Cinque mani mozzate

9 Luglio 2022

Ve li ricordate ancora i Gilets jaunes francesi, quel movimento senza colore politico ma fermissimo nel denunciare il piano neoliberista macroniano, che per più di un anno, dalla fine del 2018, riuscì a galvanizzare le piazze di Francia?

L’enciclopedia Treccani li descrive così: 

(Gilets jaunes) Movimento di protesta popolare nato in Francia nell’ottobre 2018 su impulso dei social media, attraverso i quali – a seguito di alcuni provvedimenti volti a incentivare la transizione ambientale, quali il rincaro delle accise sui carburanti, l’abbassamento dei limiti di velocità, l’aumento dei pedaggi autostradali e il potenziamento dei radar per rilevare infrazioni – è venuta organizzandosi un’insurrezione civica che dal novembre successivo ha dato vita a Parigi e in vari altri luoghi del Paese a una serie di blocchi stradali e di manifestazioni di piazza, in taluni casi degenerati in violenti scontri e in atti vandalici perpetrati dalle ali più radicali.

Nato come sollevazione spontanea di automobilisti (ai quali allude il nome, che fa riferimento ai giubbotti catarifrangenti obbligatori per legge su ogni automobile, simbolicamente indossati dai manifestanti durante i cortei) appartenenti al ceto medio e generalmente residenti in aree non metropolitane o rurali del Paese, e dunque costretti a spostamenti in auto per raggiungere il luogo di lavoro, il movimento ha immediatamente aggregato attori sociali eterogenei, quali pensionati, lavoratori dipendenti e piccoli imprenditori, delusi dalle politiche sociali dell’esecutivo e dalle mancate promesse di E. Macron, la cui presidenza è percepita dall’opinione pubblica come tecnocratica e distante dalle esigenze delle fasce sociali medio-basse, estendendo le sue rivendicazioni a una numerosa e variegata serie di questioni, tra cui l’erogazione di maggiori servizi sociali e di sostegno al reddito, la promozione di imprese nelle aree non urbane, la revisione del sistema pensionistico, l’aumento del potere d’acquisto e la cessazione delle politiche di austerità…

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Ph Maria Nadotti.

Sophie Divry, scrittrice francese autrice di Cinque mani mozzate (trad. it. Giorgia Tolfo, prefazione Raffaele Alberto Ventura, Luca Sossella editore, 2022), ha scelto di raccontarli in tutt’altro modo, “per dovere civico”, con l’intento preciso di restituire loro la dignità sottrattagli da organi d’informazione servili, prudenti, forse semplicemente disabituati a lavorare sul campo e ad ascoltare le voci degli uomini e delle donne reali.

Ciò che la induce a scrivere mettendosi dalla parte dei manifestanti è la negazione da parte delle autorità e dello stesso Emmanuel Macron della violenza esercitata nei loro confronti. Consapevole che si tratta di un movimento autoorganizzato, forse politicamente ingenuo e dunque strumentalizzabile, Divry adotta una postura da giornalista vecchio stampo. Non si accontenta della cronaca e non intende aggiungere le proprie parole alle tante che si sono sprecate nei dibattiti televisivi. Vuole ascoltare dai diretti interessati che cosa li ha spinti a scendere nelle strade e a restarci a lungo, con tenacia e una sorta di innocenza.

Il suo non è tuttavia un reportage generico: vuole capire come si trasformi la vita di un manifestante che, raccogliendo un oggetto lanciato dalla polizia per allontanarlo da sé e dai propri compagni, se lo vede esplodere in mano e negli occhi. Le mani mozzate del titolo sono la conseguenza di questo gesto spontaneo, ignaro, innocente. Il gilet jaune tipo non è uno che ha alle spalle una militanza politica fatta di manifestazioni e assemblee. Non sa distinguere un lacrimogeno da una granata GLI-F4, un’arma da guerra, di quelle che ufficialmente non dovrebbero essere usate contro i cittadini di una democrazia occidentale che esercitano il proprio diritto al dissenso e alla protesta. 

Ph Maria Nadotti.
Ph Maria Nadotti.

 “Nei dibattiti del 2018”, spiega Divry, “nonostante l’immensa repressione, il termine ‘violenza della polizia’ non si poteva pronunciare senza essere accusati di odio anti-poliziotto. Volevo solo raccogliere le parole di chi stava per essere dimenticato. Raccontare ciò che succede dopo le breaking news: la mutilazione, ma anche la convalescenza, l’ingiustizia. La mia idea era di dare voce ai gilets jaunes mutilati, come un’istantanea, uno zoom, un fermoimmagine storico. Sono molto orgogliosa di questo libro e felice se può creare empatia nei confronti di coloro che sono stati troppo descritti come un’orda di persone violente”. 

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Ciò che rende unico ed esemplare questo piccolo libro mozzafiato è la scelta narrativa operata dall’autrice.

Individuati con un paziente lavoro di ricerca i cinque giovani uomini che nel corso delle manifestazioni hanno perso una mano, Divry si guadagna la loro fiducia standogli accanto: ospedale, casa, niente più lavoro, niente più progetti di vita, difficoltà economiche e familiari, stigma sociale. Quell’incubo si traduce in parole e il racconto a più voci diventa un’unica tessitura, un formidabile, mite j’accuse nei confronti di una democrazia resa brutale dalla sua ormai conclamata disfunzionalità. Il motto ‘Liberté-Egalité-Fraternité’ si è capovolto regredendo a ‘Union et Force’: il patto sociale sta in piedi sull’obbedienza dei cittadini e sull’autorità delle istituzioni. La comunicazione/partecipazione democratica si è interrotta.

È il corpo della democrazia, nel libro di Divry, a essere andato in pezzi. Ed è il lavoro di montaggio delle parole altrui (“di questo libro”, dice l’autrice, “non ho scritto una sola parola”) a darne conto in forma pressoché fisica, auditiva. L’autrice registra e trascrive i singoli racconti dei suoi testimoni, poi li accosta, li assembla, li unisce senza mai cancellarne la specificità. Il suo è un collage di voci dove compaiono veri e propri assolo e parti ‘comuni’ in cui i suoi interlocutori si esprimono in prima persona, eppure sono un inequivocabile ‘noi’, contrapposto a uno Stato impazzito d’impotenza.

Nella splendida nota finale della traduttrice il racconto corale di Divry viene giustamente definito “un’opera di chirurgia letteraria”. Cinque mani mozzate ripropone infatti sulla pagina quello sfaldamento che è ormai del corpo statuale delle stremate democrazie occidentali. Una mise en abîme accorata e implacabile delle aporie che di lì a poco si sarebbero manifestate nell’autoritaria e incoerente gestione della cosiddetta emergenza pandemica e che oggi si ripropone nella conduzione europea della ‘guerra’, nell’annuncio delle conseguenti carestie a venire e nell’amnesia della catastrofe ambientale già vistosamente presente.

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TAGGED: democrazia