Ritratti d'artista ad alta voce / René Magritte (1898-1967)
Magritte accetta e usa un certo linguaggio pittorico. Questo linguaggio ha più di cinquecento anni e van Eyck ne fu il primo maestro. Esso presuppone che la verità vada trovata nelle apparenze: ecco perché vale la pena di conservarle rappresentandole. Presuppone una continuità nel tempo e nello spazio. È un linguaggio che parla, com’è ovvio, di oggetti – mobilio, vetro, tessuti, case.
È in grado di esprimere un’esperienza spirituale, ma sempre entro uno scenario concreto, circoscrivendola con una certa materialità statica – le sue figure umane parevano statue prodigiose. Il valore della materialità si esprimeva attraverso l’illusione della tangibilità. Non posso ripercorrere qui le tappe della trasformazione subita da questo linguaggio nel corso di cinque secoli. I suoi presupposti fondamentali, tuttavia, sono rimasti immutati e rappresentano ciò che la maggior parte degli europei continua ad aspettarsi dalle arti visive: somiglianza, rappresentazione delle apparenze, raffigurazione di eventi particolari e del loro scenario.
Magritte non ha mai messo in dubbio che tale linguaggio fosse adatto a esprimere ciò che aveva da dire. Sicché, nella sua arte, non ci sono oscurità. Tutto è perfettamente leggibile. Perfino nelle opere degli esordi, quando ancora non aveva sviluppato la perizia cui arriverà negli ultimi vent’anni di vita. (Uso la parola leggibile in senso metaforico: il suo linguaggio è visivo, non letterario, sebbene, in quanto linguaggio, significhi qualcosa di diverso da sé.)
Eppure quel che aveva da dire distruggeva la raison-d’être del linguaggio di cui si serviva; il senso di gran parte dei suoi dipinti dipende da ciò che non si vede, dall’evento che non sta avvenendo, da ciò che può scomparire.
All’origine di quest’opera comunitaria c’è un sentimento di gratitudine. Per l’ospitalità che John Berger ci offre con e nei suoi testi raccolti in Ritratti (il Saggiatore 2018), per la sua scrittura che invita amorosamente a guardare e guardare ancora, con attenzione e sorpresa, per la sua capacità di portarci con sé negli atelier degli artisti e nel mistero del loro fare, nel tempo e nello spazio.
Ascolta la versione integrale del podcast Per John B. su Okta Film. Un progetto a cura di Maria Nadotti.