Speciale

Il viaggio dà forma alla mente / Camminare il tempo

11 Dicembre 2016

 

 

"Il viaggio non solamente allarga la mente: le dà forma."

Non c'è aforisma più netto di quello di Bruce Chatwin nel descrivere i mutamenti – biologici, quasi "cellulari" – che hanno origine nella persona durante un viaggio, particolarmente se il viaggio è condotto a piedi come certamente lo intendeva Chatwin.

Una sensazione, che, quando provata, sembra avere la capacità di riconnetterci a una parte della nostra natura fino a quel momento dimenticata.

Ma quali nomi dare a questa sensazione, quale tentativo di spiegazione, anche solo di contaminazione...?

 

Dobbiamo ad Albert Einstein il concetto di spazio-tempo, che si è andato ad affiancare a quelli "da sempre" comunemente vissuti di spazio e di tempo. Un concetto "culturalmente alto", sfuggente e soprattutto ostico per chiunque lo avvicini una prima volta. Sfuggente, ostico ed anti-intuitivo sebbene appartenga con evidenza alle leggi del mondo fisico.

 

 

 

Eppure, lontano dalla dimensione solo razionale e dagli abissi logici della relatività lo spazio-tempo può essere forse anche la "forma" da dare a un'esperienza umana concreta, sebbene sia stata trasfigurata dentro nomi e sentimenti diversi, nelle arti, nella letteratura, nella religione...

Una sensazione che diventa esperienza e sentimento comune con il cammino. Non si cammina mai solo un luogo, ma si cammina attraverso il respiro delle stagioni, il mutare dell'ambiente e dei nostri stessi cambiamenti, attraverso la propria memoria, attraverso i segni e la memoria delle altre generazioni. Solo il cammino sembra in grado di unire in un'unica esperienza fisica lo spazio e il tempo. Nessun altro tipo di movimento può restituire questa sensazione, anzi, maggiore è la velocità, più la percezione se ne allontana.

 

 

Non lo fa l'auto o il treno, tanto meno l'aereo, e forse una sintesi minima della modernità potrebbe essere quella dell'epoca che annulla gli spazi, che li scinde dal tempo. Contemporaneità non è stata e non è ancora la parola d'ordine della modernità? Tutto avviene in tempo reale e la conseguenza è che ogni luogo si assomiglia, e non solo per le contaminazioni della globalizzazione.

La scissione dello spazio dal tempo è del resto "invenzione" che dobbiamo all'agricoltura, ed è conseguenza inavvertita della rivoluzione neolitica, circa diecimila anni fa. Nel coltivare e conservare cereali non ci assicuravamo solo un nuovo più vantaggioso modo di sopravvivenza; ci donavamo anche un'idea di un tempo senza lavoro e senza movimento mentre la sedentarietà, dovuta alla scelta dei campi e dei silos, scindeva il luogo dove vivere dal viaggio e dal movimento. Il luogo era diventato l'elemento vitale, sostituendo il movimento a cui avevamo affidato fino ad allora il nostro destino di cacciatori-raccoglitori. "La vita è adesso e altrove" aveva scandito sino ad allora il nostro tempo, il nostro cammino, e improvvisamente diventava "la vita è qui, adesso e per sempre". Così, scegliendo la civiltà, inconsapevolmente rifiutavamo anche parte della nostra profonda natura. Era avvenuta la separazione tra le civiltà degli agricoltori e le società degli pastori: Caino era diventato avversario di Abele che restava il prediletto del Signore.

 

Solo contaminazioni dicevamo...eppure camminare può essere ancora l'azione più naturale che possiamo fare per riavvicinarci alle nostre origini e alla nostra antica natura. Il cammino per il benessere, il cammino come metafora della vita, il cammino come una sorta di preghiera che ci riavvicina al divino, ... in mezzo da qualche parte, c'è anche qualcosa che aspetta un nome e che forse altro non è che l'esperienza e il sentimento dello spazio-tempo?

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