Vamos a la playa e l’estate 1983
Nei primi giorni di giugno del 1983 esce in Italia e nel resto del mondo uno strano 45 giri. È cantato in lingua spagnola. Parla di spiagge, svago e armi atomiche. Ironizza su un vento radioattivo che spettina i capelli. Le voci che intonano la bizzarra melodia, su una base musicale di “natura collosa”, sono di due ragazzi giovanissimi, in età da servizio militare. Il videoclip della canzone li mostra in camicia, cravatta e mocassini, su una scenografia cartonata che riproduce un paesaggio vacanziero fatto di colori fluorescenti. Uno di loro indossa dei vistosi occhiali da sole a specchio, mentre entrambi fingono di cantare dentro futuristici orologi da polso dotati di antenne, lasciando immaginare agli spettatori di potersi collegare con astronavi aliene pronte ad atterrare sulla Terra. Si fanno chiamare Johnson e Michael Righeira, ma in realtà sono nati a Torino e all’anagrafe sono registrati come Stefano Righi e Stefano Rota.
La canzone si chiama Vamos a la playa, e sembra quasi inutile ricordarne il titolo. Tutti abbiamo avuto modo di ascoltarla, indipendentemente dalle età o dai gusti musicali. È un “tormentone” che sembra capace di superare le barriere del tempo, entrato di prepotenza nella macchina rievocativa imposta dall’industria culturale. A ripercorrere la storia di quello straordinario successo è oggi Fabio De Luca, scrittore, giornalista e dj radiofonico, in un libro intitolato Oh, oh, oh, oh, oh. I Righeria, la playa e l’estate del 1983 (Nottetempo, 2023). L’autore prova a riattivare la sua memoria di adolescente (aveva 16 anni all’epoca dei fatti narrati) mettendosi sulle tracce delle discoteche, delle stazioni radiofoniche e dei bar con jukebox che diffondevano il brano. Scende nella cantina che ospitava la sala prove del bizzarro duo musicale. Dialoga con Johnson e scava dentro la sua surreale parabola artistica. Si scontra con l’ostinato silenzio di Michael, che continua a sottrarsi a qualsiasi domanda sulla sua avventura da celebrità della musica pop. Raccoglie le testimonianze di altri protagonisti di quegli anni: Linus, Claudio Cecchetto, Antonella Ruggiero, Jovanotti, Carmelo La Bianca (coautore di Vamos). Colleziona fotografie, date e ritagli di giornali. Cerca in tal modo lo “spago rosso” per tenere insieme tutte le tracce a sua disposizione, ipotizzando anche “qualche forma di causa ed effetto”.
La canzone, decifrata in ogni suo particolare, è dunque il pretesto per aprire una trama più ampia e per entrare dentro un’epoca segnata da profonde contraddizioni. La svolta periodizzante, stando alla lettura proposta da Fabio De Luca, è l’11 luglio del 1982. La nazionale di calcio conquista la coppa del mondo in Spagna, offrendo lo spunto per la costruzione di un sontuoso “gioco di prestigio” giornalistico, un’operazione “di contabilità creativa” utile a mettere in cantina “tutte le magagne e le voci di bilancio” del decennio precedente. Il racconto mediatico trasforma il trionfo sportivo nel riscatto di un intero paese, riappiccicando i cocci degli anni Settanta, segnati da violenze e tensioni. L’opportunismo del centravanti Paolo Rossi diventa rappresentativo dello spirito di un popolo, capace di adattarsi alle situazioni più sfavorevoli e di rovesciarle a proprio vantaggio. Le piazze non fungono più da palcoscenico per proteste e conflitti, ma si riappropriano della loro dimensione ludica, accogliendo esplosioni di giubilo che fanno emergere “una rabberciata coesione intorno all’idea di Italia”.
Nel frattempo l’inflazione sale del 14,7% in pochi mesi, e il costo della benzina ha un rialzo percentuale senza precedenti (+21,5%). Nella primavera del 1983 il partito socialista di Bettino Craxi sfiducia il governo guidato da Amintore Fanfani. Le elezioni anticipate del 27 e 28 giugno hanno esiti importanti sul piano politico: al calo della Democrazia Cristiana corrisponde un significativo successo degli stessi socialisti, che riescono a ottenere la presidenza del Consiglio dei ministri. L’affluenza alle urne è dell’88,42%, la più bassa mai registrata nella storia della Repubblica fino a quell’anno (essendo abituati al costante calo di partecipazione degli ultimi anni, leggiamo questo dato con un pizzico di stupore). L’eroina miete molte vittime fra i giovani, lasciando intere famiglie in preda alla disperazione. Il pianeta è attraversato dai venti della guerra fredda: mentre un satellite spia sovietico cade nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, il presidente americano Ronald Reagan promette uno scudo spaziale dotato di avveniristici “laser a raggi x”. Ci sarebbero elementi sufficienti per coltivare apprensioni sui destini dell’umanità, ma a prevalere è un’atmosfera da “belle époque” trainata dalla moda, dalla televisione e dalla pubblicità. Rispondendo ai quesiti degli istituti di statistica, gli italiani si dichiarano ottimisti sul proprio futuro (66%), considerandolo come “un’oasi incontaminata di meravigliose possibilità”. Si ha l’impressione che i figli dei contadini possano diventare imprenditori “senza passare dalla Bocconi”. I nuovi ceti medi si dedicano al consumo senza remore, lasciandosi alle spalle qualsiasi distinzione fra “bisogni primari e voluttuari”. Si mostrano “impavidi e fieri” nello spremere “ogni nuova esperienza come un tubetto di dentifricio”.
In questo scenario di surreale ottimismo, i Righeira portano al successo Vamos a la playa: una giocosa cronaca del dopobomba mitigata dalla lingua spagnola (“La bomba estalló / Las radiaciones tostan / Y matizan de azul”), già associata in quegli anni alla “spensieratezza” del venerdì sera, o alle bevande alcoliche annacquate da consumare sugli svincoli delle circonvallazioni. È significativo il fatto che, negli stessi mesi, le classifiche di vendita siano scalate da un’altra canzone incentrata sugli ordigni letali. A proporla è il Gruppo Italiano (divenuto noto nel 1980 nei locali milanesi con il nome “Randa”), e si intitola Tropicana. Il ritmo, vagamente caraibico, riesce a distrarre gli ascoltatori dal contenuto dei versi: “L’esplosione e poi / dolce, dolce / un’abbronzatura atomica / […] La lava incandescente / Gremava gli hulahop / L’uragano travolgeva i bungalow”.
I favori riscossi dai due brani potrebbero sembrare il frutto di una combinazione casuale, ma è sufficiente allargare lo sguardo per capire che siamo di fronte a un fenomeno più complesso. La Nato ha appena installato 112 missili Cruise nella base di Comiso, in Sicilia, facendola diventare uno dei principali avamposti strategici dell’alleanza atlantica nel Sud Europa. La rete statunitense ABC manda in onda The Day After, un film di Nicholas Meyer che ipotizza l’inizio di una guerra atomica fra Usa e Urss: il disastro non è più presentato come il risultato di un eventuale errore umano, ma come lo sbocco inevitabile dello scontro in corso. Il primo gennaio del 1984 il celebre rotocalco TV Sorrisi e Canzoni saluta l’inizio del nuovo anno con un articolo dedicato all’inverno nucleare, a firma dell’astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan. Pippo Baudo ospita scienziati giapponesi e americani per parlare di pace nel salotto di Domenica In, ricevendo una telefonata di ringraziamento da Sandro Pertini. Con uno stile comunicativo che ormai risulta riconoscibile al pubblico, il presidente della Repubblica lancia il suo appello disperato in diretta nazionale: “O si arriva al disarmo, o sarà la fine dell’umanità”.
Un tratto distintivo della nuova cultura “pop” è la nostalgia. I viaggi nel passato proposti dalle fabbriche dell’immaginario hanno come destinazione privilegiata gli anni Cinquanta e Sessanta, considerati come un’epoca aurea e spensierata, non macchiata dalle lotte sociali e dalla violenza. L’Estate romana – una manifestazione culturale ideata dall’assessore Renato Nicolini, membro di una giunta a guida comunista – include una rassegna intitolata Alla ricerca del ballo perduto, curata dal giornalista Roberto D’Agostino. Migliaia di persone si divertono sulle note di Abbronzatissima o sui pezzi dei Beach Boys, “scavalcando all’indietro il presente e i suoi problemi”. La TV manda in onda le puntate di Happy Days (in prima visione in Italia dal 1977 al 1987), offrendo agli spettatori una soffice rappresentazione della vita familiare a Milwaukee nel secondo dopoguerra. Il cinema americano segue linee narrative dello stesso tipo con Grease (per la parte del protagonista si pensò inizialmente a Henry Winkler, interprete di Fonzie, prima di far ricadere la scelta su John Travolta), mentre in Italia i gestori delle sale esultano per gli incassi di Sapore di mare (1983), commedia malinconica dei fratelli Vanzina ambientata in Versilia.
È lo stesso tema della nostalgia ad assumere un ruolo cruciale nelle pagine di Oh oh oh oh oh. Fabio De Luca lo sviscera a fondo, cercando di spiegare come Vamos a la playa conservi, a distanza di 40 anni, una posizione privilegiata della nostra collezione di ricordi. Per raggiungere questo scopo, l’autore si avvale di lunghe interviste. Illuminanti sono le parole Ivan Cattaneo, che proprio all’inizio degli anni Ottanta oscilla fra lo sperimentalismo e il revival. La sua consacrazione arriva con l’album Duemila60 Italian Graffiati (1981), che ripropone canzoni come Una zebra a pois (1960), I Watussi (1963), Stessa spiaggia, stesso mare (1963): “Non era semplicemente revival, era un’operazione di archeologia moderna, che per quell’epoca era un’assoluta novità. Oggi è normale che nei talent ci si confronti con le canzoni del passato, allora il passato era … passato e basta. […] Erano pezzi che latentemente appartenevano ancora al ricordo di tutti, e di cui ci si era un po’ scordati. C’era stata di mezzo la contestazione, gli anni Settanta: quel genere di pop spensierato a un certo punto era diventato impresentabile. L’atmosfera su di giri del nuovo decennio era, strategicamente, il momento perfetto per recuperarlo”. Non dissimili sono le osservazioni che emergono dalla conversazione con Antonella Ruggiero, celebre voce femminile dei Matia Bazar. Il gruppo, proprio nel 1983, intuisce che la “modernità estrema” passa attraverso “il ricordo”. Partendo da questi presupposti, porta al successo Vacanze romane, una struggente ballata vintage, capace di mischiare le “vere” chitarre suonate da Carlo Marrale con suoni prodotti da synth e batterie elettroniche. I nuovi paesaggi sonori sembrano non poter prescindere “dalle tracce di ciò che è stato prima”.
Fra il 1984 e il 1985 gli stessi Righeira consacrano la loro avventura musicale alla nostalgia, trasformandola in una vera e propria poetica codificata. Tirano fuori dal loro cilindro L’estate sta finendo, raggiugendo un successo quasi superiore a quello di Vamos a la playa: l’epopea balneare è ritratta nella fase finale della sua parabola, quando gli ombrelloni si chiudono e i gabbiani ritornano in città. La canzone esce in primavera e, seguendo un “controintuitivo paradosso, quasi situazionista”, suggerisce al popolo dei vacanzieri la possibilità di crogiolarsi anzitempo “nelle ipocondrie autunnali”. Le esperienze positive si trasferiscono in un tempo che si è già esaurito, lasciando in eredità un presente uggioso e un avvenire poco definito, non più disposto a farsi scrutare con incondizionata fiducia. Per quanto possa sembrare insensato, il ricordare diventa un’esperienza più preziosa del vivere.
Proprio nell’indagine sulla dittatura della rievocazione, un libro come Oh oh oh oh oh trova la sua motivazione più profonda. Le pagine di Fabio De Luca lasciano emergere una lucida consapevolezza: la costruzione della memoria collettiva riesce non solo a plasmare le percezioni individuali, ma anche a rendere ardua l’indagine storica. Gli strumenti messi a disposizione dall’ecosistema mediatico – in particolar modo piattaforme come Youtube, Spotify o Vimeo – ci danno la possibilità di ritrovare quello che cerchiamo con estrema facilità. Non abbiamo bisogno di sforzi per rivedere la sigla di un cartone animato, le immagini di uno spot pubblicitario, le scene salienti di un film. Riusciamo a riascoltare con un semplice click tutti i tormentoni degli anni andati che ci vengono suggeriti dagli algoritmi. Siamo dentro un “infinito pranzo di nozze dove ogni portata riattiva la sinapsi defunta di qualche ennesimo infinitesimale consumo delle nostre adolescenze o addirittura infanzie lontane (Canzoni! Gelati! Programmi tv! Giocattoli! Giornaletti!)”.
Possiamo attingere al bancone del mercato delle emozioni fino allo sfinimento, ma questa strabordante disponibilità di consumi mediatici finisce per ostacolare le nostre capacità di analisi: pretendiamo di impadronirci del passato, ma ne introiettiamo solo alcuni segmenti, talvolta microscopici, quasi sempre circondati da un alone di mito. Per uscire da questo circolo vizioso, ci sarebbe utile – ragionando per assurdo – un’apocalisse dei ricordi costruiti dall’industria culturale, che ci consenta di uscire da combinazioni narrative sclerotizzate (“il tempo migliore è andato, non tornerà più”) e di ripartire da zero. Liberandoci dal fardello dell’infinito revival, forse, avremmo vita più facile nel perseguire un semplice obiettivo: provare a comprendere davvero il mondo che ci siamo lasciati alle spalle.