Speciale

Baciami, stupida! L’amore ai tempi dei tagli alla scuola pubblica

17 Novembre 2011

Bogotá, Colombia. 19 ottobre 2011. Barrio Belalcázar. Otto e mezza del mattino: mentre a pochi chilometri dal mio quartiere centinaia di studenti si preparano a dare il bacio più ardente dell’anno a chiunque capiti loro a tiro fuori dal campus dell’Università Nazionale, io scendo ignara a comprare il latte e una di quelle pagnottine di farina di mais impastata con formaggio che qui chiamano almojábanas. Mi dia anche due dolcetti al cocco, giusto per fare cifra tonda, altrimenti poi mi tocca riempire il portafoglio di monete. Non li mangio subito. Li porto con me per il primo caffè della mattinata, al quinto piano della biblioteca Luis Angel Arango, nel cuore della città.

 

 

È il giorno della Besatón por la educación: volendo rispettare la rima, tecnicamente, “il limone per l’istruzione”. E io non ne so nulla.

Torno all’appartamento, anche Sylvia e le sue gatte si sono alzate. William invece è già partito in taxi da almeno due ore. Per evitare d’imbattersi nei cortei dei manifestanti, mi spiega lei. Appena partono, verso le nove e mezza, bloccano tutto. Oramai è troppo tardi, impossibile muoversi con i mezzi: in centro si manifesta contro la riforma della ley 30, il progetto di legge che prevede l’ingresso degli investitori privati nelle università pubbliche e un’ulteriore liberalizzazione dell’offerta educativa con l’apertura di “istituzioni di istruzione superiore a scopo di lucro” (ogni riferimento o analogia con la riforma Gelmini non è puramente casuale).

 

Guarda Sylvia che io vado in centro, ho ancora pochi giorni e parecchi microfilm da consultare. Ti capisco ma non ti lascio andare: sei ospite a casa mia e ho delle responsabilità, a Cali un ragazzo ci ha lasciato la pelle qualche giorno fa. Dicono che gli sia esplosa in mano una molotov improvvisata al momento. Silenzio. Va bene, facciamo così; se proprio non ti fidi, accompagnami tu: prendiamo un taxi, scendiamo vicino alla Plaza de los Periodistas, tu vai alla tua lezione e io proseguo a piedi fino alla Luis Angel. Cosa ne dici? Listo, va bene. Ma se ci sono dei problemi nel corso della giornata, chiama le zie di William, abitano nella Candelaria, proprio vicino alla biblioteca, aspetta che ti do l’indirizzo. Listo, grazie Sylvia.

 

 

Arriviamo alle rispettive destinazioni senza intoppi: l’irreale calma piatta può trarre in inganno ancora per poco tempo.

Verso le undici e mezza, più tardi rispetto ai nostri calcoli, il corteo raggiunge l’Undicesima Strada. I ragazzi si fermano proprio davanti alla biblioteca, sono tantissimi, pare che si siano mobilitati anche gli studenti della Pontificia Università Javeriana, storicamente i meno vivaci, il che, a quanto pare, è tutto dire.

Tamburi, fischietti, bolle di sapone, cori, vernice colorata, megafoni, pentole, petardi, patate esplosive, striscioni, bandiere, volantini, musica, parrucche. Io c’ero ma non ho visto niente. Sono salita al primo piano dell’edificio, dove si trova l’emeroteca, e lì sono rimasta fino alle sei del pomeriggio. Mio padre me lo ripete in continuazione, ta stödiet trop, va fò a ciapà an pó de aria, studi troppo, esci a prendere una boccata d’aria. Ecco, appunto.

 

Contemporaneamente alla marcia organizzata dagli studenti delle università del centro, il limone epocale della trentesima manda in tilt il traffico. Pare che la plateale dimostrazione d’affetto verso una scuola di qualità e per tutti sia contagiosa: alcune coppie avvinghiate nell’abitacolo delle loro automobili manifestano il loro appoggio incondizionato alla protesta pacifica.

 

 

Per quanto mi riguarda, mi vedo costretta a raccontare con il cocente rimorso del sopravvissuto, colui che, quasi testimone dei fatti, si rimprovera di non avere fatto abbastanza. In effetti, ho un pessimo senso dell’orientamento e sono miope. In viaggio non porto mai un paio di occhiali di scorta. Dall’anno scorso ho un’intolleranza alle lenti a contatto. Sono fifona e i poliziotti non mi piacciono, tantomeno se travestiti da robocop.

Tutto sommato però, gli occhiali, stavolta, li avrei persi volentieri nella mischia: del resto, anche da questa parte dell’oceano si sa che l’amore è cieco. 

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