Borderline 

26 Ottobre 2024

Addentrarsi nei chiaroscuri, nelle zone più buie, ad ospitalità precaria, e allo stesso tempo vertiginose dell’esperienza umana, laddove si è dentro e fuori allo stesso tempo, è quello che sperimentano coloro che vivono condizioni borderline, ma anche coloro che, come Nicolò Terminio e Pietro Barbetta, per due vie distinte e alquanto differenti, provano a comprendere e a trattare quei fenomeni. Il livello di coinvolgimento nella materia è un fattore che accomuna i due autori, che studiano e praticano la cura della psiche prestando attenzione ai moti dell’anima. Mentre si lasciano coinvolgere, infatti, come appare anche dagli stili narrativi, nei fenomeni e nelle persone di cui si occupano, fanno venire in mente lo stupore di Walter Benjamin al cospetto di Asja Lācis, la regista teatrale e militante lettone: “Perché se lei m’avesse sfiorato con la miccia del suo sguardo, io sarei volato in aria come un deposito di munizioni” [Strada a senso unico, 1928]. L’incerto rapporto con la vita emozionale che caratterizza l’esperienza borderline e le trasformazioni contemporanee della vita psichica, tengono gli autori per così dire incollati alla loro materia con una tensione quasi esplosiva per cercare di coglierne degli aspetti analizzatori che siano capaci di fungere da base operativa per intervenire con la clinica e cercare di farvi fronte, nei tentativi di aiutare chi ne è coinvolto.

I cosiddetti stati al limite si mostrano per loro stessa natura in buona misura inafferrabili. Non pochi studiosi e terapeuti hanno scelto la negazione dell’esistenza di quegli stati, come nel caso di Jacques Lacan. Laddove i parametri e le categorizzazioni esistenti per cercare di comprendere i fenomeni si mostrano incapaci di contenerli, un qualsiasi paradigma analitico ed esplicativo entra in difficoltà. Nel caso dei disturbi borderline è la prospettiva dualistica di nevrosi e psicosi che mostra i suoi limiti. Da un lato i disagi, le difficoltà, le sofferenze psichiche devono rientrare nella rimozione nevrotica. Dall’altro devono essere riconducibili alla forclusione psicotica e alla denegazione o rinnegamento perverso. Con Otto Kernberg, in particolare, si apre una inedita prospettiva di analisi e intervento nella psicopatologia contemporanea anche ad orientamento psicoanalitico. Viene un tempo in cui le certezze consolidate non bastano, proprio come accade nella tensione incandescente tra legge e giustizia nel caso di Antigone.

Abitando e praticando quella tensione, senza la pretesa di risolverla, Pietro Barbetta da un lato, con Una tomba per Antigone. Clinica del delirio borderline, Orthotes, Napoli 2024; e Nicolò Terminio dall’altro, con Lo sciame borderline. Trauma, disforia e dissociazione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2024, provano a tracciare piste inedite che non solo sono documentate e rilevanti, ma aprono anche a possibilità di fare i conti con le originarie emergenze del disagio e della sofferenza psichica che la contemporaneità ci consegna.  

Da un punto di vista epistemologico, gli sviluppi emergenti dalle ricerche dei nostri due autori sulla clinica dei disturbi borderline assumono una particolare rilevanza per la psicologia clinica e la psicoterapia. Avvalendoci di una considerazione particolarmente importante di Michel Foucault, ci troviamo di fronte al rapporto tra il portato di pratica della liberazione della psicoanalisi e della psicoterapia e le pratiche di libertà che possono effettivamente scaturire dalle applicazioni delle scienze della psiche. Foucault, infatti, dice: “Ma sappiamo benissimo che (…) la pratica di liberazione non basta a definire le pratiche di libertà che saranno successivamente necessarie affinché quel popolo, quella società e quegli individui possano definire per sé stessi le forme ammissibili e accettabili della loro esistenza o della società politica. (…) Mi sembra che il problema etico della definizione delle pratiche di libertà sia molto più importante dell’affermazione, un po’ ripetitiva, che bisogna liberare la sessualità o il desiderio.” [L’etica della cura di sé come pratica della libertà (intervista di H. Becker, R, Forest-Bétancourt e A. Gomez-Müller, 20 gennaio 1984), in Archivio Foucault 3. 1978-1985. Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura di A. Pandolfi, Feltrinelli, Milano 1998; pp. 274-275].

Ricavando inferenze e indicazioni dalla pratica clinica, Nicolò Terminio giunge a proporre una prospettiva originale sul disturbo borderline. Ad essere descritto dall’autore è un cammino che lo ha portato a pensare la clinica borderline secondo la logica dello sciame. Lo sciame borderline è costituito da una serie di memorie traumatiche che non ha trovato una trama, da un funzionamento dissociativo che risulta sganciato dalla dimensione simbolica che avrebbe potuto ricomporlo in riconoscimento e possibile base di emancipazione. Nella concettualizzazione dello sciame borderline la teoria del soggetto di Lacan e la clinica del vuoto di Recalcati vengono messe in dialogo con altre prospettive psicoanalitiche, con la psicopatologia fenomenologica e con la tradizione psicodinamica che prende origine da Janet.

Il quadro d’insieme orienta il lettore nell’applicazione terapeutica dei principi che guidano la cura, una cura finalizzata a restituire all’instabilità traumatica del borderline la possibilità di una nuova trama per esistere e gioire della vita. Del resto, se la psicoanalisi, con Freud e Lacan, propone una riflessione clinica sul soggetto nevrotico e la schizoanalisi, e con Deleuze e Guattari sul soggetto schizofrenico, ancora manca una border-analisi, come sostiene anche Massimo Recalcati nella Prefazione al libro di Terminio. Il bordo tra la sottomissione nevrotica e la follia. Sul crinale di queste due istanze, le Antigoni contemporanee fanno esplodere il legame sociale per combattere e affrontare il supplizio contro il destino delle donne nel patriarcato, secondo Pietro Barbetta. Non sono rivoluzionarie, sono piuttosto il prototipo del dissenso femminino.

La loro domanda indignata è: come mai l’uomo, che è consapevole della giustizia, non intende realizzarla? L’Antigone contemporanea fa un’affermazione cosmica: tra la legge naturale e la legge positiva c’è un dissidio insanabile. Barbetta col suo libro, attraverso Antigone, cerca di dare forma descrivendolo, a un fenomeno carsico che insiste a mantenere la grazia, la tenerezza, la cura del legame di fronte alla violenza patriarcale, concependo la relazione clinica come una via per uscire dalla riduzione binaria e dualistica dell’esperienza: “Sul crinale di queste due istanze sta Antigone, che rompe il legame con Ismene perché la sorella si ritira in posizione succube, mentre Antigone intende combattere e affrontare il supplizio. Ismene esprime il destino delle donne nel patriarcato. Antigone non è una rivoluzionaria, né un’eroina che si immola per una causa; è piuttosto il prototipo del dissenso femminino, non ci sta”. A partire da questa prospettiva Barbetta propone la propria ipotesi: “Il ruolo terapeutico proposto qui è diverso, questa la ragione per partire da Antigone: creare uno spazio terapeutico anti-oppressivo ed espressivo, in cui il soggetto, anziché un essere che si esprime – in modo giusto o sbagliato, funzionale o disfunzionale – diventa espressione che si soggettivizza nella differenza.

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Incontrare Antigone oggi significa incontrare la differenza che crea differenza, ma non la diversità. Antigone non è bianca o nera, gay, uomo o donna, occidentale o orientale, abile o disabile, europea, asiatica o africana, adulta o bambina. La differenza di Antigone si dischiude nella singolarità dell’incontro con lei”. Secondo Barbetta il clinico non può esimersi dall’affrontare la genealogia antropica immaginaria che incatena la Mente (Geist) a Dike: la giustizia che muove gli affetti. Antigone allora assume le sembianze e diviene metafora della condizione borderline, dell’essere liminare e rivendica il ritorno alla Dike che sta sotto terra, come se la messa in scena della tragedia non bastasse, come se si dovesse tornare al sacrificio umano. Secondo Barbetta allora è necessario dare voce al disordine borderline come forma del dissenso sociale slegato dalla dimensione politica, dissenso delirante, non accettabile di fronte alle rispettabili apparenze, privo di connessioni che permettano alle giovani donne che lo attraversano di essere movimento, parcellizzato e disperato, che ha bisogno di una rappresentazione. Questa rappresentazione è, può essere, o forse deve essere, o, infine, è necessariamente Antigone. Assumendo Antigone e la situazione femminina come rappresentazione della esperienza borderline, emerge la critica che mette in evidenza la carenza di ricerca e i limiti delle prassi cliniche e terapeutiche sviluppate in proposito. Il borderline, sostiene Barbetta, diviene una cartina tornasole insopportabile per il clinico integrazionista, e mette in risalto le micro violazioni del diritto alla sofferenza quando la sofferenza non è comprensibile, quando si richiede una riflessione che produca quell’intensità che manda in pezzi ogni osservazione estensionale, banale, ovvia, scientista e moralista.

Alla ricerca di una chance per il borderline Nicolò Terminio evidenzia come, diversamente dalla psicosi, il soggetto borderline riesca a mantenere integro l’esame di realtà e non viva il dramma psicotico dell’assenza forclusiva di iscrizione nel campo dell’altro. Pur essendo inscritto nel campo dell’altro, fatica però a trovare la sintassi che ordina quel campo. Diversamente dalle situazioni nevrotiche, il soggetto borderline non riesce a beneficiare della dialettica simbolica rimozione-ritorno del rimosso nella costituzione metaforica del sintomo. Anche se non sono presenti fenomeni elementari tipici nella psicosi come deliri e allucinazioni, i vissuti di depersonalizzazione di scissione, disforici, caotici e le sensazioni diffuse di vuoto, impulsività rabbiosa, instabilità emotiva, impediscono la possibilità di far rientrare in una diagnosi di nevrosi quelle esperienze. Di fronte alla complessità di queste situazioni il concetto metaforico di sciame messo a fuoco da Terminio, combinato con quello di trauma e trama, sembra dare conto in maniera significativa, sia a livello conoscitivo che applicativo, delle fenomenologie borderline. La figura dello sciame, che appare nell’ultimo insegnamento di Lacan, viene utilizzata in maniera originale e rigorosa per procedere al proprio approccio da parte di Terminio per mostrare il carattere sfibrato, frammentato e privo di orientamento del discorso borderline

La chiarezza espositiva e la generosità nello sviluppo degli argomenti fanno del libro di Terminio una vera e propria guida sia per affrontare i fenomeni borderline sia per cercare di trattare le forme più recenti di evoluzione delle patologie e del disagio psichici. A partire dalla turbolenza della relazione, propria delle situazioni traumatiche, disforiche e dissociative in trattamento, fino alla messa a fuoco dei tentativi di occuparsi della clinica del vuoto e della svolta patologica causata dalla neo-melanconia, l’analisi di Terminio si dipana, capitolo dopo capitolo, evidenziando progressivamente le possibilità diagnostiche e curative delle situazioni borderline. Il congelamento borderline con le difficoltà alessitimiche che portano ad una mancanza di parola per esprimere le proprie emozioni, e a un deficit di consapevolezza soggettiva e di elaborazione degli affetti, assume un passo dopo l’altro le caratteristiche di un margine che la clinica può affrontare e sciogliere con adeguate relazioni di cura basate sull’alleanza terapeutica. La relazione terapeutica si colora qui di quelle caratteristiche che Pietro Barbetta nel suo libro evidenzia ricorrendo a Baruch Spinoza. La relazione terapeutica si qualifica dando vita alle esperienze affettive, che avvengono a partire dalle affezioni della vita, nell’incontro e nella relazione con gli altri. Le affezioni, qui e ora, durante l’incontro, creano gli affetti, stati d’animo che possono accrescere o ridurre le nostre potenzialità vitali. Ma si tratta di dare un senso a ogni affetto, ogni affetto ha un effetto differenziale specifico nel nostro stato d’animo e noi siamo come curve di una funzione, continuamente devianti rispetto a ogni retta tangente, seguendo traiettorie inattese e imprevedibili. Condizione indispensabile, secondo Barbetta, fin dalla formulazione della diagnosi, è mettere in discussione le pratiche discorsive dominanti, per fare spazio al riconoscimento di un campo specifico dei disturbi e dei comportamenti borderline. Di fronte al disordine borderline, sostiene Barbetta nel quarto capitolo del suo libro, è necessario richiamarsi a un rispetto antropologico che guidi il processo di conoscenza. Quel processo che egli, con l’aiuto di Michel Foucault, associa al dolore: conoscenza e dolore sono, in un certo senso, consustanziali; non c’è conoscenza senza dolore e il dolore consiste nella sensazione dell’impossibilità di raggiungere la verità attraverso la certezza sensibile. Conoscenza terapeutica ed esperienza del dolore si fanno qui circolari, definendo un campo analitico da abitare come condizione per l’evoluzione del congelamento borderline

L’esperienza borderline così come è letta da Terminio, individua a sua volta nella relazione la condizione per affrontare le problematiche derivanti dall’irruzione del reale nell’esperienza patologica che, perforando il simbolico, rende inattiva la sua funzione. Per queste ragioni nella relazione terapeutica si tratta innanzitutto di ricostruire la trama dell’altro; di mettere cioè mano a una mappatura possibile del desiderio che il borderline vive come se fosse totalmente privo di regolazione, al fine di consentire al soggetto di accedere alla propria trama. Secondo Terminio si tratta, in sostanza, di restituire al soggetto una relazione con l’alterità non traumatica e non abusante. È necessario insomma favorire la possibilità per il soggetto di riconoscere la propria provenienza dall’altro per potersene separare. Le inclinazioni neo-melanconiche del ritiro sociale dei giovani che non possono essere ricondotte alla condizione psicotica, così come le esperienze di crisi di legame e indifferenza che indicano un rapporto congelato con la vita emotiva, nella misura in cui preludono a problematiche borderline, possono trovare nei contributi di Barbetta e Terminio un decisivo supporto conoscitivo e molteplici indicazioni applicative in grado di configurare nuovi orientamenti e inediti prospettive metodologiche per un trattamento clinico che si proponga di aggregare le memorie traumatiche del borderline.

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