Sorvegliare e spiare
La notizia è ormai nota: su un periodo di trenta giorni, dal 10 dicembre 2012 all'8 gennaio 2013, la Nsa avrebbe effettuato, solo in Francia, 70,3 milioni di registrazioni di dati telefonici, ha rivelato Le Monde, citando i documenti di Edward Snowden, l'informatico della Nsa che ha fatto scoppiare lo scandalo. Intanto il giornalista Glenn Greenwald, portavoce delle rivelazioni di Snowden sul sistema di sorveglianza statunitense, ha affermato lunedì 21 ottobre che tutti i Paesi dell'America Latina sono stati spiati da Washington. Il Messico ha chiesto l'apertura di un'indagine. Nel frattempo in Italia il garante della privacy scrive a Letta per sapere se anche la privacy dei cittadini italiani è stata violata.
Questa è solo l'ulteriore tappa (non sarà l'ultima) di scoperchiamento dell'enorme vaso di Pandora che va sotto il nome di Prism, il sistema di sorveglianza globale che la National Security Agency statunitense ha messo in piedi dopo l'11 settembre.
Trasferimenti di file, conversazioni in chat e via Skype, scambi email, video conferenze, profili di social network, dati di log in, ricerche su Google e scambi di video, tutto è tracciato e scansionato da software alla ricerca di potenziali pericoli per la sicurezza nazionale ma anche potenziali segreti industriali, commerciali, politici. Anche se poi nessun occhio umano legge la nostra posta, quella posta è vivisezionata da software a nostra insaputa.
Tutti sapevamo, tutti sospettavamo, ma le rivelazioni di Snowden mediate da medium di massa globali come Guardian e Le Monde ci forniscono la prova definitiva. Ora chi oserà più parlare del potere liberatorio e democratico di Internet? Sembra la definitiva vittoria delle Cassandre del digitale. Mi piacerebbe essere nella testa di Evgenyi Morozov ora, il più importante e lucido critico del potere democratico della rete. Morozov ce l'aveva detto: la rete è una delusione, i governi autoritari la stanno usando per fini di censura, controllo e propaganda. Al contrario di quanto si pensa, la rete potrebbe rivelarsi un potente mezzo in mano ai governi autoritari.
Sorveglianza, censura e propaganda sono le tre parole chiave dell'argomento di Morozov. Russia, Cina, Arabia Saudita, ma anche Egitto, Tunisia e Siria, fanno un uso autoritario della rete, ne filtrano l'informazione, ne sorvegliano le comunicazioni, la piegano a proprio beneficio per costruire consenso. Questo è quello che tutti pensavamo ormai di sapere. Con il caso Snowden sappiamo con certezza, se ce ne fosse stato il bisogno, che non soltanto i governi autoritari, ma anche quelli democratici come gli Stati Uniti controllano, sorvegliano, spiano e scansionano le comunicazioni globali. Ma questo non è il vero punto della notizia.
Antonio Casilli, sociologo italiano delle culture digitali emigrato in Francia ed esperto di temi legati alla privacy online, pochi giorni fa intervistato da l'Espresso, ha affermato: “Quello che il whistleblower americano ha rivelato non è tanto che gli Stati Uniti siano una sorta di piovra tentacolare, capace di catturare informazioni sui dati che produciamo, quanto l'estensione, seppure involontaria, della nostra partecipazione al sistema. Nessun governo, in fondo, ha nascosto delle microcamere nelle nostre abitazioni o nei luoghi di lavoro. Tutti i cittadini hanno concorso a nutrire il database, lasciando tracce del proprio passaggio.”
Chiunque usi uno smartphone o una connessione internet sa che i suoi dati verranno tracciati, aggregati, misurati, scansionati e archiviati. E tutto quello che ancora non è possibile su grossa scala – sistemi di riconoscimento facciale, movimento degli occhi, detenzione degli stati emotivi – presto lo sarà.
Ma non esiste solo la sorveglianza a fini politici. C'è anche la sorveglianza commerciale, la quale, sostiene il critico Mark Andrejevic, “è diventata una componente cruciale delle nostre infrastrutture comunicative”. Le corporation e i media, vecchi e nuovi, stanno beneficiando del progresso tecnologico per raccogliere una mole di informazione senza precedenti riguardo le abitudini dei consumatori, i loro gusti e stili di vita. Internet è, secondo i più critici, una fabbrica, dove gli utenti sono sfruttati e controllati da istituzioni politiche e commerciali (vedi il recente libro del sociologo neomarxista Trebor Scholz, Digital Labor: the Internet as playground and factory).
Sorveglianza statale e commerciale, quindi. Ma anche per fini “educativi”. Un articolo dell'8 ottobre di Luca Tremolada racconta che “un distretto scolastico di Glendale, una cittadina nella contea di Los Angeles nella California del Sud, ha iniziato questa estate a monitorare i propri studenti anche quando non sono in aula. Hanno firmato un accordo con la startup Geo Listening che di mestiere monitora post, tweet e feed. In base al contratto si impegna a leggere le attività degli studenti sui social network per avvertire l'amministrazione scolastica in caso di bullismo, insulti o tracce di malessere psicologico.”
Il regime della sorveglianza si sta espandendo, quindi, ovunque esiste un cavo elettrico, un cavo di rete, una telecamera, un microfono. E' il processo di elettrificazione del mondo, iniziato con il telegrafo e proseguito con i registratori audio, il telefono, le trasmissioni audio e video ecc... che porta inscritto nel suo DNA le potenzialità di estensione del Panopticon.
Uno dei più importanti studiosi della cultura digitale, Barry Wellman, tra i primi a parlare di società di rete (2001), sostiene in un articolo del 2003 e nel suo recente libro Networked. Il nuovo sistema operativo sociale (Guerini & Associati, 2012), che si vanno affermando tre tipi di sorveglianza: 1) la sorveglianza delle istituzioni; 2) la co-veglianza, ovvero la sorveglianza reciproca tra gli utenti e degli utenti su altri utenti (l'uso di social media come Facebook, Twitter, Instagram per avere il controllo dei movimenti e delle opinioni dei nostri amici e conoscenti). Wellman riporta alcuni dati: nel 2009 il 69% degli utenti americani di internet aveva cercato qualcuno online; 3) la sorveglianza dal basso (sousveillance), ovvero il controllo esercitato sui poteri forti.
In un regime digitale, la sorveglianza fa parte della grammatica del mezzo. Certo, la politica può e deve governare gli abusi, deve occuparsi di limitare gli usi di queste pratiche, sia a fini politici che commerciali. Gli Stati Uniti sono anche, ricordiamolo, il luogo dove diventerà legge il diritto all'oblio, la possibilità di cancellare per sempre il proprio passato digitale. Ma la sorveglianza rimane una proprietà di questo mondo connesso in cui viviamo.
Ecco allora che la parola “sousveillance” coniata da Wellman, Mann e colleghi acquista un significato particolare. In un ecosistema dove le istituzioni politiche fanno fatica a normare gli eccessi (perché sono esse stesse i mandanti degli eccessi) la sorveglianza si combatte non solo nei Parlamenti nazionali e internazionali, ma anche fuori, dal basso. La rete non è più un luogo neutro, ma un campo di potere dove vanno in scena i conflitti sociali, politici ed economici del XXI secolo.
Così come gli stati e le corporation la possono usare per tenere sotto sorveglianza i propri cittadini e consumatori, i cittadini stessi la useranno per controllare i controllori, per spiarli e sorvegliarli. Alla luce dei fatti di Prism, acquista nuovo senso Wikileaks, che fa esattamente questo: sorveglia i sorveglianti. A molti giornalisti professionisti questa sorveglianza dal basso non piace, perché mette in pericolo le relazioni internazionali, indebolisce l'antiterrorismo e non ragiona sulle conseguenze delle proprie azioni.
Su Twitter per esempio l'ex giornalista del Guardian Greenwald e Gianni Riotta si sono scontrati perché il giornalista italiano ha affermato che “La filosofia di Greenwald e Snowden è opposta a quella del giornalismo professionale, senza controllo delle fonti, ricerca dei motivi per cui certi documenti vengono diffusi, analisi delle conseguenze che la pubblicazione comporta, per esempio sull’antiterrorismo.” Riotta assume posizioni ideologiche (non ha fornito prove del fatto che Greenwald non verifichi le proprie fonti) e sostiene che il far west della sorveglianza, non solo quella americana, vada semplicemente normata. Ma finché i programmi di sorveglianza non verranno resi trasparenti e regolamentati, non rimane che la contro-sorveglianza.
Le notizie intorno a Prism o alla raccolta di dati da parte di Facebook e Google sui nostri consumi non ci devono spaventare né scandalizzare, ma soltanto rendere consapevoli del prezzo delle nostre interazioni digitali e della lingua che bisogna tutti imparare a parlare. Internet è contemporaneamente uno strumento di propaganda, controllo e censura, è il luogo di Prism e delle intercettazioni dei blogger e attivisti egiziani, tunisini, iraniani, ma è anche il luogo del coordinamento immediato delle rivolte arabe e turche. E' il luogo dello sfruttamento dei lavoratori da parte di Amazon (il Mechanical Turk) e delle piattaforme cooperative come Wikipedia. Così come la radio negli anni trenta, era lo strumento del consenso del fascismo, del consumo americano, dell'educazione inglese e poi, negli anni sessanta, della liberazione e dell'auto espressione dei movimenti hippie americani e autonomisti italiani.
Mentre mi documentavo per questo articolo, a notte fonda, mi sono imbattuto in un articolo di Wu Ming 2 del 2008, che non c'entra niente con la sorveglianza ma che ha il finale giusto per questo articolo: “Solito vecchio discorso: poiché il nemico utilizza uno strumento, lo strumento diventa il nemico. Qualcun altro, per fortuna, ci ha insegnato che le macchine vanno strappate a chi le controlla e usate per contrastarne il dominio.”
E aggiungerei il solito vecchio adagio che ha caratterizzato la fine degli anni novanta per alcuni di noi: Don't hate the media. Be the media. Essilo. Il medium.