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Diario russo 21. Putin apre l’anno scolastico
Il primo settembre in Russia segna il ritorno in aula di alunni, studenti e insegnanti. Di solito la giornata si apre in modo festoso, nei cortili delle scuole le classi si mettono in fila dietro le docenti (in stragrande maggioranza sono donne), sempre sommerse da fiori e regali, e il posto d’onore è riservato agli alunni delle prime, perché per loro è l’inizio di una nuova fase della vita che durerà per undici anni. Anche nelle università si fa festa, con concerti e altre iniziative per accogliere le matricole, di solito accompagnate dai “curatori”, ragazze e ragazzi dal secondo al quarto anno che fanno da guida.
Nelle città grandi e piccole è una giornata particolare, tra code dai fiorai, traffico in tilt, mezzi pubblici affollati, ma in generale l’atmosfera è positiva, anche se l’amore per la battuta e i meme che contraddistingue i russi rileva di quel giorno anche gli aspetti più difficili e persino tristi. Famoso in questo senso è il video in cui Sofia Rotaru, leggenda del pop sovietico, canta i versi del poeta Arsenij Tarkovskij sulla malinconia della bella stagione appena terminata, “come se non ci fosse stata”, e un castoro urla, simbolo delle settimane che verranno, piovose, fredde, piene di lavoro.
Anche perché il primo settembre è l’inizio dell’autunno, in una concezione del tempo dove le stagioni iniziano, fisse, all’inizio di ogni trimestre, spesso spiazzando anche chi da anni vive in Russia e non si capacita di come sia possibile ritenere iniziata la primavera a marzo, quando spesso la neve ancora la fa da padrona in gran parte del paese, o l’inverno fissato a dicembre, quando a metà novembre qualche volta già le strade sono imbiancate. Quest’anno, poi, sembra di vivere da sei mesi in uno stato di sospensione della realtà, dove si mescolano direzioni diverse: chi vuol far finta che tutto sia come era prima del 24 febbraio, e chi spinge perché si ottenga l’assenso di un popolo spettatore alla cosiddetta operazione speciale, entrando non solo dal tubo catodico nella quotidianità.
L’estate è stata scandita da post di reclutamento per “l’orchestra” (come viene chiamata la compagnia Wagner) apparsi sui social, campagna estesa ai detenuti con la promessa di una libertà da ottenere se tornati vivi dal fronte, dai preparativi (ancora in corso) dei referendum nei territori controllati dalle forze armate di Mosca, e dall’annuncio di nuove modifiche all’insegnamento a scuola, con l’introduzione dell’alzabandiera ogni lunedì, del canto dell’inno, di nuovi elementi nelle ore dedicate alla storia e di un nuovo formato per l’ora di attualità, chiamata “Chiacchiere sulle cose importanti”.
Come sarà quest’ora lo ha fatto capire Vladimir Putin a Kaliningrad il primo settembre, dove ha tenuto una lezione ai ragazzi vincitori delle olimpiadi di varie discipline, provenienti da tutta la Russia. Il presidente ha parlato dell’operazione speciale, della necessità di difendere il paese dalla minaccia costituita dall’Ucraina, dove secondo le parole di Putin vi sarebbe stata un’enclave antirussa, e dove l’insegnamento della storia avrebbe omesso il passato comune dei due stati.
Nulla di nuovo, Putin ama questi momenti altamente selezionati (i partecipanti, come già avvenuto per altri incontri pubblici, hanno dovuto trascorrere un periodo di quarantena per prevenire possibili contagi da coronavirus), dove ogni tanto tira fuori qualche espressione particolare, ad esempio in quest’occasione in un passaggio ha detto che “l’amore per il lavoro non è avere un culo di plastica”, sostenendo si tratti di talento e non di applicazione. Forse quei ragazzi a Kaliningrad avranno invidiato i propri coetanei bielorussi, che in occasione dell’analoga lezione di Lukashenko per il 1° settembre hanno espresso il proprio disagio scrivendo su un foglietto “salvateci”, subito diventato oggetto di scherzi e meme nel web in lingua russa e bielorussa.
Si apre un anno scolastico dove sarà molto difficile resistere ai tentativi di irregimentare docenti e studenti, di catechizzare gli alunni e di voler diffondere, sotto l’etichetta della “verità”, ricostruzioni volte a legittimare la guerra e a costruire una realtà in cui credere senza farsi troppe domande, e forse la speranza è da riporre nella noia suscitata dalle liturgie scolastiche (e anche universitarie), antidoto in grado di sconfiggere qualsiasi cosa. Ragazzi, annoiatevi.
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