nel contesto in cui si viveva, e quel qualcosa veniva esposto senza filtri, con situazioni che colpivano l’immaginazione alla stregua di brevi sequenze cinematografiche:
Pasaron por San Clemente,
los paró la migración.
Les pidió sus documentos,
les dijo: "¿De dónde son?"
Lo spauracchio del doganiere zelante. Consegnati i passaporti, il funzionario della migra chiede di dove siano, dando così modo all’ascoltatore di scoprire due informazioni chiave riguardo a Camelia:
Ella era de San Antonio,
una hembra de corazón
La prima è dunque che Camelia è di San Antonio, Stati Uniti. Questo ci chiarisce il perché del soprannome: la tejana. Un tejano è un individuo di origine messicana nato e cresciuto in Texas. Ma è anche, per esteso, un messicano assimilato alla cultura americana. Si distingue, cioè, dal mojado, dal wetback: colui che ha la schiena sudata, termine spregevole con cui s’indica il clandestino, l’immigrato irregolare, colui che, pur avendo deciso di trasferirsi negli Stati Uniti, non parla la lingua inglese e rifiuta l’assimilazione. Il termine non esprime un giudizio morale ma identifica semplicemente l’individuo. Detto questo, quando a un nome viene fatto seguire l’aggettivo tejano è implicita una distinzione sul piano identitario fra il tejano e il messicano DOC. La seconda informazione chiave che ci offre la canzone è che Camelia è una donna di cuore. Pur presentandosi alla stregua di un’annotazione psicologica, il dettaglio funge da compasso morale del racconto. Dopo averne stabilito l’identità – una messicana assimilata alla cultura nordamericana – si lascia intendere che pur avendo barattato qualcosa sul piano identitario, Camelia è una donna che non ha rinunciato al cuore latino. Le sue origini, la sua vera identità, non sono andate perdute.
A questo punto nella canzone compare una stanza che apparentemente interrompe il flusso naturale della narrazione, ma che in verità, in ossequio alla formula del corrido classico, serve alla definizione del carattere di Camelia, la protagonista. È una sorta di spoiler per l’uomo che vacilla di fronte al mistero della psiche femminile:
Una hembra asi quiere a un hombre,
por el puede dar la vida.
Pero hay que tener cuidado,
si esa hembra se siente herida.
La traición y el contrabando
son cosas incompartidas.
Una donna – e Camelia è quella donna – può dare la vita per l’uomo che ama. Ma se per qualche ragione quella donna si sente ferita, è bene che l’uomo stia in guardia, perché contrabbando e tradimento, come si suol dire, non quagliano.
Si prefigura un conflitto che l’ascoltatore non ha difficoltà a immaginare e comprendere. Al pericolo della missione illecita si somma l’incognita dell’inganno, o della fiducia tradita. Riusciranno Camelia e Emilio a uscire vivi dalla vicenda e, soprattutto, a sopravvivere come coppia? La cosa interessante è che la canzone non si dà pena di descrivere Emilio Varela, il co-protagonista (o l’antagonista), né di offrirne il profilo psicologico o morale; è un uomo che fa il suo mestiere, un tale che si comporta come si comporta un uomo, nessuna necessità di sondarne l’animo o le intenzioni. Il clichè che incarna Camelia è invece più degno di attenzione e, a suo modo, meno scontato. Merita quanto meno di essere esplicitato a beneficio dell’ascoltatore: una donna è un essere non del tutto prevedibile, ma porta in sé un rigore che nulla può piegare. È lei, la donna, a chiarire l’ordine etico del mondo: tradire è un peccato imperdonabile.
Emilio e Camelia si ritrovano infine a Los Angeles. A Hollywood, in un vicolo buio, smontano le gomme della macchina, consegnano la droga e incassano il dovuto:
Ahí entregaron la yerba,
y ahí tambien les pagaron.
Concluso l’affare Emilio dice a Camelia: ti dico addio, con la tua parte potrai rifarti una vita; io me ne vado a San Francisco, dalla donna che amo:
Yo me voi pa’ San Francisco,
con la dueña de mi vida.
Ecco, diciamo che il tradimento era nell’aria (diciamo pure che era annunciato fin dal titolo del corrido). Camelia non la prende bene. Da donna de corazón stende Emilio con sette proiettili (siete balazos; azzecatissima, col senno di poi, la scelta di sottolineare realisticamente la scena con la detonazione di alcuni colpi d’arma da fuoco, trasportando così l’ascoltatore sulla scena del delitto proprio come succede al cinema: qualcosa di mai sentito prima in un corrido, ma che da allora diverrà uno degli elementi caratteristici del genere: nelle canzoni piovono proiettili, rombano gli aeroplani, i cellulari squillano). Delitto di passione. L’ascoltatore annuisce, cose che succedono. Tutto quanto troverà la polizia è una pistola scarica.
Del dinero y de Camelia,
nunca más se supo nada.
Dei soldi e di Camelia nessuno ha più saputo nulla. Fine della storia.
Contrabando y Traición è una canzone che ha fatto epoca, oltre che la fortuna del gruppo Los Tigres del Norte, un gruppo da sessanta milioni di dischi venduti, unica band messicana in grado di aggiudicarsi sei Grammy e qualcosa come dodici Latin Grammys, più di quaranta film all’attivo, una legione di ammiratori e, soprattutto, di imitatori. Contrabando y Traición fu incisa nel 1972, pochi mesi prima che il presidente americano Richard Nixon istituisse un’agenzia che aveva il compito di combattere il dilagare del traffico e del consumo di stupefacenti negli Stati Uniti, la DEA, Drug Enforcement Administration. Il gruppo dei Los Tigres del Norte era nato quattro anni prima, nel 1968, a Rosa Morada, un villaggio di poche anime nello stato messicano di Sinaloa. Quattro fratelli ancora adolescenti (Jorge Hernandez, il più “anziano” dei quattro, aveva appena quattordici anni) avevano attraversato il confine con gli Stati Uniti grazie a un visto di novanta giorni. In California finirono col mettere le tende, facendo fortuna e creando una vera e propria dinastia musicale che ancor oggi gode di un’enorme popolarità all’interno della comunità latina d’America.
La canzone inaugurò, come si diceva, il filone del narcocorrido, un sottogenere fattosi vieppiù problematico e violento col passare degli anni, qualcosa che il governo messicano ha ripetutamente cercato di silenziare ma che continua ad entusiasmare i giovani. Serie tv, film e documentari che raccontano le vicende dei narcos non possono fare a meno di presentare, nella loro colonna sonora, uno o più narcocorrido. Anche una serie di grande successo come Breaking Bad si premurò di commissionare un corrido al gruppo messicano Los Cuates de Sinaloa. Se negli anni ’70 nei narcocorrido era ancora possibile riconoscere un’implicita messa in guardia nei confronti di quello stile di vita, oggi la maggior parte dei narcocorrido paiono piuttosto interessati a glorificare le gesta dei narcos. Il legame che corre fra il narcotraffico e la sua rappresentazione nei corrido si è fatto vieppiù diretto, al punto che molti cantanti e gruppi nelle loro canzoni si pongono come dei portavoce o dei delegati di un dato cartello, una sorta di claque musicale che mette in gioco, oltre al talento musicale, anche la propria vita (si pensi in particolare ai corridos enfermos, promossi dal Movimento Alterado, dai contenuti intimidatori e votati a una violenza estrema fatta di sadismo e tortura, esplicitamente indirizzati ai cartelli nemici).
Molto si è letto negli ultimi anni delle spietate esecuzioni di cantanti di narcocorrido. Decine di cantanti ritenuti colpevoli di essersi associati a un dato cartello, giustiziati in modo sommario in una sorta di mattanza collaterale a quella dei narcos. Detto questo, e a prescindere dall’esasperazione delle gesta più brutali dei narcos, i narcocorrido continuano ad assolvere una funzione precisa nella difficile realtà di frontiera fra Messico e Stati Uniti. Lungi dal porsi come un monito al traffico illegale di stupefacenti e allo stile di vita che ne discende, il narcocorrido odierno, proprio come il corrido d’un tempo, capace di esaltare le gesta dei rivoluzionari e dei fuorilegge, assolve la funzione di ribaltare lo squilibrio di forza nei confronti dei gringos. Il narcotrafficante vi è sovente rappresentato come un eroe, il cui coraggio non mette dubbio, mentre il narcotraffico è percepito come una forma di resistenza e una via di riscatto, un’attività, in molti casi l’unica, capace di sovvertire, con la benedizione ultraterrena di Jesus Malverde, Santo Protettore dei narcos, una condizione di perenne sudditanza.
In The Deterritorialized Political Economy of Narcocorridos in the United States (The Routledge Companion To Latina/o Media, New York, NY: Routledge) Hector Amaya, professore di comunicazione all’università di Annenberg, sottolineando come il narcocorrido sia un genere che viene ormai in massima parte prodotto negli Stati Uniti, scrive: “i narcocorrido sono strumenti culturali che riconnettono nostalgicamente al Messico e aiutano i membri delle comunità emarginate a ricostruire una narrativa di potere, in opposizione al sentimento anti-latino diffuso negli Stati Uniti”. Bussola morale, come ben evidenziato nella canzone Contrabando y Traición, è piuttosto un principio identitario che accomuna i norteños contro gli yankee, unito alla consapevolezza che il tradimento, si espliciti questo sul versante dei sentimenti come nel caso di Camelia la tejana ed Emilio Varela, oppure su quello del sangue, della lealtà alla propria gente e alla propria terra, è una colpa che niente e nessuno potrà mai lavare.
(Segue)
Los Tigres del Norte, Contrabando y Traición