H.R. Giger. In memoriam
E così è morto anche H.R. Giger. Hans Rudolf "Ruedi" Giger. In Italia non si è mai capito se andasse pronunciato “Gaigher” o “Ghiger”. Un mistero che per molti rimarrà insoluto.
Giger è conosciuto dal grande pubblico soprattutto per la creazione del mostro di Alien. Quando Ridley Scott nel 1978 si imbatté nella sua versione del Necronomicon – una ricerca visiva ossessionata nella terra desolata tra la magia nera e i culti dei Grandi Antichi di Lovecraft – forse capì di avere per le mani lo strumento definitivo per mettere la parola fine alle utopie residue degli anni '70. Una visione scura, gelida e paranoica del surrealismo, costruita in antitesi programmatica con la psichedelia in Colorama delle copertine degli Yes e dei Pink Floyd. Non c'erano campi di fiori nelle allucinazioni di Giger, non c'era nessuna luce alla fine del tunnel. Non c'era salvezza.
Giger è stato l'anima nera degli esploratori dell'immaginario, sempre un passo oltre nell'estrudere i tentacoli gelatinosi della mente e allungarli verso una melma più densa: feconda, purulenta, illuminata dalla luce di stelle nere.
Nel suo universo di mega-macchine di metallo - irrorate di icore, sangue ed olio industriale - i corpi sono sospesi tra la stasi criogenica e l'estasi erotica, coagulati in architetture impossibili, sempre sul punto di balzare sull'osservatore. Un'ordalia di orifizi e organi genitali innestati l'uno sull'altro come mandibole frattali.
Figlio di un farmacista svizzero, si dice che fu un teschio umano nello studio del padre che guidò le sue prime esplorazioni, assieme alla passione per Dalì e Cocteau. Un'altra parte centrale della sua formazione fu il design industriale: un retroterra facile da intravedere nei disegni tecnici della sua Birth Machine Baby, la pistola caricata con neonati alieni al posto dei proiettili.
Birth Machine Baby
Non è un caso quindi che uno degli oggetti-simbolo del nu metal degli anni '90, acceleratore della produzione di testosterone di milioni di adolescenti, sia stato disegnato da lui: l'asta del microfono di Jonathan Davis, il cantante dei Korn. D'altro canto la musica ha sempre giocato un ruolo centrale nella carriera di Giger, a partire dalle sue copertine per il gruppo psichedelico svizzero The Shiver, passando per le illustrazioni di Brain Salad Surgery degli Emerson, Lake and Palmer (probabilmente una gran brutta sorpresa per il pubblico in capelli lunghi del gruppo prog inglese) ed arrivando al censuratissimo poster Lanscape XX per il disco Frankenchrist dei Dead Kennedys.
Nonostante il suo lavoro fosse troppo eccessivo per essere pienamente riconosciuto dal mondo della cultura ufficiale, Giger ha svolto un ruolo centrale nella produzione di immaginario del '900. Il suo nome è legato al successo postumo di H.P. Lovecraft, il cantore della dissoluzione cosmica di cui ha rappresentato le ossessioni con un'efficacia che probabilmente avrebbe terrorizzato lo stesso scrittore statunitense. Ha tessuto dei fili neri tra i fandom della fantascienza apocalittica e quelli della musica estrema, assolutizzando le visioni letterarie di Ballard e di K.W. Jeter, e lasciando il suo marchio su un numero incalcolabile di estetiche subculturali. C'è la mano gelida di Giger nel cyberpunk degli anni'80 e '90 e negli sviluppi del sadomasochismo, del bondage e della body art. Il suo sguardo allucinato trasuda dal metal, dai mondi dei tatuaggi e da quelli dei motociclisti.
La sua influenza è chiara soprattutto nel cinema. Se Alien è stato la sua chiave d'accesso (con il quale ha vinto l'Oscar per gli effetti speciali nel 1980) e Prometheus la sua lettera di commiato del 2012, le ossessioni del figlio del farmacista svizzero sono state una delle spine dorsali dell'impianto visivo filmico degli ultimi 35 anni, da Blade Runner a Matrix.
Contemplando la sua dipartita è proprio questo che continua a stupirmi. Che un artista così oscuro – così a suo agio con la follia, il sesso e la morte - sia riuscito a lasciare un segno tanto profondo nell'immaginario collettivo. Intanto, non pregate per lui. Non ne ha bisogno.
Bertram Niessen