Con la testa “nelle nuvole”

6 Luglio 2024

Naviganti senza rotta nel collasso dei contesti

Come fare a separare la paglia dal grano sui social? Ma non era il grano dal loglio? Forse sta proprio in questa sfumatura tra parabole e modi di dire uno dei sensi più acuti del contributo indispensabile contenuto nel libro di Luca Chittaro e Giuliano Castigliego, Le illusioni dei social media. Maschere e specchi della nostra personalità, Mimesis, Milano 2024. Non possono esservi dubbi sull’utilità della paglia, mentre è nota la perniciosità del loglio. Allora assume valore la domanda che Giuliano Castigliego si pone a pagina 47 di questo libro costruito col gioco del contrappunto, un capitolo scritto da un autore e uno dall’altro che si alternano lungo un percorso che finalmente pone al centro quella che è la questione principale: non la macchina, in questo caso i social media, ma i modi in cui il sistema corpo-cervello-mente che siamo si rapporta alla rivoluzione tecnologica in corso. Un dialogo transdisciplinare felice tra due ricercatori che convergono sullo stesso oggetto: Chittaro dal vertice degli studi sull’interazione persona-macchina e Castigliego dal vertice dei nostri mondi relazionali e interiori come psichiatra e psicoanalista. Scopriamo così che, con i social, regrediamo fino a divenire indossatori di maschere, ritenendo di poterci celare dietro esse come fa un bambino piccolo che, nascondendo la testa, pensa di rendere invisibile l’intero corpo; o affoghiamo perdendoci negli specchi degli schermi che lungi dal limitarsi a fornirci la nostra immagine ci sommergono di serie infinite di sostituti identitari fino a non riuscire a distinguere tra le immagini reali e quelle virtuali. Sì, perché quello del confine è uno dei principali problemi. Il rischio della perdita della cornice è uno dei temi a cui rivolgere la massima attenzione. Gli autori lo fanno con equilibrio e rigore, appunto non considerando loglio i social media e tutto quanto attiene alla rivoluzione tecnologica nella quale siamo ineluttabilmente immersi. Non vi sono catastrofismi in questa analisi, ma un approfondito esame di realtà. Proprio quell’esame di realtà che è messo in crisi dai social media. Possiamo finire con la testa nelle nuvole. Forse per questo si chiama cloud una delle componenti essenziali di questa rivoluzione. Se per esame di realtà si intende la funzione dell’io che consente di distinguere gli stimoli provenienti dal mondo esterno da quelli interni, verificando le informazioni che riceviamo, questo è uno dei rischi più importanti connessi all’uso dei social media, perché comporta il prezzo della perdita del contatto con la realtà. “Sui social inoltre non solo contesti diversi ed eterogenei si mescolano tra di loro, determinando quello che è stato indicato come collasso dei contesti, ma soprattutto i protagonisti della scena siamo, consapevolmente o inconsapevolmente, noi” [p. 43], quando giungiamo a fare un disinvolto uso alternativamente di proiezione e introiezione, con l’illusione di essere gli esclusivi conduttori del gioco.

L’illusione, però, non è solo inganno

Il costrutto di illusione che appare sin dal titolo del libro di Chittaro e Castigliego merita un approfondimento, proprio per aprire alla complessità del fenomeno social e cercare di comprendere come siano cambiati il nostro mondo e le nostre vite. L’accezione che gli autori propongono dell’illusione, al fine di evidenziare quanto sia impegnativa la necessità di aumentare le nostre capacità di governare i social e non subirli, la identifica sostanzialmente con l’inganno o, ancor più, con quella fenomenologia di cui noi umani siamo specialisti che è la self-deception, o autoinganno. La capacità analitica e documentale degli autori, che fa di questo libro uno dei più capaci di fare il punto sulla nostra condizione digitale, non scade mai in derive ansiose o ansiogene. Proprio per questo può essere utile, – con un certo necessario distacco, a partire dall’evidenza che anche nell’era digitale, pur in un contesto inedito e collassato, dove i confini sono sempre più labili, dalla pelle e dal corpo fino alla rarefazione del territorio e dei luoghi, – riconoscere che noi esseri umani siamo quelli che nell’illusione e dell’illusione vivono da sempre. Cambiano le condizioni e i contesti, appunto, le relazioni e le culture, ma gli esseri che siamo, trovano nella distinzione a non coincidere con sé stessi, a creare mondi paralleli, a giocare dentro la realtà, in una parola a praticare il “come se…” e, quindi, a illudersi, una delle caratteristiche fondamentali. Perché è così importante, nel dialogo con i contenuti di questo libro, sottolineare questo aspetto?  Proprio per ampliare e approfondire l’approccio non riduzionista e non catastrofista degli autori. Detta in termini semplicistici, forse è proprio nell’illusione che, tra l’altro, si situano i principali rischi e le principali possibilità dei social e dell’era digitale. Possiamo cadere nell’inganno definitivo e, tra manipolazione e induzioni al conformismo, tra propensione alla conferma ed euristiche accecanti, diventare marionette acritiche e beote. Oppure possiamo estendere, grazie al digitale e ai social, le nostre potenzialità relazionali, cognitive, emozionali, estetiche, fino a riconoscere parti e possibilità di noi che diversamente sarebbero state inaccessibili. E questo facendo i conti con l’elaborazione della nostra disposizione a giocare con il mondo, con la realtà, con gli altri. In fondo, se sarà un gioco dalle possibilità regolate dall’esterno per ognuna/o, o si tradurrà in un’esplosione delle nostre potenzialità per creare un mondo più vivibile e migliore di quello che prima del digitale abbiamo creato e che è in ogni ambito un mondo fallito, dipende anche da noi. In quell’“anche” sta il margine del possibile e il suo concepimento, la sua creazione e la sua affermazione, che sono strettamente connessi alla nostra capacità di fare come se fosse possibile. 

La riscoperta dell’ordinario…

È necessario fare i conti con il contesto e il contesto vincola, ci ha ammonito da tempo Gregory Bateson. Il digitale e i social media non si affermano in un vuoto pneumatico, ma sono allo stesso tempo fattori determinanti e parte integrante dell’economia del nuovo capitalismo digitale, come mostra con evidenza Paolo Landi in La dittatura degli algoritmi. Dalla lotta di classe alla class action, Krill Books 2024. 

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Il capitalismo dei consumi, quello che ci ha trasformati da cittadini in consumatori, lascia il posto a un’economia di reattività dove i criteri di competitività abbandonano le caratteristiche analogiche, per dispiegarsi ricorrendo a termini astratti come qualità, innovazione, brandizzazione, immaterialità. L’economia del nuovo capitalismo digitale è un “niente” che diventa un “tutto”: si basa su valori immaginari; ciò che la caratterizza è un meccanismo di volatilizzazione delle realtà materiali. Non per questo, però, la dematerializzazione è neutrale. Lo sfruttamento dei poteri dominanti verso le masse, secondo Landi, può essere interpretato con lo strumento di analisi della lotta di classe. Potremmo chiederci cosa c’entrano gli algoritmi con la lotta di classe. Come mostra l’autore, di algoritmi si parlava già nel nono secolo, visto che il termine è la trascrizione latina del nome del matematico persiano Al-Khwarizmi; oggi la parola è circondata da un’aura di modernità, rilanciata dai calcoli informatici che governano le nostre vite digitali. Landi si propone, e ci riesce, di spiegare la comunicazione dei fenomeni sociali attuali in modo semplice, come eterna competizione tra il dominio e la sottomissione; tra la sudditanza e il potere esercitato come dominazione. 

Nei social network le divisioni, gli antagonismi, le ostilità persistono e resistono: subiscono soltanto aggiornamenti psico-sociologici, assumono altre forme. Coloro che governano gli algoritmi, impegnati a riunire in unità statistiche e sottoinsiemi il popolo del web, sono i moderni padroni delle masse, le orientano, le manovrano; e le masse – che sono dipendenti dai social fino a utilizzarli sul novantuno per cento della crosta terrestre – continuano a essere sfruttate dal capitalismo digitale ma in modo nuovo, senza che se ne accorgano.
Secondo Paolo Landi, questa invisibile dittatura tecnologica, la trasformazione del lavoro e la conseguente ridefinizione dei gruppi sociali, nell’illusoria mobilità che la democrazia fittizia di Internet incoraggia, mentre cambiano modelli e aspirazioni, ci porta verso un futuro dove l’homo novus sarà un “gemello digitale” ridisegnato dalla tecnologia.

Mentre la ricchezza sembra sempre di più un’invenzione alla quale preferiamo credere, amplificando sui social le foto del nostro modesto benessere snobisticamente mascherato, i poveri esistono davvero. Ma abbiamo imparato a superare il panico moralista che ci attanagliava in epoca analogica, quando le cose ancora si potevano toccare con mano, e ci riportava la realtà. Oggi, nell’immaterialità che ci pervade, nella felicità che dilaga sui social, nella ricchezza che sembra finalmente conquistata perché abbiamo imparato a dare valore a un drink sorseggiato davanti al sole che cala e postarlo ci fa sembrare degli happy few, sarà complicato riappropriarci delle nostre autentiche catastrofi e della nostra vera povertà. Ecco: dolorosa, dura e rigorosa, l’analisi di Paolo Landi raggiunge la dimensione intima della nostra condizione e del nostro scontento e ne sollecita la reazione.

Quello che la realtà, intesa come la semiosfera in cui siamo immersi, sta facendo in questo tempo di profonda trasformazione è chiederci di rimodulare la nostra vibrazione personale sulla frequenza media su cui viene trasmesso il gran programma del mondo. Un programma del tutto cambiato che ci chiede un impegno inedito di worlding e che esige nuove forme di mind wandering. Dobbiamo “mondeggiare” in modo inedito e i nostri vagabondaggi mentali necessitano intensità mai viste. Così Landi, mondeggiando, si conduce e ci conduce, con quella che si può leggere anche come una profonda meditazione, a cercare e trovare il possibile nel vincolo. Riporta per associazione a uno dei vertici della poesia di Andrea Zanzotto, Al mondo:

Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso.

Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire

il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po’ più in là, da lato, da lato.

Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.
Su, Münchhausen.

Mindfullness, mentalizzazione e consapevolezza

Proprio in questa capacità di worlding o di mind wandering emerge il margine generativo dell’umano, quella capacità che Castigliego nel libro con Chittaro riconduce alla mentalizzazione [pp. 331 e segg.], vedendo in essa una strada per abitare il mondo digitale, la nuova realtà, in modo sufficientemente buono. Quella oscillazione tra equivalenza psichica e far finta, il come se, si integra progressivamente nell’esperienza dello sviluppo di ogni essere umano, a partire dai 4-5 anni, intorno a un processo di mentalizzazione, tale per cui gli stati mentali non vengono percepiti né come rappresentazione equivalente alla realtà né come scollegati dalla realtà, così che possa essere possibile distinguere l’apparenza dalla realtà, e attribuire stati mentali diversi sulla base del punto di vista di ogni individuo. In tal modo la realtà interna e la realtà esterna possono essere considerate legate, ma distinte, non equivalenti, ma anche non scisse. Castigliego affida alla capacità di mentalizzazione tutta l’importanza che può avere per comprendere i propri stati mentali e quelli altrui, e sulla base di tale comprensione, di interpretare in modo sufficientemente corretto il nostro comportamento e quello altrui. Si tratta di un processo particolarmnte importante, anche se costantemente minacciato e assalito dalle modalità pre-riflessive. Se la mentalizzazione è quel processo mediante il quale ognuna/o interpreta implicitamente ed esplicitamente le azioni proprie e quelle altrui come aventi un significato sulla base degli stati mentali intenzionali come i desideri, i bisogni, i sentimenti, le credenze e le motivazioni personali, essa si propone come la punta matura e riflessiva di comunicazione e relazione interpersonale, come la cima visibile dell’iceberg. Mentre le modalità pre-riflessive in larga parte inconsce rappresentano la parte sommersa non visibile e di gran lunga più voluminosa dell’iceberg. Il proposito che Castigliego esprime, riguardo alla nostra vita nel mondo digitale e del nostro rapporto con i social, è relativo proprio alle potenzialità della mentalizzazione per realizzare sia offline che sui social un dialogo costruttivo, volto a svelare i disturbi che sono alla base di comunicazioni polarizzate e distruttive, nonché la possibilità di ritrovare ogni volta la strada della riflessione. Del resto le potenzialità della mentalizzazione nella tenuta e nello sviluppo delle capacità di integrazione e di riflessione risultano particolarmente connesse al rapporto che la mentalizzazione ha con l’attaccamento e con l’empatia. Gli studi sulle relazioni tra mindfulness e uso di strumenti digitali, oltre a registrare una costante crescita, suggeriscono che la consapevolezza possa sia essere messa in crisi dall’uso dei social, sia essere una risorsa per prevenire o mitigare le problematiche a essi associate. L’impegno di Chittaro e Castigliego, che attraversa tutto il libro, a cercare e proporre casi e suggerimenti per aumentare le capacità di governo nell’utilizzo dei social e del digitale e per non subirne solo gli effetti negativi, giunge fino a definire alcune condizioni per lo sviluppo di un atteggiamento consapevole nell’uso dei social [pp. 317 e segg.]. Scorrendo le indicazioni ancora una volta emergono due dei contributi più significativi derivanti da questo importante libro. Il primo riguarda la constatazione che il mondo digitale è prima di tutto una cartina di tornasole dei vincoli e delle possibilità del nostro corpo-cervello-mente. Ci aiuta, se volgiamo lo sguardo nella direzione giusta, a comprendere meglio noi stessi e le risorse che possiamo attivare per diventare quello che siamo. Il secondo contributo sta proprio nel rapporto che stabiliamo con le nostre distinzioni affettive, emozionali e simboliche e riguarda i modi in cui riusciamo a “giocare dentro” la semiosi digitale, ad abitare cioè l’illusione del digitale e dei social media. La mappa che Chittaro e Castigliego compongono è una delle più articolate ad oggi disponibili, mettendo, come fanno gli autori, in efficace tensione le aree analitiche dell’human-computer interaction e della psicoanalisi. Passati nelle trafile narrative, con documentazione e rigore scientifici, sono: il contesto della comunicazione e interazione digitale, i processi proiettivi e introiettivi, i modi in cui l’utente viene orientato verso emozioni negative o positive in base alle modalità d’uso dei social, le dinamiche della fuga da sé che certi usi dei social comportano, la solitudine digitale, il ruolo dei social come luogo di appagamento di desideri insoddisfatti, i modi di costruire la rappresentazione di sé nei social e gli effetti di tali maschere digitali, la percezione del proprio corpo e dell’altro, i collegamenti tra tratti di personalità, stili di attaccamento e uso dei social, le possibilità di sviluppo delle capacità e della consapevolezza al fine di giungere a governare e padroneggiare il digitale e i social nella nuova semiosfera in cui siamo immersi. 

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