Funghi per Halloween
Autunno: tempo di streghe, di zucche e di funghi. Più delle cucurbitacee nell’immaginario fiabesco sono i miceti a essere associati a pozioni e filtri magico-stregoneschi, all’inquietante mondo del mistero e dell’ombra. Mangerecci, terapeutici, afrodisiaci, avvenenti, profumati o mortiferi, allucinogeni, infettivi, schifosi, puzzolenti, insomma malefici. Buoni o cattivi, con i funghi non ci sono mezze misure: puoi pensare a un piatto prelibato o a una malattia della pelle, a un farmaco salvavita o a un veleno letale, a una muffa gourmande (Gorgonzola, Roquefort, Bleu de Bresse) o al marciume che ti ha aggredito le pareti di casa e l’arbusto prediletto. Sbucano da sottoterra quando meno te li aspetti (“venir su come i funghi”) o ci possono rimanere come i tartufi; proliferano su tronchi d’albero e sono dappertutto: li mangiamo quotidianamente nel pane, nel formaggio, nella birra, perché sono funghi anche lieviti e muffe.
Forme strane e fantasmagorici colori hanno sollecitato l’immaginazione oltre che l’onomastica popolare e scientifica: Trombetta da morto (Craterellus cornucopioides), Boleto satana (Boletus satanas), Ovolo malefico (Amanita muscaria), Cuore di strega (Clathrus ruber), per non dire del Boletus felleus (Porcino del fiele) e del Rhodophyllus lividus (Entoloma livido o, per i francesi, La perfide). E poi ci sono i leggendari “cerchi delle streghe”, anelli ampi anche decine di metri – centenari se non calpestati e distrutti da bipedi e quadrupedi – disegnati nei campi o nelle radure boschive da certi funghi come il Clitocybe (nebularis o geotropa) o il Calocybe gambosa, esito delle ife e delle spore germinate radialmente dall’Ur-Pilz. Non per nulla il Prospero di Shakespeare, nell’ultimo atto della Tempesta, li evoca come opera di elfi e folletti:
E voi che descrivete a’ rai di luna,
Spiritelli minuti, i cerchi amari
Onde il prato s’imbeve, ed a quell’erba
Né pecora, né zeba il dente accosta;
E voi che per trastullo uscir di notte
Fate il fungo di terra […]
Ma, forse, il fungo più famoso, quello che più di altri condensa l’ossimoro botanico di amore e morte è il Phallus impudicus (Satirione, detto anche Uovo delle streghe) perturbante all’aspetto ma, in realtà, non venefico. Oggetto di una conferenza del dottor Krokowski, è immortalato da Thomas Mann nella Montagna magica in un passo mirabile anche per la definizione del genere:
L’erudito, col suo accento orientale strascicato e con la r che pronunciava battendo la lingua una sola volta, era venuto a parlare di botanica, cioè di funghi – queste umbratili creature della vita organica, rigogliose e fantastiche, dalla natura carnosa assai prossima a quella del regno animale – nella cui struttura si trovavano prodotti del metabolismo animale, albumina, glicogeno, ovverossia amido animale. E il dottor Krokowski aveva poi parlato di un fungo, già famoso nell’antichità classica per via della sua forma e delle proprietà che gli venivano attribuite … una morchella nel cui nome latino è presente l’attributo impudicus, con una conformazione che ricorda l’amore mentre il suo odore ricorda la morte. Era infatti, con tutta evidenza, odore di cadavere quello che l’impudicus diffondeva quando dal suo pileo a forma di campana sgocciolava il muco tenace e verdastro che lo ricopriva, e diffondeva le spore. Gli ignoranti seguitavano però ancora oggi a considerarlo un afrodisiaco.
Dapprima accorpati alle piante, poi nella classificazione scientifica eletti al rango di regno i funghi, benché privi di clorofilla, rientrano a pieno titolo in una rubrica per dilettanti letterati giardinieri. Dopo aver recitato i necessari scongiuri o attuato tutta la profilassi del caso contro muffe e funghi patogeni (oidio, botrite, fumaggine, ticchiolatura ecc.), dovremmo saper guardare ai funghi anche come a risorse estetiche insperate del giardino d’autunno che si avvia verso l’invernale penuria floricola. Dovremmo esaltarne la presenza tagliando loro l’erba attorno, mostrarli agli ospiti come si fa con le essenze nuove di cui si va fieri e considerarli quali fiori particolari come ci suggerisce Marino Moretti nella sua poesia Autunno:
Il cielo ride un suo riso turchino
benché senta l'inverno ormai vicino.
Il bosco scherza con le foglie gialle
benché l'inverno senta ormai alle spalle.
Ciancia il ruscel col rispecchiato cielo,
benché senta nell'onda il primo gelo.
è sorto a piè di un pioppo ossuto e lungo
un fiore strano, un fiore a ombrello, un fungo.