Patria è un paradosso
Si dice patria quando non è sufficiente parlare di nazione, e nemmeno di Italia. Essendo la patria la propria nazione, può sembrare, per chi vi si trova, una parola ridondante, e nel contempo indicante l'invisibile. Appare, evocata, nella distanza: spesso è più facile dire patria per un italiano che vive fuori, allungando lo sguardo a una terra lontana. Appare evocata insieme a un sentimento penetrante, come appunto la nostalgia. Oppure – si veda l'ardente frequenza con cui viene scritta dagli uomini del Risorgimento – il desiderio. La patria si coagula sul vetrino del dolore ed è per certo “sì bella e perduta”. Patrioti si dicono i partigiani che combattono per averne una diversa da quella pesantemente accampata e sfacciatamente proclamata dal fascismo. “Sanguinosamente, oscena / mia patria, procuri indizi, reperti / di archeologia criminale agli esperti / d'altri millenni […] / Che male t'abbiamo fatto, che pena / vuoi che scontiamo per appartenerti / come cellule a un cancro [...]” (Raboni) sono i primi versi novecenteschi che vengono alla mente in merito; Povera patria la canzone pop contemporanea. La patria riappare quindi alla coscienza se degradata, irriconoscibile, distrutta, polverizzata. Perciò, forse, un buon momento per questo fantasma forte in absentia e nel paradosso.