Paperino, il marinaretto zitello

18 Luglio 2024

Il 9 giugno scorso Donald l’Anatra, ovvero Paolino Paperino, ha compiuto 90 anni. Se si deve dar retta all’albero genealogico ricostruito da Don Rosa, il disegnatore erede di Carl Barks – leggenda disneyana, soprannominato The Duck Man, l’uomo dei paperi, che per tutta la sua lunga e vertiginosa carriera di disegnatore non si è dedicato ad altri che a Paperino e alla sua famiglia allargata – il “marinaretto zitello”, come lo chiama il poeta Maurizio Cucchi, è figlio di Ortensia de’ Paperoni (sorella di Paperone) e Quackmore Duck (figlio di Nonna Papera) e ha una sorella gemella, Della Duck, madre di Qui, Quo, Qua. 

Fece la sua prima apparizione, con indosso una blusa azzurra da marinaio e l’inconfondibile berretto con coccarda che non abbandonerà mai, nel corto The Little Wise Hen (“La gallinella saggia”), in veste di vicepresidente del Circolo dei Pigri, caratteristica, quest’ultima, che lo accompagnerà nel corso della sua lunga carriera di papero simpatico e scanzonato, irascibile e scansafatiche. Anche se, a dire la verità, scorrendo l’opera omnia delle sue storie, salta all’occhio come Paperino abbia fatto ben più di un centinaio di mestieri diversi, attività che vanno dal portalettere al guardiano notturno, dallo spazzino al custode di museo, dal viaggiatore di commercio al seminatore di pioggia.

Per festeggiare l’epopea paperinesca vogliamo riproporre un testo del semiologo Omar Calabrese (1949-2012) scritto in occasione dei cinquant’anni del “più simpatico e distratto personaggio del mondo a fumetti, protagonista di ghiotte letture adolescenziali, senza il quale non saremmo in grado di gustare Borges, la Scuola di Francoforte e dintorni”, pubblicato sul numero 2 del mensile Max. A dire la verità gli anni erano quasi cinquantuno, perché l’articolo uscì nell’aprile del 1985, ma, tant’è, il festeggiamento aveva dovuto attendere l’uscita del giornale. 

All’epoca, Omar stava lavorando a L’età neobarocca (uscirà nel 1987 da Laterza, ripubblicata nel 2022 da La Casa Usher) e ogni occasione era buona per discutere di “oggetti neobarocchi” e cultura pop(olare): dal tenene Colombo, ai Predatori dell’Arca perduta, a Paperino, appunto. 

In quella metà degli anni ottanta, Max era un periodico decisamente all’avanguardia nell’ambito del panorama editoriale nazionale, sia per quanto riguardava i testi, sia per l’uso delle immagini, idealmente influenzate da Interview di Andy Warhol, e di cui si occupava un photo editor d’eccezione come G. Amilcare Ponchielli (sì, nipote di “quel” Ponchielli).

Omar scrisse di Paperino in un soffio – cominciando con una chiara dichiarazione d’intenti: «Vi dico subito che non vi dirò nulla su Paperino» – con la sua, diciamolo pure, un po’ scassata Olivetti lettera 32, ma su cui “zampettava” con la foga di una segretaria incallita. Passerà all’Olivetti M24 l’anno seguente, computer sul cui uso discuterà spesso con Umberto Eco, soprattutto su quali floppy disk fossero i migliori. Omar adorava fare degli esperimenti con il nuovo giocattolo digitale, finendo, talvolta, col perdere quello a cui stava lavorando. Per fortuna Paperino lo scrisse “in analogica” e lo possiamo gustare ancora oggi. Ecco qua.

[Claudio Castellacci]

Non vi dirò nulla di Paperino
Di Omar Calabrese

«Vi dico subito, perché non vi aspettiate chissà che cosa da me, che non vi dirò nulla su Paperino. Mi spiego. Non ho la più piccola intenzione di raccontarvi la storia del personaggio di CarI Barks. La potete trovare dappertutto in italiano, basta che entriate in libreria e che la smettiate di usare i giornali per farvi fare i riassunti dei libri. Se siete proprio digiuni, vi informo che potete cominciare con un libro del 1974, una Introduzione a Paperino pubblicata da Sansoni per opera di Marovelli, Paolini e Saccomano che ancora regge bene la concorrenza. In quel saggio c’è un’ulteriore bibliografia, e potete diventare facilmente degli esperti senza annoiare me per risparmiare la fatica. E senza annoiare voi medesimi, perché se mi annoio io divento noioso con quel che segue. Inoltre non ho la più piccola voglia di dirvi che cosa significa Paperino. Per le medesime ragioni, basta che invece di vedere l’ultima puntata di Dallas vi sprofondiate in poltrona, accanto al caminetto, come si faceva una volta, e leggiate per esempio una buona Sociologia del fumetto americano di David Manning White e Robert Abel, tradotta da Bompiani, che vi dirà molto sugli aspetti sociali dei fumetti Usa senza costringere me a far finta di dire la mia. Mi sembra che così la questione di Paperino sia chiusa e non si debbano sprecare delle belle pagine di giornale per ridire il già detto, masticato e digerito. Tuttavia, se proprio di Paperino si deve parlare, mettiamola così: visto che mi sento rappresentativo di una generazione (diciamo dai venticinque ai quarant’anni) che con Paperino ha variamente convissuto, vi narrerò qualcosa della relazione con Donald Duck. Ovvero: qual è stato il mio rapporto con Paperino. È chiaro che, tuttavia, non disponendo qui di molto spazio, non posso fare una biografia completa e incrociata. Mi vedo dunque costretto a semplificare le cose raggruppando il tema in alcuni episodi chiave. E si vada a incominciare.

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Omar Calabrese.

Paperino e la letteratura universale. Avevo esattamente dieci anni quando mio padre per il mio compleanno, invece di regalarmi trenini, automobili, fucili o soldatini, decise di comperarmi l’Enciclopedia dei ragazzi. Rimasi profondamente deluso. Tuttavia il regalo era grosso e pesante e cominciai a sfogliarlo. L’opera era divisa in sezioni, per ciascun volume. E una sezione portava i riassunti illustrati dei grandi capolavori di tutte le letterature del mondo. Cominciai a leggerne qualcuno. Erano bellissimi. Così imparai l’Edda, il Kalevala, il Libro dei re, l’Odissea, I miserabili, I promessi sposi e un sacco di altre belle trame sviluppate in circa dieci pagine. La fame di Grandi Letterature mi attanagliava. Ma ben presto i riassunti dell’enciclopedia finirono, e io non conoscevo l’esistenza del Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi. Che fare? Esitavo dubbioso, e nel dubbio sarei a lungo rimasto, se non che un giorno a scuola intravidi nella cartella di un compagno un bel numero di Topolino, rivista che allora snobisticamente non leggevo. Su quelle pagine intravidi quella che sarebbe stata una scoperta decisiva per la mia vita: una storia dal titolo Paperino e il giro del mondo in 80 minuti. Era il 1959. Iniziava una nuova era di approfondimento delle trame letterarie di popoli e paesi diversi che non mi avrebbe mai più abbandonato, e che a tutt’oggi sono portato a pensare essere stato uno scatto decisivo per le mie successive decisioni di iscrivermi al classico e poi a Lettere e Filosofia. In ogni caso: è stato (ed è tuttora) attraverso Paperino che ho conosciuto capolavori indimenticabili del sapere universale, come il Dottor Faust, La Gerusalemme liberata, Il barbiere di Siviglia, Tartarin di Tarascona, I tre moschettieri, eccetera. Non nego che assai spesso le trame paperinesche mi sembravano approssimative e un po’ falsificate. Ma non era difficile tentare delle integrazioni; o risalire agli originali o capire dove il finale andava modificato. Sotto la superficie paperesca (i personaggi, le loro trame-tipo, ovvero i rapporti di denaro con Paperone e d’amore con Paperina e di cattiva sorte con Gastone) stavano sempre nelle strutture romanzesche in cui c’era del vero. Ancora non lo sapevo, ma avevo imparato i meccanismi della parodia e della citazione. Senza Paperino, forse, non sarei stato più tardi in grado di gustare Borges.

Paperino e la sessualità. Quand’è che comincia la vera percezione dei rapporti familiari? Ovvero, quand’è che si comincia a capire che papà e mamma sono due individui diversi, e che non stanno insieme per caso ma per alcune ragioni precise che riguardano la loro diversità di sesso? I manuali di psicologia dicono che tutto comincia quando il bambino domanda ingenuamente alla mamma come è nato e quando si rifiuta di credere a balle come la cicogna e i cavoli. Per me è andata diversamente. Io ho cominciato a pormi la questione osservando (acutamente, certo acutamente) che le storie dei paperi non prevedono rapporti di babbo e mamma con figli, ma solo rapporti di zii con nipoti. In Paperino non c’è uno straccio di papà, e tanto meno di mamma (e nemmeno in Topolino). Eppure le famiglie ci sono lo stesso. Vuoi vedere che c’è 'sotto qualcosa? La mia articolata domanda (con tanto di documentazione e prove) ebbe il potere di sconvolgere mia madre. La quale tuttavia, e, suppongo per prendere tempo, cominciò col portarmi dal dottore. Per fortuna il dottore, dopo avermi visitato, stette ad ascoltarmi, e scoprimmo di avere una passione paperinesca in comune. Mi spiattellò un sacco di particolari sui rapporti sessuali, ed io non guardai mio padre in faccia per un mese. In compenso le storie di Paperino e Paperina assunsero una nuova luce per me, e scoprii fin da allora le bellezze della scapolitudine, della libertà di movimento, dell’avventura. Rimase il problema di dove mai venissero Qui, Quo e Qua, ma non mi sembrò di buon gusto interrogare ancora i miei genitori per non imbarazzarli. Dopo tutto, che mi importava?

 

Paperino e i mass media. C’erano alcune storie di Paperino che ogni tanto non riuscivo proprio a capire bene. Parlavano di argomenti di cui vagamente sentivo qualcosa a tavola, come le tasse, la Vanoni (da intendersi sempre come tasse), i satelliti artificiali, le scoperte archeologiche, i concorsi di miss qualche cosa, eccetera. Ma non scoprivo la relazione fra i due campi. Fino a quando, guardando la televisione da poco acquistata in casa, cominciai a ritrovare alcuni argomenti del telegiornale dentro le storie di Paperino o Topolino. Perbacco, era chiaro! In Paperino c’era anche l’attualità, e perfino quella italiana (per anni ho ignorato che in Italia si producevano direttamente delle storie per gli Albi Mondadori). Potrà sembrarvi esagerato, ma giuro che ho cominciato a seguire le notizie, anche sui giornali, con un diverso interesse. Un interesse proiettato verso la costruzione di trame potenziali e che qualche volta ritrovavo puntualmente sui giornalini. Ma, del resto, certi grandi scrittori non fanno esattamente così anche oggi? L’attualità presente negli albi era inoltre totale, completa, generale. Comprendeva lo spettacolo, il teatro, la musica, l’arte, il cinema, lo sport. Paperino diventava una vera e propria summa enciclopedica dei media e richiedeva una competenza totale dei media stessi. Anni più tardi avrei coniugato i giornalini con la Scuola di Francoforte, e ne avrei viste delle belle.

Paperino e il lavoro. Paperino non lavora. Non me ne accorsi subito. A dieci anni non c’è nessuna percezione del lavoro, se non che alla magica parola è associato il fatto che i genitori si allontanano di casa per alcune felici ore. Ci ripensai tuttavia dopo qualche anno. E ne conclusi che Paperino aveva ragione. Non c’è proprio alcun motivo per spezzarsi la schiena da mattina a sera in modo routiniero e alienante per vivere schifosamente. Si vive schifosamente anche senza lavorare. Dunque i casi erano due: o non lavorare come Paperino o lavorare in un modo che ne producesse le chance di libertà del mio magnifico eroe. Scelsi la seconda strada, e non me ne sono pentito. Ma riesco a capire come mai migliaia di giovani negli anni attorno al Settantasette scelsero invece la prima, e inventarono slogan come il «rifiuto del lavoro» o preferirono il duro cammino della marginalità. Paperino aveva aperto qualche cervello con le sue illuminanti imprese di sopravvivenza all’insegna della felicità. Paperino aveva fatto capire, magari inconsciamente, che è meglio l’indipendenza che il dominio altrui su noi stessi. Non dubito affatto che l’ideologia disneyana sia stata immensamente differente. Ma il problema sta nel risultato: spesso particolari apparentemente insignificanti possono esserci maestri fin dove neppure gli autori delle nostre letture potevano giungere a pensare».

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