Il presente che fu
Ci sono periodi in cui le vicende dell’oggi sembrano ripiegarsi sul passato. Paiono rifrangersi in uno spicchio temporale, incapsulato in un tempo trascorso, che – sommerso frattale di una più vasta narrazione – balbetta stupefacenti analogie con il presente.
Alex Butterworth, autore de Il mondo che non fu mai. Una storia vera di sognatori, cospiratori, anarchici e agenti segreti, appena pubblicato da Einaudi, non è certo il primo a sostenere che l’inizio del secolo nel quale stiamo vivendo sia ripiegato all’indietro, tendendo ad assomigliare, nello sviluppo di molti degli eventi che lo contraddistinguono, allo scivolare sempre più precipitoso dell’Ottocento nell’aprirsi del Novecento.
Altri, in modo più o meno esplicito, lo hanno già suggerito, allineando ingredienti e somiglianze tra presente e quel passato. Ad esempio il crollo di un consolidato ordine internazionale, l’irrompere di nuovi soggetti e di sempre più devastanti diseguaglianze sullo scenario globale, la difficoltà, di fronte al rapido succedersi di innovazioni, nel trovare un senso comune e condiviso nel conclamato “pluriverso” in cui siamo immersi.
Il passato talvolta ritorna
Il passato talvolta, seppure con maschere diverse in volto, ritorna. E qualcuno, con poco tatto, ha fatto anche rimarcare, a proposito dell’oggi che si ripiega su una “Belle Epoque” che non era stata poi così “Belle”, come in quegli anni si fosse scivolati dal Ballo Excelsior, e dal saggio e teporoso “Mondo di ieri” rievocato da Stefan Zweig, al bagno di sangue della prima guerra mondiale.
Un giro di boa, quel conflitto, che attingendo al know how dei genocidi coloniali e ai mattatoi delle guerre balcaniche, sottopone la meglio gioventù europea a una mirata e biologica soppressione da parte della gerontocrazia al potere.
La modernità, così come la si conoscerà nel Novecento, quella che passeggerà nei mortiferi giardini - lager, gulag, funghi atomici - del secolo appena lasciato alle spalle, si issa su montagne di giovani mandati allo sterminio. Cancellati a milioni, dalla vita che li aspetta, da vecchi leader così terrorizzati all’idea dell’afflosciarsi del loro potere da affidarsi, per sventare l’incubo, a un immane sacrificio umano quale quello che avviene nelle trincee d’Europa.
Confidando che il presente nel quale siamo coinvolti non si concluda con la soppressione, o la conclamata riduzione a esplicita schiavitù, da parte dei nuovi padroni del mondo - “così vertiginosamente ricchi e potenti da essere ormai solo molto lontanamente umani” - della maggioranza di “vite nude” ritenute di troppo, troppo marginali o troppo conflittuali, è interessante cogliere un’altra fondamentale connotazione delineata da Butterworth.
Sentieri contromano
Riguarda la finzione che regge la narrazione storica e, in particolare, l’omissione e la mimetizzazione del vasto intreccio di sentieri che da sempre - non solo per l’epoca ricostruita da Butterworth - dai complotti terroristici, dall’opposizione più radicale e utopistica al sistema, riescono a penetrare sino alle segrete stanze del potere. A volte - come succede a Lenin e ai bolscevichi russi nel 1917 col Palazzo d’Inverno - ne prendono anche duraturo possesso, cannibalizzando il nemico che volevano sconfiggere e assumendone la stessa brutale attitudine al controllo e alla repressione delle vite comuni.
Proprio per questo è quanto mai interessante seguire il diramarsi dei sentieri che vanno contromano rispetto ai movimenti rivoluzionari e antagonisti ai Palazzi, che corrono in senso inverso al permanere di apparati e nomenklature. E che dal cuore del potere s’incamminano verso lo schieramento che vi si oppone. Accade quando il cuore del potere utilizza gli avversari per alimentare il gioco del “complotto contro se stesso”. Così da premunirsi dai nemici e testare la fedeltà degli alleati.
È proprio questo aspetto a costituire il nodo centrale dell’affresco storico che Butterworth ricompone nel suo saggio, correndo lungo il periodo che va dalla repressione della Comune di Parigi del 1871 sino alla rivoluzione bolscevica del 1917. Ripercorre quei decenni tempestosi con rigore, attingendo a tutte le fonti disponibili (la consultazione di alcune di queste, risalenti a oltre un secolo fa, paradossalmente è stata vietata all’autore dalla Metropolitan Police di Londra).
Corpo a corpo con la finzione
Nella ricostruzione di Butterworth a calcare la ribalta sono gli antagonisti al potere: cospiratori, agitatori, terroristi che tolgono il sonno alle corti e alle ambasciate, dove si stanno tessendo le relazioni dell’establishment europeo dopo la tremenda paura dell’insurrezione parigina e la sanguinosa repressione (furono 25.000 i morti tra gli insorti) che la spegne.
Capitolo dopo capitolo sfilano i leader anarchici, i dirigenti dell’Internazionale Comunista, tutto il mosso arcipelago della violenza cospiratoria e dell’utopia insurrezionale: tra il vecchio e il nuovo secolo sognano di poter imporre un mondo senza sovrani e senza padroni. Sono loro che al conflitto di piazza, alle lotte sociali affiancano, sempre più decisamente, le “azioni esemplari”. Quelle messe in atto da militanti che non temono la morte e spesso cercano il martirio quando, con pistole e dinamite, colpiscono zar, re, imperatrici e presidenti. Mirano a una sistematica decapitazione delle élites e, soprattutto, a seminare terrore nelle classi dirigenti d’Europa e d’America.
A questi personaggi Butterworh contrappone altri protagonisti, quelli che le ricostruzioni storiche spesso preferiscono spesso mimetizzare. Sono i maestri spioni che hanno forgiato gli apparati di sicurezza dei grandi stati. Ad esempio il colonnello Wilhelm Stieber, gran consulente spionistico di Bismarck e dello zar, il prefetto Louis Andrieux, raffinato tessitore di trame per gli apparati parigini. Sono soprattutto i vertici e gli agenti provocatori dell’Ochrana zarista come Petr Rackovskij. O Evno Azef (detto “Il Francese”, o “Il Grassone”) implacabile terrorista e agente a libro paga dello zar. Personaggi così sopraffini nell’arte del complotto da riuscire persino a far saltare in aria, e non metaforicamente, i propri vertici pur di fronteggiare le cospirazioni in corso. Butterworth costruisce un proficuo esempio di narrazione che rompe la morsa della finzione e dunque si rende capace di camminare sul filo tagliente di un difficile confine: quello dove viene messa alla prova la nostra capacità di afferrare gli eventi. Quegli gli eventi che sono tali solo quando, noi o gli altri, li prendiamo in carico e li raccontiamo in un estenuante corpo a corpo con la finzione messa in campo dagli avversari. Prima non esistono, sono smozzicati reperti ricomponibili secondo infinite combinazioni.
Poi, quando inizia il lavoro di ricostruzione, il disvelamento degli “eventi” porta alla luce – proprio come nel libro di Butterworth - le navigazioni spericolate e il sapere tramandato dagli apparati di sicurezza che tirano le fila di azioni destabilizzatrici evocate e poi sapientemente domate davanti all’opinione pubblica. Saetta nel buio delle amnesie il loro agire da dietro le quinte per suggerire le mosse cruente di un terrorismo apparentemente imprevedibile. Si alza il sipario sulle cooptazioni ed esclusioni che si succedono all’interno di una nomenklatura rivoluzionaria presentata – per i non addetti ai lavori – come assolutamente impenetrabile.
Storie di ieri che, forse – basta navigare in alcuni siti specializzati in controinformazione sull’intelligence degli ultimi decenni - parlano anche al nostro oggi.
Questo articolo è apparso in forma più breve su Tuttolibri di sabato 1 ottobre 2011