Nicola Guiducci

15 Marzo 2011

La prima volta che ho sentito la voce di Nicola Guiducci era in una cassettina registrata, piena di musiche strane, divertenti, messe insieme secondo un criterio personalissimo, degno di un capriccio del Guardi, con prospettive sonore personalissime, apparentemente sbilenche eppure coerentissime. Quella era solo una delle migliaia di compilation che nel tempo ha dato a me come a tutte le altre persone che hanno attraversato il suo itinerario, facendo ballare in vari paesi al loro ritmo. La presentazione era avvenuta per via di un’amica, Carla Chiti, pistoiese come lui, che si occupa da sempre di musiche radicali ed eccentriche. Forse il ritratto più vero che si può trovare rimane quello di una capacità notevole di mischiare ambienti e persone, di far risuonare una disco delle rivisitazioni strazianti delle chansons del cabaret (luogo in cui il nostro aveva mosso i primi passi a Firenze ancora al tempo del liceo) o dei ritmi ambigui della memoria, sospesi tra parodia e seduzione, remixati come per costruire un percorso narrativo di immagini da ballare. Sulla casa milanese, piena di musica e immagini dal soffitto a terra, sovrintende come nume tutelare un angelo musicante aggiornato agli anni ’80 di Keith Haring, frammento da una delle tanti notti al Plastic, che da poco ha celebrato un anniversario imprevedibile per un locale, un ventennale attraversato da personaggi illustri e da identità oscure, da maniaci del travestimento, fashion victims e artisti radicali, gay, etero, indefinibili, metrosexual, inventivi di ogni categoria, come ben rievocava Corrado Levi in una sua nota sul nomadismo. La creazione maggiore del nostro è stato infatti il club di Viale Umbria destinato a suo modo a fare epoca, in cui hanno lasciato segni personalità peculiari come Anna Piaggi o artisti del suono come il francese Luc Ferrari, che lì ha fatto un concerto memorabile, insieme al dj ErikM. La foto inviata dal nostro per illustrare questo profilo è un autoritratto. Lo sguardo attento che si fissa in uno specchio del bagno, mentre tiene nella mano sinistra una macchina. L’immagine è infatti l’altro percorso favorito, disseminato in mille gesti, tra quadri, fotografie, grafiche; opere spesso celate, rimaste per uso personale e in altri casi invece esibite, ad esempio nelle pagine della rivista NG, indisciplinata esplorazione nei territori del desiderio, riverberato nelle opere di giovanissimi, come di maestri (in uno degli ultimi numeri, l’inserto centrale è dedicato a Sylvano Bussotti). I tre recenti volumi di This is Plasticpresentano una selezione tra migliaia di immagini, scelte per celebrare una notte che soprattutto è un diario di possibili epifanie, mentre drag queens sorridono solari e ragazzi di periferia mettono in scena un travestimento troppo studiato per non impacciarli, mentre la mattina sta per arrivare tra gli ultimi bicchieri e giri di pista e si annunciano già sullo sfondo tutti i possibili party di domani. 

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