Odifreddi: matematica dappertutto e per tutti
Nel “prologo in teatro” che apre il Faust di Goethe, si legge il dialogo tra il Direttore, il Poeta teatrale e il Comico; il primo si rivolge agli altri: “Voi due, che tante volte mi avete dato una mano nelle ore difficili e dure, che cosa sperate, ditemi un po’, da questa nostra impresa in terra tedesca? Confesso che vorrei andare a genio a questo pubblico che vive e lascia vivere”. Il Poeta chiede di non parlargli della frivola folla, “davanti a cui ogni nostra ispirazione si affloscia […] Destinato al successo d’un’ora è ciò che brilla; ma la vera bellezza non si perse, e passa ai posteri”; l’attore comico, replica: “Lasciatemi in pace coi vostri posteri! […] animo poeta, fate parlare la fantasia e tutti i suoi coribanti: la saggezza, la ragione, il sentimento, la passione; ma, ricordatevene, non senza un pizzico di follia!”.
“Ma soprattutto, che accada molta roba – conclude il Direttore –. La gente viene per guardare, e ciò che più ama è vedere. Se davanti agli occhi si snodano molti avvenimenti, sicché la folla resti a bocca aperta, si può dire che avete guadagnato la partita; sarete un autore adorato dal pubblico. Solo con una folla di roba si può conquistare la folla; ciascuno si pesca poi fuori ciò che fa al caso suo. Chi molto reca, reca qualcosa a ciascuno e così ciascuno se ne va dal teatro appagato. Volete dare un dramma? Datelo a pezzi! Un simile ragout è di sicura riuscita. È poi altrettanto facile a inscenare quanto a comporre. A che serve infatti creare un’opera armonica? Il pubblico, tanto, ve la farà a pezzetti”.
Detto-fatto, sono 120 i pezzi di ragout cucinati da Piergiorgio Odifreddi nel piatto delle sue Pillole matematiche. I numeri tra umanesimo e scienza (Raffaello Cortina, 2022), dove ha raccolto altrettanti interventi pubblicati su Le Scienze dall’Aprile del 2004, con tanto di dedica ai due direttori, Enrico Bellone e Marco Cattaneo, e ai due caposervizio, Claudia Di Giorgio e Giovanni Spataro, “con ventennale riconoscenza”. E siccome è un matematico ha simmetricamente organizzato il testo in dodici capitoli complessivi. Sei, con dieci testi ognuno, dedicati al rapporto tra Matematica e Umanesimo: divulgare, raccontare, rappresentare, giocare, curiosare, vivere e morire; più altri sei, sempre composti di dieci testi, dedicati alla Scienza, ovvero: geografia, astronomia, fisica, chimica, biologia, economia e politica; più una prefazione, per “indorare la pillola della divulgazione”.
Che Odifreddi sfrutti la metafora farmacologica, con le sue ricette, permette a noi di proseguire con quella culinaria del Direttore di Goethe, sempre di ricettari si parla, e sempre di matematica applicata: semmai, per un prontuario dedicato a quella “pura”, anticipa l’autore, bisognerà attendere un’occasione futura. Ma intanto approfittiamo di questa. Che parte, non a caso, dalla motivazione stessa della collaborazione con Le Scienze, e per questo testo: “divulgare”.
Cosa significa, chi si è posto per primo il problema? “Nel significato più ampio, tutto il linguaggio è divulgazione, perché permette di comunicare agli altri i propri pensieri, uscendo così dal solipsismo e dall’egocentrismo”; nel significato più ristretto, si tratta di esteriorizzare un sapere o una conoscenza che altrimenti rimarrebbero confinati. Forse in ambo i sensi, i primi a porsi il problema della divulgazione – scrive Odifreddi – furono i pitagorici, da un lato insegnando ai matematici, gli apprendisti che volevano imparare il mestiere, dall’altro divulgando le idee generali a coloro che volevano solo orecchiare, gli acusmatici. Il primo grande divulgatore fu Platone, con i suoi Dialoghi, particolarmente adatti a mostrare la genesi delle idee.
Sicché a partire da Euclide, nella Matematica invece, si è affermata la moda contraria: “presentare il prodotto finito attraverso una ricostruzione razionale a posteriori, che tende ad assomigliare più a un gioco di prestidigitazione che a un percorso intellettuale”. Di qui tanti problemi, che ancora oggi assillano non pochi studenti. La divulgazione colloquiale è stata adottata poi da Aristotele (i cui dialoghi perduti erano ancora in circolazione nel primo secolo della nostra era), da Hume e certo da Galileo, tanto da farlo considerare da Italo Calvino come il massimo scrittore italiano in prosa. E per arrivare ai giorni nostri, Odifreddi indica sicuro il matematico francese Alain Connes, medaglia Fields nel 1982 che, nel dialogo tra Pensiero e materia ha discusso con Jean-Pierre Changeux il problema dei problemi, il dualismo mente-cervello, e nel Triangolo dei pensieri ha affrontato insieme al matematico André Lichnerowicz e dallo psichiatra-informatico Marcel Schutzenberger le grandi idee matematiche e scientifiche del ‘900.
Detto del cosa e del chi, come divulgare però? Andando a scovare la matematica dappertutto, sia laddove è più facile aspettarsela, nella fisica, l’astronomia, la chimica, la biologia ma anche nella geografia, l’economia e la politica, meglio ancora dove non lo penseresti, e dove anche Odifreddi non lo sospettava possibile. E lo fa implicitamente seguendo il suggerimento del Direttore nel Faust, giacché “solo con una folla di roba si può conquistare la folla; ciascuno si pesca poi fuori ciò che fa al caso suo”.
Quello che abbiamo fatto anche noi e che raccomandiamo al lettore di questo libro, di scegliere nel ricchissimo menù che propone, seguendo i propri gusti e le curiosità che lo accendono: ce n’è veramente per tutti. Il recensore, per obbligo di completezza, lo ha letto tutto ma, potendo scegliere, si è molto divertito a considerare le conseguenze, nella chimica e la biologia, che risultano dall’accettazione di un mondo piatto, come nel celeberrimo Flatlandia di Edwin Abbott o meglio nel romanzo Un episodio di Flatlandia del matematico-scrittore Charles Hinton e in Planiverso di Alexander Dewdney: in un mondo di tal fatta, la tavola di Mendelev viene praticamente dimezzata, e non possono esistere animali con un apparato digerente completo.
Fidatevi! Forse già sapete che Google si chiama così giacché i suoi fondatori si sbagliarono a scriverlo, intendendo infatti Googol, il grande numero pari a 10 alla 100; d’altra parte quel numero si chiama così perché un bambino lo chiamò una volta Google, che era il personaggio di un fumetto degli anni Trenta, ma sbagliò a scriverlo: “grazie a questo doppio errore, oggi persino il motore di ricerca più famoso al mondo porta il nome di un eroe dei fumetti” (leggendo i quali ci si diverte e s’imparano un sacco di cose, come sapeva bene anche Giulio Giorello).
Magari, come me, qualcuno ha molto amato Will Hunting, il film che ha fatto vincere un Oscar ai suoi due sceneggiatori, nientepopodimeno che Ben Affleck e Matt Damon. In origine il protagonista doveva essere un fisico ma fu il Nobel Sheldon Glashow, che insegnava Fisica a Harward dove Damon ha studiato, a suggerire che la parte di un genio isolato si addiceva meglio a un matematico. I problemi che Will-Matt legge su una delle lavagne del corridoio universitario, risolvendoli, sono reali problemi matematici.
Il primo riguarda un particolare grafo a quattro nodi, il secondo la determinazione numerica del numero di alberi aventi un dato numero di foglie e la rappresentazione grafica di quelli irriducibili aventi 10 foglie: Will disegna 8 delle possibili 10 soluzioni prima di essere interrotto, ma lo spunto a Matt lo aveva dato suo fratello, quando aveva disegnato per scherzo, su una delle famose lavagne del “corridoio infinito” dell’MIT, un’equazione complicatissima quanto del tutto fasulla.
In margine all’articolo dove racconta della “proporzione aurea tra successo e qualità” che contraddistingue i video su Youtube di Mickael Launay, un francese di origine polacca laureato presso la prestigiosa École Normale, Supérieure (ENS), il cui canale, aperto nel 2013, supera il mezzo milione di iscritti postando centinaia di video di matematica, ottenendo ascolti riservati altrimenti ai divi della musica o del cinema, proprio all’inizio del capitolo POSTIAMO SU YOUTUBE. I video di Launay, si legge che “nei primi decenni dopo l’invenzione della stampa molti lettori compravano i libri e se li facevano ricopiare dagli amanuensi, per poterli ricondurre alle condizioni di lettura dei manoscritti ai quali erano abituati”: la diffidenza verso le nuove tecnologie è storia vecchia come il mondo.
Che il dogma centrale del pensiero scientifico sia identificato nell’espressione 2+2=4, è testimoniato dalla difficoltà di accettare questa “costrizione” da parte di Dostoevskij, ma anche di Musil. Già Lord Byron, nel 1813, scriveva alla futura moglie Arabella: “Io so che due più due fa quattro, e mi piacerebbe anche sapere perché, ma devo ammettere che se riuscissi invece a far venire due più due uguale a cinque, sarei molto più soddisfatto”. Nel ‘900 è stato George Orwell a uguagliare il pensiero totalitario all’imposizione di equazioni sbagliate, e se in 1984 ne fa la parodia, non di meno nella vita reale lo stalinista Yakov Guminer, in un manifesto del 1931, poteva scrivere, “Due più due uguale cinque, ovvero l’aritmetica del primo piano quinquennale più l’entusiasmo dei lavoratori”, e con lui Hermann Goring dichiarava, “Se il Fuhrer vuole, due più due fa cinque”.
Sarà un caso che l’ultimo libro di John D. Barrow, prima della sua assai prematura scomparsa, in edizione originale italiana vale la pena sottolineare, si intitolava, 1+1 non fa (sempre) 2? Chi si interessa di letteratura, musica, arte, troverà nelle pagine di Odifreddi interessanti e spesso divertenti riferimenti a Thomas Mann, Gabriel Garcia Marquez, Herman Broch e certo a tutto il gruppo dell’Oulipo, ma anche i pasticci e le distorsioni di un campione di vendite come Dan Brown. Si legge di Giotto, Raffaello, Leonardo, Luca Pacioli, Manet (fenomenale la tesi di dottorato di tale Malcom Park, L’ambiguità e l’illusione spaziale nei dipinti di Manet, sull’effettivo punto di osservazione dal quale bisogna pensare che è osservata la scena dipinta ne Il bar delle Folies Bergère). Abbiamo citato Will Hunting, ma si parla anche di Shining, di Interstellar, di Le confessioni di Roberto Andò.
E si suggerisce come, nel caso si voglia diventare un grafico-pubblicitario di successo, magari disegnando i loghi di alcune multinazionali dell’automobile, possa venire utile conoscere i “gruppi diedrici D3 e D5”, il triangolo di Reuleaux, o il trifoglio romboidale in dimensione Hausdorff. Ci sono consigli per musicisti ma anche per barbieri. E ritratti, a volte toccanti, di geni matematici moderni come Cédric Villani, William Thurston, George Kreisel – il “miglior filosofo e matematico” come lo definì Wittgenstein nel 1944, quando quello aveva solo ventuno anni – il John Nash che Odifreddi è riuscito a portare a Roma nelle tre edizioni del suo inimitabile Festival della matematica, la prima medaglia Fields donna, l’iraniana Maryam Mirzakhani, per finire con Sir Michael Atiyah, un gigante intellettuale, capace di vincere la medaglia Fields nel 1966 e il premio Abel nel 2004 (diciamo, Nobel e Oscar insieme) che amava raccontare come alla nascita il padre lo battezzò Michelangelo, “ma quando crebbe, e fu chiaro che sarebbe rimasto piccolo di statura, fu retrocesso a Michele”.
I “bocconi” della seconda parte, dedicata al rapporto tra la matematica e le scienza, sono mediamente più difficili da mandare giù e non solo per la maggiore complessità tecnica degli argomenti trattati, anche per qualche conclusione, come quella ce ci ricorda quanto sarà difficile impedire, in proiezione al 2050, di raddoppiare o triplicare il livello di consumo delle risorse così come all’anno 2000: “per affrontare veramente il problema climatico sarà dunque davvero necessario, alla fine, coniugare il diavolo tecnologico e l’acqua santa ecologica”, magari dando ascolto anche a Bill Gates?
Sono, appunto, bocconi meno facilmente digeribili, in alcuni passaggi oggettivamente difficili per chi non si trovi a suo agio con matematica, fisica, chimica, biologia. “Ma – tornando a Goethe, al Faust e al Direttore – soprattutto, che accada molta roba […] sicché la folla resti a bocca aperta […]. Solo con una folla di roba si può conquistare la folla; ciascuno si pesca poi fuori ciò che fa al caso suo”. Ogni lettore di Pillole matematiche, potrà trovare ciò che fa al suo caso, pescandolo in quasi 350, a tratti densissime, pagine. Frutto della riflessione di un matematico, forse impertinente come si è anche autodefinito, ma certamente assai pertinente in più di un campo del sapere. Notazione non trascurabile.
Gerald Edelman, premio Nobel per la Medicina nel 1972 per i suoi lavori sul sistema immunitario, uno scienziato che ne avrebbe meritato almeno un altro per le ricerche in ambito neuro scientifico, in margine a un incontro di Spoletoscienza a cavallo del millennio, dove anche Oliver Sacks si teneva in disparte, attento ad ogni frase che il suo amico Gerry pronunciava, una personalità ascoltando la quale Romeo Bassoli, indimenticato caposervizio dell’unica pagina quotidiana di scienze di una testata italiana (era l’Unità dei primi anni ’90), ebbe a commentare, “non è certo uno di cui cercare l’ego nel pagliaio!”; Gerry Edelman, a pranzo, tra una barzelletta ebraica, l’appassionato racconto delle sue ultime ricerche, una dotta riflessione sulla storia degli Sati Uniti, il ricordo di quando diciottenne, con davanti già una carriera da violinista-concertista, capì che se a suonare era bravo, non poteva però essere il migliore… quindi la Medicina; Gerald, Gerry Edelman, imprevedibilmente sconsolato – ma forse era solo un po’ stanco – ebbe a confessare, quasi con amarezza: “La verità è che se io, al Campus, di fronte ai miei colleghi umanisti, soffro a dover confessare di non aver letto tutto Dostoevskij, tra di loro non ve n’è alcuno che si senta imbarazzato per non aver mai aperto le pagine di L’origine delle specie”.
Per raccontare la scienza e la matematica, così come fa Piergiorgio Odifreddi, da matematico – ma anche come lo fa Edoardo Boncinelli da fisico e genetista, come faceva Giulio Giorello, da filosofo e matematico – bisogna andare a genio al pubblico e aver letto di tutto, con fantasia, saggezza, ragione, sentimento, passione, non senza un pizzico di follia!
L’intellettuale poco pertinente – qualche volta umanista, ahimè – essendo quello che lascia cedere un giudizio sommario, sulla scienza e i suoi progressi, essendo al più un acusmatico.