#opensourcecure. Malattia, cura collettiva e nuove forme di opportunità

10 Settembre 2012

Questa mattina ho saputo che Salvatore Iaconesi ha un cancro al cervello.

Io l'ho letto su  Facebook. Lui l'ha saputo ieri, il 9 Settembre 2012, dai medici.

 

Non conosco bene Salvatore, anche se abbiamo amici in comune e sono molti anni che lo incrocio digitalmente nei terreni dell'arte elettronica. Quest'estate ci siamo sentiti più spesso perché stavamo pensando a dei suoi articoli per doppiozero. Poi, qualche sabato fa, abbiamo chattato brevemente: lui a Roma e io a Milano, entrambi a lavorare al caldo, senza poter passare dagli amici comuni che lavoravano su GranTouristas per la Biennale di Architettura. Nei giorni seguenti emergono alcuni pezzi di informazioni: una sua foto con la testa fasciata, i suoi scherzi su alcune Fan Page di Facebook a proposito di organizzare dei rave in ospedale. Fino alla comunicazione di oggi.

 

Non ho la più pallida idea di quello che sia sensato fare in un caso del genere, ma Salvatore ha fatto qualcosa assolutamente in linea con il suo percorso di artista del codice che riflette sul significato di Open Source. Dato che le cartelle cliniche gli erano state date in un formato chiuso e proprietario,  le ha crackate e messe a disposizione in formato libero sul suo sito.

 

“Questa” scrive Salvatore “è una CURA. E' la mia CURA OPEN SOURCE. Questo è un invito a prendere parte alla CURA. CURA, in diverse culture, vuol dire diverse cose. Ci sono cure per il corpo, per lo spirito, per la comunicazione. Prendete le informazioni sul mio male, se ne avete voglia, e datemi una CURA:  fateci un video, un'opera d'arte, una mappa, un testo, una poesia, un gioco, oppure provate a capire come risolvere il mio problema di salute.”

 

L'informazione si sta propagando con una velocità vertiginosa sui social network. Questo accade in parte perché Salvatore e la sua compagna Oriana, con il loro progetto Art Is Open Source, sono stati molto attivi negli ultimi anni in tutte le reti italiane e internazionali legate all'innovazione, all'arte elettronica e ai social media. Ma accade anche perché il comunicato di Salvatore è estremamente stringato, asciutto ed essenziale e colpisce direttamente allo stomaco iniziando con “Ho un tumore al cervello”. Da diversi punti di vista una comunicazione perfetta per essere virale. Vediamo cosa succede all'hashtag #opensourcecure.

 

La scelta di rilasciare i propri dati personali sensibili online in formato Open Source non è nuova.

Nel 2002, ad esempio, l'artista Hasan Elahi fu indagato dall'FBI per sospette attività terroristiche; come risposta, decise di mettere liberamente a disposizione online tutto il materiale relativo alla propria vita, puntando ad una “trasparenza totale”. Si trattò di una scelta provocatoria e critica, che mette in discussione i confini della privacy, dell'accesso dello Stato all'informazione dei cittadini e del rapporto stesso tra privati.

 

Salvatore è andato oltre, scegliendo di chiedere alle proprie comunità di riferimento di produrre in crowdsourcing una cura. Ovviamente non (solo) in termini medici, quanto piuttosto un processo di cura in senso ampio, un “prendersi cura”; perché una delle cose che possono fare più male, nella malattia, sono la solitudine e il senso di isolamento che molto spesso ne derivano.

Credo che si tratti di una scelta che farà discutere. C'è chi parlerà di opportunismo e sensazionalismo, chi di miopia politica, chi si sperticherà nelle solite lodi di plastica, chi cercherà di smontare un “fake” (un falso costruito ad arte).

 

Qui mi limito a dire che Salvatore ha fatto una scelta di grande coerenza e coraggio, mettendo in discussione i processi stessi della comunicazione medica e trasformando una fatalità in un momento di costruzione collettiva di senso, di sperimentazione e di critica dello status quo. O, come dice lui stesso, in un'opportunità.

@bertramniessen

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