Cassio Parmense

27 Giugno 2015

Cassio Parmense, chi era costui? La domanda è più che legittima, dato che, tra gli autori della letteratura romana antica, il nome appena fatto non è certo dei più noti. Anzi, egli è per l'appunto un carneade, un perfetto sconosciuto.

 

Eppure, eppure, qualcuno, frugando tra i suoi ricordi liceali, forse vedrà pian piano riemergere questa figura dai contorni evanescenti. È infatti citata da Orazio, nella lettera quarta del primo libro, quella a Tibullo, una delle più belle e delle più celebri. Orazio scrive a Tibullo: che fai, Tibullo? Dove ti sei mai nascosto? In campagna, a scrivere? Vuoi creare un’opera che superi quelle di Cassio Parmense (scribere quod Cassi Parmensi opuscola vincat)?

 

Naturalmente gli eruditi, antichi e moderni, si sono scervellati sull’esatto significato da attribuire a questo termine: opuscula. Che saranno state, di preciso, queste “operette” o “opericciuole” o “operine”? Elegie, come quelle che scriveva Tibullo? O epigrammi? O tragedie? O, comunque, opere teatrali? È un tipico quesito da eruditi. Lasciamoglielo tutto, che ci si balocchino ancora per anni o per secoli, e passiamo oltre.

 

Nella vita di Augusto, capitolo quarto, Svetonio ricorda che Cassio Parmense aveva rinfacciato al futuro imperatore natali oscuri: Augusto era nipote di un mugnaio e di un cambiavalute (pistoris… et nummulari nepotem). La letterina di Cassio (Parmense) ha addirittura l’onore di una citazione diretta, da parte di Svetonio. Augusto non reagì subito all’infamante accusa. Aspettò. Molti anni. Ma poi, dopo la vittoria ad Azio, si vendicò. Vendicò il proprio onore offeso e vendicò anche Cesare, dato che Cassio Parmense aveva partecipato alla congiura delle Idi di marzo del quarantaquattro, assieme al molto più celebre Cassio Longino, che, naturalmente, gli “tolse visibilità” (Bruto e Cassio). L’imperatore mandò un sicario ad Atene, dove Cassio (Parmense) si trovava, dato che una legge proibiva ai cesaricidi di vivere a Roma e comunque entro i confini dello Stato, e lo fece eliminare, secondo quanto ci racconta Velleio Patercolo. Tutti gli assassini di Cesare furono a loro volta assassinati. Cassio Parmense fu l’ultimo. Eccola qua la famosa clemenza di Augusto! Questa capacità di saper aspettare anni e anni, prima di colpire l’avversario, anche lontano, anche molto lontano, ricorda in qualche modo Stalin. E se Augusto era Stalin, Cassio Parmense rappresentava in un certo senso il suo Trotsky.

 

Di Cassio Parmense sopravvive un solo verso. Un unico verso, un senario, gli è assegnato, superstite di tutta la sua opera, che forse fu imponente. È menzionato da Varrone nel De lingua latina, per via di una particolarità grammaticale. Riportiamolo: Nocte intempesta nostram devenit domum. “Nel cuore della notte venne a casa nostra”. Sarebbero parole di Lucrezia, riferite al suo violentatore, Sesto Tarquinio. Varrone le cita, molto colpito dall’assenza della preposizione di moto a luogo. Noi, magari, riusciamo anche a farcene una ragione. Si sa che cos’è, in sociologia, l’effetto Matteo, o San Matteo (o, in inglese, Matthew effect). È l’irresistibile tendenza che hanno le risorse a distribuirsi in modo iniquo. Nei campi più vari. Chi sa già, saprà ancora di più. Chi non sa, sprofonderà in un’ignoranza ancor più nera e abissale. I ricchi diventeranno ancora più ricchi. I poveri più poveri. (The rich get richer and the poor get poorer.) Il nome di tale perverso fenomeno deriva dal vangelo di Matteo, 25, 29: a chiunque ha, sarà dato e vivrà nell’abbondanza; a chi non ha sarà tolto anche quello che ha [o quello che non ha, aggiungiamo noi, a rischio di blasfemia.]

 

Gli esiti di questa palese ingiustizia hanno intaccato anche il povero Cassio. Ci sono stati studiosi che si sono ostinati a volergli togliere anche il suo unico verso, il suo solo senario. Costoro, nel manoscritto varroniano, non hanno letto Cassii, ma Accii, attribuendo dunque ad Accio, tragico arcaico, il frammento solitamente intestato a Cassio. Ma, fortunatamente, negli ultimi tempi si tende a ridarglielo, a dare a Cassio (Parmense), quel ch’è di Cassio. Nel 2003, anzi, uno studioso trentino, ma che aveva cattedra, non a caso, a Parma, ha dedicato al nostro poeta, autore di un solo verso (pure conteso) una bella monografia, di ben trecento e trentotto pagine (Bruno Zucchelli, Il poeta Cassio Parmense e Parma romana, Battei). E questo è un fatto assai significativo, ci pare.

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