Conversazione con Giuliano Gori / Collezione: creatività contemporanea
Con le sue fondamenta risalenti all’anno 1000 ca., Villa Celle, costruita nella piccola frazione pistoiese di Santomato con funzione di fortificazione (da qui il nome “celle”) in quanto situata tra le città mercantili di Firenze, Prato, Pistoia e gli Appennini, divenne ben presto la residenza dapprima della famiglia Pazzaglia poi di quella Fabroni che la utilizzò come tenuta di caccia e di villeggiatura. Solo alla fine del Seicento il Cardinale Carlo Agostino Fabroni le conferì l’aspetto attuale sistemando anche gli spazi agrari circostanti, i quali, un secolo e mezzo dopo, grazie al lungimirante intervento dell’architetto Giovanni Gambini furono invece trasformati in un parco all’inglese ampio 30 ettari, circondato da terreni agricoli dove produrre vino e olio. In seguito Villa Celle subì vari passaggi di proprietà: dai Fabroni andò ai Gatteschi, dai Matteini ai Cappellini e ai Guidi per poi essere acquistata dal pittore Elia Volpi che nel 1929 la vendette a Tammaro de Marinis.
Nonostante la sua storia secolare, l’âge d’or di Villa Celle doveva ancora arrivare. E arrivò solo quando, nel 1970, fu acquistata dall’imprenditore tessile pratese Giuliano Gori con l’intenzione non solo di ospitare all’interno le numerose opere d’arte contemporanea della sua collezione privata che aveva iniziato ad acquistare fin dagli anni Cinquanta, ma soprattutto di trasformare il parco in luogo di ispirazione per grandi installazioni ambientali da parte dei più importanti artisti contemporanei italiani e stranieri. Ma se la sua collezione privata arrivò subito a Santomato, l’idea di commissionare opere ambientali per il parco rimase allo stadio di progetto fino al 1981, anno in cui furono prescelti e invitati a intervenire i primi artisti.
Le linee guida, vigenti ancora oggi, per la realizzazione di quelle installazioni sono le seguenti: gli artisti vengono selezionati dal collezionista stesso; ogni artista sceglie un luogo e per quello progetta il proprio intervento che deve essere costituito da materiali durevoli e non effimeri, deve essere inamovibile e deve soprattutto rispettare l’ambiente in cui è realizzato senza modificarlo in alcun modo. Se il progetto è approvato da Gori, l’artista viene ospitato a Villa Celle per il tempo necessario alla sua realizzazione (per mesi o anche anni) e gli vengono forniti tutti i materiali e gli aiuti necessari.
I primi artisti chiamati, tra il 1981 e il 1982, a intervenire a Santomato coabitarono nella Villa per molti mesi finché il 12 giugno 1982 furono inaugurati i loro lavori: nove furono concepiti per il parco (quelli di Alice Aycock, Dani Karavan, Robert Morris, Dennis Oppenheim, Patrick Poirier, Ulrich Ruckriem, Richard Serra, Mauro Staccioli, George Trakas), mentre sei (di Luciano Fabro, Mimmo Paladino, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Gianni Ruffi, Gilberto Zorio) andarono ad arricchire la collezione storica di Gori allestita all’interno della villa.
Il 12 giugno 1982 corrisponde anche alla data di apertura di Villa Celle alla fruizione collettiva. Da allora gli interventi commissionati da Gori agli artisti sono proceduti incessanti e costanti, sino a raggiungere il numero attuale di 48 nel parco, 10 nella villa, 14 nella fattoria, 1 nella Cascina Terrarossa e 2 presso Casapeppe. Nel 2016 sono inoltre state inaugurate tre nuove opere di Stefano Arienti, di Hera Büyüktaşçıyan e di Daniele Lombardi e le mostre temporanee di Daniele Lombardi e di Fabrizio Plessi.
Accanto alla commissione dei lavori ambientali infatti, Gori fin dal 1985 ha promosso numerose mostre temporanee, la pubblicazione dei relativi cataloghi, ma anche presentazioni di libri, concerti, eventi di varia natura che hanno reso Villa Celle un laboratorio interdisciplinare unico al mondo, o meglio, uno spazio aperto all’esperienza totale e totalizzante della creatività contemporanea. Ed è lì che si è svolta la mia conversazione con Giuliano Gori che di seguito trascrivo.
Come e quando si è avvicinato all’arte contemporanea?
Per quanto mi riguarda l’arte non è stata una questione di vocazione, ma è stata frutto del caso. Ho cominciato a interessarmene dopo essere capitato nello studio di un artista, a Prato: mi affascinò così tanto vedere come lavorava che prima di andarmene gli chiesi di poter comprare un quadro e, nonostante la sua proposta di regalarmelo, volli comunque pagarlo e ancora oggi lo possiedo. Da allora ho sempre sentito l’esigenza di conoscere gli artisti e di acquistare le loro opere.
Esiste quindi un nucleo di opere (quadri e sculture) da Lei acquistate, precedenti alle grandi installazioni di Villa Celle?
Sì, la collezione si divide in due parti: la collezione storica, costituita da opere da me acquistate a partire dagli inizi degli anni Cinquanta, e la collezione di opere ambientali realizzate a Celle dagli anni Ottanta.
È possibile individuare un comune denominatore tra le due collezioni?
Sì, sono sempre stato interessato all’innovazione dei linguaggi e ho sempre privilegiato l’incontro con gli artisti, convinto che per comprendere un’opera sia necessario conoscerne l’autore. La casa dove inizialmente vivevo con moglie e figli diventò pian piano un cenacolo per gli artisti e durante i miei viaggi di lavoro ho sempre voluto dedicare un po’ di tempo all’arte. Questo continuo rapporto con gli artisti è stato importante sia per costituire la collezione storica, sia nel momento in cui è nata l’idea di commissionare opere ambientali perché eravamo già ben introdotti nell’ambiente artistico.
Quali opere comprende la collezione storica?
La collezione storica include moltissime opere, tra loro diverse per stile ed
epoca. Ci sono ad esempio lavori di Alberto Savinio, di Domenico Gnoli ma anche quelli di Alberto Burri esposti nel 2015 in occasione del centenario dalla sua nascita.
Perché è sorta l’esigenza di costituire la seconda parte della collezione?
Fino al 1970 è stato un percorso più facilmente percorribile perché acquistavo quadri e sculture che necessitavano solo di essere collocati; poi mi sono chiesto se fosse possibile rivoluzionare il rapporto con l’opera d’arte, parteciparvi in modo concreto, assumere un ruolo. Così è nata l’idea che ha dato origine alla seconda parte della collezione ed è per questa ragione che noi siamo qui, a Santomato. La fattoria che avevo con la mia famiglia non era adatta ad attuare il mio progetto: nel 1970 ho quindi acquistato Villa Celle che presentava strutture molto particolari (la voliera, il primo bowling esistente in Italia…) e interventi architettonico-decorativi realizzati con il medesimo criterio da noi utilizzato per le opere ambientali.
L’idea di commissionare opere ambientali è quindi nata attorno al 1970?
No, l’idea è nata nel 1961, anno in cui visitai il Museo di Arte Catalana di Barcellona: un museo di arte antica dove le opere sono allestite ricostruendo il contesto originale per cui i rispettivi artisti le avevano concepite. Mentre alla Biennale di Venezia e a documenta a Kassel gli esperimenti di arte ambientale erano temporanei, in quanto della durata della mostra, ed erano costituiti da materiali precari, io desideravo invitare l’artista a lavorare con lo spazio per creare un’opera perenne nel tempo.
Quindi, già nel 1961, prima della nascita della Land Art e dei primi interventi di arte ambientale, aveva ideato nei dettagli quella che sarebbe stata Villa Celle?
Sì, ma ciò che non avevo previsto era di aprirla al pubblico. Solo nel momento in cui abbiamo terminato le prime opere, nel 1981-82, mi sono reso conto che, non trattandosi dei quadri sospesi alle pareti della mia collezione storica, non aveva senso tenere per me questi enormi e complessi lavori, ammirarli e passeggiarci attorno, ma che dovevo condividerli con gli altri. Per questa ragione, dal 1982 a oggi, chi viene a Celle entra e non paga il biglietto. Inoltre, sempre per il pubblico, abbiamo sempre organizzato concerti, eventi e mostre importanti come ad esempio la prima dedicata in Europa agli artisti russi dopo il crollo di Berlino (Mosca: Terza Roma, 1989).
Perché dal 1970, anno dell’acquisto di Villa Celle, ha aspettato dieci anni prima di commissionare le prime opere ambientali?
Comprai Villa Celle credendo di essere convinto dell’idea di trasformarla in un luogo per opere ambientali, ma in realtà non lo ero; ero timoroso. Essendo continuamente all’estero per lavoro, mi rendevo conto della difficoltà che avrei avuto nel gestire gli artisti miei ospiti. Continuai pertanto a rimandare, sistemando nel frattempo il parco e le strutture architettoniche presenti. Un giorno, all’aeroporto di Londra, incontrai il mio amico Dani Karavan che mi suggerì di demandare il compito di seguire gli artisti in mia assenza. Provammo a chiedere ad Amnon Barzel, ma nonostate avessi ottenuto la sua disponibilità, avevo ancora molto timore di iniziare. Per avere un’ulteriore rassicurazione sulla mia idea, decisi di istituire una commissione composta dallo stesso Amnon Barzel, Renato Barilli, Francesco Gurrieri, Manfred Schneckenburger e Knud Jensen che definì il mio progetto l’idea vincente del futuro.
E invece Lei come definirebbe la sua idea?
Celle è indefinibile: non è una collezione privata perché è aperta al pubblico, ma non è nemmeno una fondazione né un museo dedicato esclusivamente alla scultura perché negli anni ha accolto anche altre discipline. È piuttosto un laboratorio creativo.
E che cosa è per lei un’opera ambientale?
Quando un’opera viene ambientata in un luogo, sia esso interno o esterno a un edificio, utilizza lo spazio come contenitore. L’opera ambientale invece rende lo spazio che la contiene sua parte integrante da cui trae senso.
Quali sono le fasi necessarie per realizzarne una a Villa Celle?
Innanzitutto scegliamo gli artisti, ma lo facciamo senza chiedere alcun suggerimento esterno perché una collezione non si può demandare ad altri. Dopo aver individuato un artista, lo contatto invitandolo a visitare Celle. Se accetta, gli invio un biglietto per arrivare e lo ospito, ma non è detto che durante il suo soggiorno gli commissioni un lavoro: il rapporto di collaborazione deve nascere in modo naturale. Se nasce, lo spazio per l’opera viene individuato dall’artista, ma siamo noi a dover esprimere un parere in merito. Per farlo, ovvero per capire se lo spazio scelto è quello più appropriato, chiediamo all’artista di provare a progettare il suo lavoro in un altro spazio. Una volta approvato il progetto, gli diamo inizio ospitando l’artista per il tempo necessario, dai tre mesi fino ai due anni. Così facendo, riattualizziamo l’antico rapporto della committenza.
In un certo senso, avete quindi anticipato l’ormai diffusa formula delle “residenze d’artista”… Ma esiste un vademecum per gli artisti che regolamenti l’ideazione delle opere?
Carlo Belli in Kn ha scritto una massima che corrisponde alla norma principale che regola tutta la collezione: “i diritti dell’arte iniziano dove terminano quelli della natura”. A questa viene poi aggiunto il divieto di modificare la parte vegetale del parco: gli artisti scelgono il luogo per la loro opera, ma devono lasciarlo identico a come lo hanno trovato.
Qual è stato il primo lavoro da Lei commissionato per Villa Celle?
Il primo a essere stato terminato, nel 1981, è stato quello di Fausto Melotti, ma in realtà non ricordo se altri siano stati commissionati prima perché parallelamente detti il via a molte opere per la villa e per il parco. Quella è stata l’unica occasione in cui a Celle hanno lavorato contemporaneamente così tanti artisti.
Uno degli artisti con cui ha lavorato maggiormente è stato Robert Morris. Può raccontare un episodio legato alla vostra collaborazione?
Venuto a sapere che Robert Morris durante la visite a Celle aveva sempre cercato di individuare qualche traccia del passaggio delle SS ma non era mai riuscito a travarla, lo invitai di nuovo per mostrargli una sorta di bunker voluto da Kesserling nel parco e da lui dichiarato rifugio antiaereo, sebbene si trattasse di una via di fuga in caso di aggressione. Entusiasta della scoperta, Morris mi sottopose un progetto per il suo interno: un trenino coperto d’acciaio contenente alcuni lavori, che si muoveva a mano lungo due binari fino a raggiungere una grande cupola di vetro colorata costruita all’aperto. L’opera però non fu mai realizzata perché quando la iniziammo quella sorta di bunker cominiciò a crollare.
Se Villa Celle non è stata dettata dal alcun interesse economico-commerciale, qual è il “premio” che la ripaga maggiormente di tutto l’impegno profuso per realizzarla?
Quello di avere un grande vantaggio rispetto a qualunque visitatore: nessuna opera è comprensibile nella sua interezza perché solo io sono a conoscenza delle storie e dei retroscena da cui ciascuna ha preso origine.
Quali sono i suoi progetti per il futuro di Villa Celle?
Se per il futuro intendiamo il futuro meno prossimo, non voglio ipotecare impegni tassativi: vorrei che i miei figli e i miei nipoti, quando non ci sarò più, fossero liberi di agire secondo coscienza e secondo intelligenza. Se invece per il futuro intendiamo il futuro prossimo, l’ultima opera è sempre quella che ci interessa più di tutte. In questo momento sto lavorando per realizzarne una nuova ma è bene non parlarne ancora.
Infine, cosa consiglierebbe a un giovane che volesse diventare collezionista?
Collezionare è sempre difficile, ma volere è potere. Bisogna innanzitutto avvicinarsi all’arte e per farlo è necessario essere sinceri con noi stessi, cercando di comprare solo ciò che ci piace anche se non ha valore economico perché vivere con un’opera costosa ma non di nostro gusto è un’esperienza molto brutta. È bene comprare solo ciò che ci dice qualcosa, che innesca in noi il desiderio di capirne di più. A un giovane che volesse diventare collezionista consiglierei quindi di acquistare solo ciò che gli piace e soprattutto di servirsi degli occhi e mai, mai delle orecchie.