Uccelli col mal di gola
Margalo è il nome di un uccellino che fa la sua comparsa nell’ottavo capitolo del romanzo Stuart Little di E. B. White. È un vireo dagli occhi bianchi (vireo griseus) in cui si imbatte la signora Little scuotendo la tovaglia dalla finestra di casa. Margalo sta sul davanzale, steso su un fianco, apparentemente morto (è inverno in quel capitolo, un freddo becco). La signora Little lo prende fra le mani e lo depone accanto al termosifone. In breve tempo Margalo dispiega le ali e apre gli occhi. È vivo, e nel giro di poco fa amicizia con Stuart Little, il topolino.
Nel vederlo Stuart Little gli chiede chi sia e da dove venga. Margalo risponde con una voce che E. B. White non esita a definire musicale: “vengo da campi un tempo alti di grano, da pascoli dove abbondano la felce e il cardo; vengo da valli di olmaria, e amo cantare”. Colpito dalla bellezza del suo canto, Stuart Little lo incalza: “dillo di nuovo!”, ma Margalo, ancora raffreddato, risponde: “non posso, ho il mal di gola”. Un uccellino col mal di gola è un bel problema, tanto che Stuart Little gli offre la sua medicina per i gargarismi e tutti i kleenex che tiene sul comodino (Stuart Little è indisposto a sua volta; s’è preso la bronchite dopo essere rimasto chiuso nel frigorifero nel tentativo di sgraffignare del formaggio).
E. B. White, a cominciare dal topolino Stuart Little, ha scritto delle pagine memorabili in cui gli animali la fanno, mi si perdoni la battuta, da padrone. Fra i tanti, un saggio dedicato alla morte improvvisa del suo maiale (Death of a pig); un altro, struggente, dedicato al devoto e amatissimo bassotto Fred (Bedfellows; Compagni di letto), dove Fred sta accoccolato sul letto mentre White sfoga la febbre sfogliando tre libri di altrettanti politici democratici: Harry Truman, Adlai Stevenson e Dean Acheson; un terzo (Interview with a sparrow; Intervista a un passero), in cui chiede a un passero perché mai si ostini a vivere in città quando potrebbe godersi la campagna (inappuntabile la risposta del passer domesticus: “in città trovo tutto quanto offre la campagna, con l’aggiunta del melodramma”); un altro ancora (The Rock Dove; Il piccione selvatico) in cui risponde a tale Eugenia Bedell, la quale sulla rivista Promenade, a metà anni ’50, si chiedeva se qualcuno avesse mai visto un piccione appena nato (baby pigeon) a New York.
Risposta di E. B. White: sì, sono stati segnalati dei casi. Proprio questo pomeriggio ho avvistato un piccioncino in un nido al No. 813 sulla Quinta Strada, terzo piano, a pochi passi dal bar per soli uomini della Carlton House, uno degli alberghi che sovvenziona la rivista “Promenade”.
Un uccellino col mal di gola, tornando brevemente a Margalo, è un bel problema. È, questo, uno dei motivi che ha spinto Randall Poster, music supervisor che ha lavorato a fianco di registi quali Wes Anderson, Martin Scorsese e Todd Haynes, a intraprendere l’avventura culminata in For the Birds: The Birdsong Project, cospicua impresa poetico-canora alla quale hanno preso parte più di duecento fra attori, scrittori, musicisti, architetti e visual artists (Nick Cave, Jonathan Franzen – noto bird watcher – Elvis Costello, Terry Riley, Sean Penn, Tilda Swinton, Kamasi Washington, Matthew McConaughey, Bette Midler, eccetera), tutti uniti nel celebrare le gioie che gli uccelli portano nelle nostre vite e nel reiterare l’allarme riguardo la minaccia ambientale che incombe.
Il primo volume ha visto la luce a maggio, altri quattro seguiranno da qui a settembre. Musica, canzoni, poesie, schizzi di voliere. Un cofanetto di venti LP sarà pure disponibile sul mercato in edizione limitata. L’intero ricavato dell’operazione andrà a favore della National Audubon Society, un’organizzazione no-profit fondata nel 1905 che ha quale missione la salvaguardia degli uccelli e dei loro habitat naturali.
Il bassotto Fred, stando a E. B. White, era un window gazer e un bird watcher. Lo era diventato invecchiando, trovandosi nella necessità di sostituire le attività sportive (rincorrere palline da tennis, scavare buche in giardino) con dei piaceri più sedentari. Stava lì in contemplazione davanti alla finestra, appoggiato a un cuscino, gli occhi accesi di speranza e di sapienza scientifica.
Nulla gli sfuggiva. In particolare, annota E. B. White, aveva un debole per gli uccelli e gli scoiattoli. Dietro quel monitoraggio casalingo c’era il timore di perdere il controllo del territorio. Ogni uccello e ogni scoiattolo, ogni mosca e ogni puzzola, ogni topo e ogni porcospino erano per lui motivo di apprensione, una vera e propria questione di sicurezza domestica suscettibile di ribaltare un dominio al quale aveva dedicato l’intera esistenza.
Proprio come il bassotto Fred, nella nuova era casalinga che il confinamento ci impose, accanto all’amara constatazione che la stagione delle buche scavate in giardino appartiene ormai al passato, mi sono scoperto a osservare con maggior attenzione il mondo animale dalla finestra. Quando il rumore del traffico si spense, nei primi giorni del confinamento, il canto degli uccelli irruppe nella vita di molti di noi in modo inatteso. Per chi abitava in città o sul ciglio di una strada trafficata fu come alzare un sipario sonoro.
C’era un mondo di melodie là fuori, e d’un tratto quel mondo si rivelò in tutta la sua ricchezza e varietà. Difficile, per il profano, dire che cosa si raccontino gli uccelli quando si rivolgono l’un l’altro pigolando e squittendo, ma è certo che quel dialogo ci comprende, come ci comprende il suono di un’orchestra che accorda gli strumenti prima di una sinfonia. Sono il preludio a una forma che ancora non c’è o più semplicemente ci sfugge, ma che attendiamo con trepidazione perché intuiamo che sarà fonte di piacere o di scoperta.
Quel che sappiamo, dice Jonathan Meiburg, ornitologo e leader del gruppo rock degli Shearwater (il gruppo prende il nome dalla berta maggiore, calonectris diomedea, un uccello di mare la cui voce assomiglia alla voce umana) è che “gli uccelli fanno musica per la nostra stessa ragione: per comunicare. Gli uccelli non soltanto cantano, ma stridono e urlano, alcuni emettono dei suoni così profondi che quando li hai accanto la tua cassa toracica comincia a vibrare. La varietà di suoni che gli uccelli possono emettere è sbalorditiva. Alcuni emettono più suoni contemporaneamente. In confronto alla loro, la musica di noi umani è piuttosto primitiva”.
Randall Poster conta di usare questo progetto per mettere in rete diverse società ornitologiche d’America, su tutte il Brooklyn Botanic Garden e l’American Bird Conservancy. È persino riuscito a strappare all’azienda ottica Warby Parker la fornitura di ventimila binocoli (loro li chiamano simpaticamente bird-noculi, da bird, appunto, uccello), per incoraggiare i bambini a dedicarsi alla pratica del birdwatching. La musica degli umani ha sovente cercato ispirazione nel canto degli uccelli. Come ipotizzato da alcuni scienziati e linguisti è addirittura possibile che il linguaggio degli umani si sia sviluppato a imitazione del canto degli uccelli.
Già in L’origine della specie Charles Darwin scriveva: “i suoni emessi dagli uccelli offrono, per parecchi aspetti, l’analogia più vicina al linguaggio, perché tutti gli individui della stessa specie emettono grida istintive che esprimono le loro emozioni; e tutte le specie che cantano esercitano la loro facoltà istintivamente”. Jonathan Meiburg degli Shearwater dal canto suo fa notare come “lo spettro di suoni usato dagli uccelli è molto simile al nostro, ciò che in parte spiega perché ne siamo così attratti”. In una delle sue ultime canzoni Meiburg ha affidato a un tucano una parte da protagonista se non proprio da solista, mentre il brano che ha offerto all’antologia curata da Randall Poster, intitolato Kwitaro Backbone, è modellato sul canto di alcuni uccelli registrati in presa diretta sulle sponde di un fiume in Guyana.
Senza canto, o con un canto che nessuno è in grado di interpretare o di comprendere, saremmo perduti. Vale per gli uccelli, vale per ogni animale che ha facoltà di intonare delle melodie, e vale per l’uomo. Ne sa qualcosa la balena 52-Hz, “la balena più solitaria del mondo”, scoperta anni fa da un team di biologi marini, una balena che emette un richiamo a una frequenza più alta rispetto a quella dei suoi simili, tanto che il suo canto non può essere percepito da altre balene, e 52-Hz (trenta metri di lunghezza, centottanta tonnellate di solitudine marina) nuota da sempre tra la California e l’Alaska senza il conforto di un contatto con altri cetacei.
Una scoperta che a suo tempo finì su molti giornali e che ha ispirato diversi artisti. Il sassofonista canadese Colin Stetson ad esempio, che con il suo enorme strumento e una portentosa tecnica di respirazione circolare le ha dedicato un brano – Part of me apart from you: “quando suono questo pezzo non posso fare a meno di pensare a questa balena, che proprio in questo momento sta cantando da sola” – e quando si è trattato di fondare un’etichetta discografica l’ha chiamata proprio così: 52Hz.
Margalo, il vireo dagli occhi bianchi, e Stuart Little, il topolino, furono in fondo protagonisti di una storia d’amore impossibile. Quando Margalo decise di volarsene via per liberarsi dalle attenzioni del gatto domestico e di un felino suo complice, Stuart Little prese a sua volta la decisione di scappare di casa. Voleva ritrovare l’uccellino con la voce d’angelo, e per farlo era disposto ad abbandonare tutto. Preparò la sua mini-valigia infilandoci lo stretto necessario e si diresse verso nord a bordo della sua macchinina.
Non ritrovò Margalo ma in campagna fece delle esperienze che la città – era un topolino cresciuto in un quartiere di New York, un sorcio discreto ma assai scaltro – non avrebbe potuto offrirgli. Fece in fondo quel che fece E. B. White quando, dopo una vita trascorsa a Manhattan a pigiare sui tasti di una macchina per scrivere, migrò nello stato del Maine per trasformarsi in un campagnolo a tempo pieno, circondato dai suoi amici a quattro zampe e da una colonia di animali da cortile. Fred intanto aveva lasciato il posto ad altri bassotti, ma il 2 gennaio del 1971 White scrisse una lettera all’amico Reginald Allen (Letters of E. B. White, Harper & Row, Publishers, 1976, pag. 611; da una sezione intitolata Al riparo del fienile) dove si dilunga su questioni ornitologiche.
Editorial-ornitologiche dapprima, e poi di natura alimentare-veterinaria. In quei giorni E. B. White stava lavorando a un adattamento orchestrale di un romanzo che aveva al centro un altro volatile: The Trumpet of the Swan (La tromba del cigno), che racconta la storia di un cigno trombettiere (cygnus buccinator) nato sprovvisto di voce, il quale per sopperire all’handicap e per comunicare coi suoi simili ha preso l’abitudine di soffiare dentro una tromba (la balena 52-Hz e Colin Stetson non erano ancora nati quando White scrisse il romanzo). White nella lettera si rivolge all’amico sottoponendogli una serie di questioni che riguardano l’adattamento del romanzo, ma il messaggio si chiude citando un episodio occorso allo scrittore poco prima del giorno di Natale del 1970.
Era successo che dopo una notte di tempesta, proprio come nel romanzo Stuart Little scritto nel 1945, un quarto di secolo prima, E. B. White avesse trovato sulla soglia di casa un uccellino apparentemente stecchito (la vita che imita la letteratura verrebbe da dire). Si trattava di un uccello gatto (dumetella carolinensis). White lo depose in una gabbia nella serra e lo nutrì con della mela a dadini e dello stufato di manzo. La cura funzionò. L’uccello, proprio come Margalo in Stuart Little, si riprese, ma White si avvide che le zampe del pennuto s’erano rattrappite, rendendo vano ogni tentativo di appendersi al trespolo. L’ipotesi di congelamento fu presto scartata da un amico ornitologo al quale White s’era nel frattempo rivolto.
Si trattava più probabilmente di una conseguenza legata ai pesticidi, e l’ornitologo si offrì, testuali parole, di massaggiare le zampe dell’uccello. Che si tratti di mal di gola o di una storpiatura dovuta a un pesticida, è confortante sapere che là fuori ci sono dei topolini come Stuart Little disposti a spartire dello sciroppo per la tosse, degli ornitologi che massaggiano le zampe a un pennuto, dei musicisti che svuotano i polmoni dentro un sassofono pensando a una balena solitaria, o degli artisti un po’ matti come Randall Poster, che dal nulla mettono in piedi un progetto che parla insieme della sopravvivenza degli uccelli e, in fondo, di quella di tutti noi.
For the Birds: The Birdsong Project
Bonus track: The Beatles, Blackbird