Saggezza / Ancora sulla filosofia come Prozac

22 Dicembre 2019

Alcuni anni fa ebbe un certo successo un libro di pratica filosofica, Platone è meglio del Prozac, di Lou Marinoff. L'idea era che la saggezza degli antichi filosofi può aiutare nella soluzione dei problemi della vita moderna: una bella terapia a base di Platone, e via. Ci riprova Michel Onfray, questa volta, con il suo Saggezza. Saper vivere ai piedi di un vulcano (Ponte alle Grazie 2019, traduzione di Michele Zaffarano di Sagesse. Savoir vivre au pied d'un volcan, Paris, Flammarion, 2019). 

 

Un cinico dichiarato

 

Gli anni '80 e '90 del Novecento furono un momento di rilancio del cinismo, antico e moderno. Esso servì per lanciare nel panorama scientifico e nella sua eco mediatica due filosofi, che da allora non ne sono più usciti: uno è Peter Sloterdijk, con la sua Critica della ragion cinica, 2 voll. usciti in Germania nel 1983 e tradotti in Italia nel 1992, lo stesso anno in cui usciva la traduzione italiana del libro del secondo, Michel Onfray, Cinismo. Principi per un'etica ludica (mentre l'originale era del 1990 e si intitolava Cynismes. Portrait d'un philosophe en chien). Autori entrambi molto prolifici (in senso cartaceo), a loro volta cinici e provocatori; autori controversi, discutibili e discussi. Ci occuperemo qui soltanto del secondo, il francese, e in particolare del suo recente e voluminoso lavoro Saggezza. Autore fecondo e facondo Onfray, si diceva, e infatti nella terza di copertina si avvisa il lettore che il volume costituisce la conclusione della trilogia Breve enciclopedia del mondo, dove è preceduta da Cosmos (2015) e Decadenza (2017). Ma la notizia viene smentita da una noterella posta a p. 6, dove il lettore è informato del fatto che invece la breve (sic) enciclopedia si arricchirà prossimamente di tre nuove opere, Anima, Estetica e Nichilismo, e poi, chissà, ci lasceremo sorprendere. 

 

Limitiamoci alla saggezza, anzi a Saggezza, che già non è poco, partendo di necessità da Cinismo (preceduto a sua volta su un saggio dedicato all'alimentazione del filosofo, Il ventre dei filosofi, del 1989). È infatti in quello studio sul cinismo che Onfray, dicendo di ispirarsi al suo vecchio maestro dell'Università di Caen, Lucien Jerphagnon, studioso della filosofia romana e di Plotino, ripudia la filosofia accademica intesa come studio e ricerca preferendole la filosofia come stile di vita, quella che indica modi di vivere, maniera d'agire, tecniche di esistenza. Questo in sintonia con Pierre Hadot e i suoi adepti per i quali la filosofia antica coincide con gli esercizi spirituali che propone, e nei quali si prospetta al soggetto che vi si applica una sorta di «conversione» (parola cristiana, e infatti non a caso sia Jerphagnon sia Hadot erano preti, per quanto spretati) che porta, una volta superato lo stadio del prevalere dell'inquietudine, delle preoccupazioni e delle passioni, a una condizione di miglioramento del sé e di raggiungimento della vera vita, la vita filosofica, fino al conseguimento di uno stato di perfezione. 

 

La filosofia come Prozac

 

La filosofia come Prozac, o Valium, a piacere. Non è la mia posizione né quella di molte altre persone che si occupano di filosofia, le quali considerano la filosofia un esercizio mentale fondato sulla conoscenza del pensiero della tradizione filosofica e sul dialogo continuo con questo pensiero, nonché sullo sforzo di conoscere il mondo con alcuni strumenti ad essa peculiari, tra i quali la logica, l'analisi, il ragionamento argomentativo e il ragionamento analogico, e che al ruolo calmante della filosofia antepongono quello stimolante sotteso all'immagine socratica del tafàno che punge, infastidisce e sollecita. Onfray le oppone invece, in questo recente saggio, la saggezza pratica, la filosofia concreta, incarnata e praticata nello stile degli antichi romani che non si facevano turbare neanche da un'eruzione vulcanica.

 

Quale filosofia?

 

Saggio che si legge volentieri, intendiamoci, «come un romanzo», scritto com'è da un professionista: la lettura corre veloce, si compiace delle dotte citazioni sapientemente inserite e in un primo momento apprezza le virtù degli antichi romani portate ad esempio; e come si potrebbe non concordare sui valori elencati, onestà, franchezza, coraggio davanti alla morte? Poi però iniziano i dubbi, quando l'elenco delle virtù si arricchisce di virilità (una delle più apprezzate e ricorrenti), amor di patria, fedeltà a tutti i costi, ascolto della profonda saggezza popolare. E poi, e soprattutto, altro che Platone! Qui il Prozac non soltanto non lo contiene nei suoi ingredienti, ma lo rifiuta come un tossico.

 

 

La saggezza antica a cui ispirarsi infatti non contempla né Platone né Aristotele, e, paradossalmente, nemmeno Epicuro o simili, tutti «venditori di fumo». Triste, cupo e fumoso è a avviso di Onfray il pensiero greco, perso nell'astrazione e nei concetti e dunque privo di ogni valore: «Darei tutto il Simposio di Platone per queste dieci righe di Valerio Massimo» (quelle in cui si narra di Tiberio Gracco che preferisce la propria morte a quella dell'amata consorte). «Che dico – continua imperterrito – darei l'opera completa dell'autore del Parmenide per questa sola storia!». Siamo seri. Stiamo parlando del Simposio, non di noccioline. E poi, vien da obiettare, Onfray non conosce la greca, grecissima storia di Alcesti? Mah. L'unica cosa importante sembra il dedicarsi a spalmare fiele sui filosofi greci, ma anche, si noti, sugli autori romani la cui filosofia è stata espressa da loschi figuri quali Seneca, Cicerone e persino Lucrezio, cortigiani, adulatori dei potenti, avidi di denaro e ricchezze, falsi e ipocriti. 

 

Vivere come una donna romana?

 

A Caen, la cittadina in Normandia dove ha seguito gli studi superiori e universitari, Onfray ha fondato l'Università Popolare dove egli stesso ha insegnato, tenendo corsi di grande successo benché non superassero, mi dicono testimoni oculari, il livello della chiacchiera improvvisata. È quello che la gente vuole per sentirsi gratificata? Una via facile e veloce alla serenità, addirittura alla felicità, da conseguire in dieci lezioni? Veramente l'unico modo per conseguire la saggezza è quello di vivere da antico romano, fiero, con la schiena ben dritta di fronte alle avversità, eretto? E le donne, cui, non cesso di ripeterlo, capita di essere, come ho imparato da Adriana Cavarero, «inclinate»?

Nelle brevi cooordinate autobiografiche offerteci nel volume, Onfray fa capire di essere arrivato ai ferri corti anche con l'amato maestro (detto anche «il mio vecchio professore»), soprattutto a causa di quell'anima nera di sua moglie, che ne avrebbe rappresentato «il cattivo genio». Eh, le donne. E comunque le donne non avevano un ruolo proprio dignitoso in quella società romana che ci viene proposta quale modello di saggezza. Roma ama «le cose e la realtà, il mondo e la storia, la geografia e l'architettura, l'agricoltura e la politica... e persino il diritto» ma da tutte queste belle cose le donne le tiene accuratamente lontane. Domi mansi, lanam feci. Onfray parla delle donne come facevano i Romani stessi, ovvero unicamente in relazione all'uomo, talché non si perita di definire la grandezza di Cornelia nel fatto di essere stata figlia (di Scipione l'Africano), moglie (di Tiberio Sempronio Gracco), madre (dei Gracchi), nonché suocera (di Scipione l'Emiliano), senza accorgersi della nullità di tale condizione. Sembra persino approvare, nel caso di Lucrezia, il suo femmisuicidio (termine da me inventato per evidenziare non soltanto i casi di omicidio delle donne in quanto donne, ma anche quelli di suicidio per lo stesso motivo). Lucrezia, matrona romana di cui Livio narra che si uccise col pugnale dopo essere stata stuprata, salvando in questo modo l'onore suo di donna grazie al fatto di aver salvato quello dei suoi uomini. Lo stupro infatti contamina la purezza della stirpe e del suo nome, mette in dubbio la discendenza. Meglio femmisuicidarsi dunque. È questa la purissima saggezza dei romani che Onfray ripropone ai nostri giorni?

 

Saggezza: una parola controtempo

 

Ma allora andiamo a cercare la saggezza nelle parole controtempo di un altro autore che le dedica un libretto omonimo, Eugenio Borgna, con la sua Saggezza (Bologna, il Mulino, 2019), che non si fa beffe della filosofia greca, anzi, dal momento che mette il conoscersi al centro di un modo di vivere e pensare assennato, saggio. Bisogna fare della saggezza la condizione di chi ascolta la voce della propria interiorità, senza cancellare la conoscenza razionale ma facendola accompagnare dalla conoscenza emozionale. Avendo trascorso vent'anni come psichiatra in un manicomio femminile, Borgna afferma che i farmaci non bastano: servono le parole, le parole salvifiche delle persone curanti e accudenti, serve l'ascolto delle parole delle pazienti. Serve la saggezza della gentilezza, servono le persone gentili e sagge, come Remo Bodei, che era saggio e gentile, servono le persone miti e non le persone arroganti e piene di odio e di fiele. 

 

Spargere fiele a piene mani

 

Fiele che Onfray sparge a piene mani non soltanto sui filosofi greci (anche i cinici, e allora?) ma anche sui Romani indegni e poi sui pensatori contemporanei (esclusivamente francesi; del resto non vengono citati, nei pochissimi testi della bibliografia, che saggi francesi di autori francesi, come se loro fosse il regno della filosofia, trascurando di segnalare tutti i testi contenenti le idee che Onfray attinge e distribuisce a piene mani). Finiscono così in un gran pentolone di fiele e fango marxisti e freudiani, Foucault e Hadot (ma come?), Veyne, Barthes e Deleuze e il temibile Sartre, reo di aver apprezzato Kant e Husserl, Hegel e Heidegger, nonché tutto il ciarpame (parole sue) formato da esistenzialismo, lacanismo, strutturalismo e fenomenologia, come pure il decostruzionismo con tutte le sue devastazioni.

Non sono allora l'apologia del suicidio e della sterilità e dell'ateismo a screditare le asserzioni di Onfray, come credo egli preferirebbe. È proprio quell'elogio incondizionato del popolo romano, della saggezza popolare che è semplice e profonda perché viene da quel popolo che ha sempre ragione a renderlo sospetto. Popolo che verrebbe offeso e ingannato dalla «casta» dei filosofi aristocratici, fumosi venditori di fumo e biechi aristocratici che ingrassano a spese del popolo.

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