Speciale

Poche fonti a Milano, ma abbiamo la falda alta

17 Maggio 2011

 

Gli alberi affondano le radici anche nel tempo, e lì restano in attesa, in fila, alternati alle panchine, parallelepipedi di pietra polverosa: un tempo qui non c'era recinzione e ricordo che a volte passava al galoppo un tipo a cavallo, altre volte due carabinieri, al passo, con la mantella ed il cappello napoleonico. Chissà, forse passano anche adesso.


Proseguo sui viali, tra i prati che, curiosamente, in un mondo dove tutto peggiora, mi sembrano più erbosi e più imbiancati da pratoline di quanto mi ricordassi dalla mia infanzia: che fossimo noi frotte di bambine romantiche a raccogliere tutti i fiorellini spogliando e calpestando? Sull'erba, ora, alcuni suonatori di bongo e dei milanesi ancora pallidi, appena fuorusciti dalle tane, che si godono il sole, alcuni sdraiati semplicemente, altri sdraiati (s)composti, in coppia.
Non è facile muoversi nel parco in bici il lunedì di Pasquetta, le famiglie “lui, lei, il passeggino e i nonni” avanzano sorridenti per i viali in formazione a rastrello, mentre le non famiglie si sparpagliano, seguendo una bussola incerta, di qui, di là, con movimenti repentini, sembrano attratti dalla mia ruota.


Una volta dei viali del Parco Sempione conoscevo persino gli asfalti: i viali lisci per correre con i pattini a rotelle, quelli granulosi comodi solo per la bicicletta e gli sterrati, con la ghiaia traditrice dove la ruota slittava; ora sono tutti senz'asfalto, la ghiaia è polverosa e scarsa ed è tanta la gente che ci cammina che diventa polverosa anche l'aria.

Con l’asfalto sembra sparita anche la “mia” fontana e la sua grata, quella dove ci si fermava a bere dallo zampillo e dove si lavavano le ginocchia sbucciate, su cui poi avremmo legato un fazzoletto a mo’ di benda per fermare il sangue.

Non c’è più l’asfalto nel Parco, e non ci sono più neanche le macchinine a pedali rosso Ferrari, quelle che affittavi per un quarto d'ora e con cui pedalavi su e giù sempre per lo stesso viale, ma che importa, quando sei bambino, non ci fai molto caso, l'avventura è sempre l'avventura.

 

“Aspetta, – penso – di fontana ce ne era un’altra, là, dove giocavo con Marina e ogni tanto c’era il tizio con l’impermeabile. Marina sapeva che bisognava stare lontane e non guardarlo neanche se ci salutava… però, mai che mi spiegassero niente i miei!”

Per raggiungerla bisognava passare da un’altra cancellata che adesso non c’è più, vicino alle rocce, sotto la Biblioteca, lì non esiste più neanche il trenino, ora ci sono persone, cani, gelati…

 

Pedalo, era sulla destra, ci sembrava così lontano da dove stavamo a giocare. L'odore... eccola, la fontana dell’Acqua Marcia, dove tante persone, soprattutto anziani, riempivano bottiglie. La fonte della giovinezza, dicevano. Ma quell’odore lì, così… pensavo allora, e lo penso anche adesso, guardando gli zampilli e cercando di decifrare le scritte di un cartello, che hanno sovrascritto con un più esplicito pennarellone “acqua non potabile”.


Un giovane si lava, uno srilankese si ferma a rianimare con l’acqua fresca le sue rose da vendere. Chissà se l’acqua sulfurea fa bene alle rose, come dicevano dell’aspirina.
A casa, poi, curiosando sul web per sapere qualcosa di più di questa fontana, ho scoperto che c’è una galleria sotterranea che porta la sua acqua sino al laghetto del Parco, quello dove i pesci rossi liberati dai milanesi diventano carpe giganti.

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