Una conversazione con Italo Zannier / La fotografia ha 180 anni!

Il Mart di Rovereto ha inaugurato lo scorso 22 febbraio La fotografia ha 180 anni, una mostra che racconta la storia del libro illustrato, dall’incisione al digitale, attraverso una collezione privata di volumi che il “fotografo innocente” Italo Zannier ha sviluppato nel corso della sua vita. Zannier, storico e studioso, è stato anche il primo docente universitario di Storia della Fotografia in Italia.

In Verso l’invisibile: la fotografia, tra eventi, invenzioni e scoperte nel XIX secolo (2016) l’autore scrive che l’ingresso nella contemporaneità è avvenuto nel momento in cui l’uomo ha cominciato a riprodurre la realtà attraverso la fotografia. Questo mezzo, nato per riprodurre ciò che è visibile, è poi sconfinato nel campo di ciò che l’occhio nudo non è in grado di percepire (virus, raggi X, proiettili). Lo studio documentato Verso l’invisibile misura l’avanzamento della fotografia in parallelo a scoperte scientifiche e tecniche, con esperimenti, esplorazioni, innovazioni, fenomeni e personaggi oggi trascurati. 

Dopo la “camera ottica” di Gian Battista della Porta e la héliographie (1826) di Joseph Nicèphore Niépce, è nel 1839 – cent’ottanta anni fa – che nasce il dagherrotipo. Vi fanno seguito lo sviluppo di fotoeliografie, calcotipi, zincografie, la scoperta dei raggi X (1895). La tecnica giunge, nell’arco di un secolo, allo sviluppo di una fotografia che non necessita più di un supporto cartaceo: è quella per cui Zannier inventa il neologismo “fotofanie”. 

 

Incisione da eliografia di Joseph Nicèphore Niépce, 1826.

 

Pont de Rialto a Venise, Incisione tratta da dagherrotipo.


“La photos-grafia,” scrive Zannier “in quanto tale affine al disegno, preoccupò subito specialmente gli incisori e i litografi (l’invenzione di Niépce infatti nasceva dal desiderio di semplificare la litografia, inventata da Alois Senefelder nel 1789 circa) … Ovviamente tremarono i pittori per il loro tradizionale mestiere”.

La fotografia è il mezzo che ha sancito la vittoria, il dominio dell’occhio, ma è anche compagna della Modernità, in cui ha strutturato un nuovo linguaggio che necessita di una neo-alfabetizzazione.

La fotografia ha 180 anni illustra passaggi cruciali della fotografia attraverso una selezione di volumi. “L’editoria”, continua Zannier nel catalogo della mostra “si è necessariamente impadronita della fotografia – e dei fotografi, però sempre meno, considerati come Autori intellettuali, esclusi quelli in “odore” di pittorialismo! – e non solo dell’imprenditoria giornalistica ed editoriale (stampa e internet), ma del Libro-Libro, che è sempre di più costruito con e per le immagini fotografiche, senza le quali non si vende!”.

Le immagini nei libri, una volta presenti come didascalie del testo, diventano le protagoniste di libri in cui l’immagine diviene frase. Abbiamo posto alcune domande a Italo Zannier, partendo dagli esemplari presenti nelle teche della sezione della mostra dedicata al libro illustrato, dall’incisione al digitale, e che si compone dei cinque capitoli: Dalla mano alla macchina; La letteratura dell’immagine; Una nuova idea di realtà e la fotografia politica; La scienza e l’immagine; Senza parole.

 

Mauro Zanchi e Sara Benaglia: Nelle prime bacheche sono esposti libri che rendono visibile un percorso dell’immagine, ovvero il rapporto tra fotografia e divulgazione attraverso la stampa. Quali libri ha scelto per mostrare questo percorso?

 

Italo Zannier: La prima parte della mostra è un attraversamento dell’immagine, dal “fatto a mano” al fatto a macchina. Abbiamo scelto una serie di volumi dalla mia biblioteca di Lignano Pineta. Un esempio è il volume di Bartolomeo Pinelli, che era un personaggio protagonista alla fine del Settecento e del primo Ottocento. È un libro sulla Storia di Roma Antica, un album con incisioni di grande finezza e abilità.

 

 

 Questo dà l’idea di come la fotografia ancora non c’entra, ma è illustrazione fatta a mano. Nelle teche ci sono esempi e documenti che mostrano l’evoluzione dei libri dal XIX secolo a oggi, passando in rassegna litografia, fotolitografia, eliogravure, zincografia, rotocalco, offset, etc. Le prime fotografie “vere”, ossia realizzate con una camera ottica, sono i dagherrotipi di Daguerre. Per rendere visibili queste immagini, che erano uniche, il grande editore francese Noel Marie Paymal Lerebours pensò di ricopiare il dagherrotipo. La realizzazione era affidata a incisori di grande abilità. Per esempio, la serie di Venezia edita da Lerebours era realizzata da incisori che avevano copiato a ricalco le fotografie, quindi con il rigore assoluto della prospettiva fotografica e con dettagli che prima di allora non erano così precisi e lenticolari.

 

Frederic Goupil Fesquet, Voyage D’Horace Vernet en Orient, Challemel, Paris, 1843.


Voyage D’Horace Vernet en Orient è un libro di grande rarità. È uscito nel 1841 e non riproduce dagherrotipi, perché non era facile, ma immagini fatte da Frédéric Goupil-Fesquet sull’Egitto e sul viaggio in oriente, intrapreso insieme a Horace Vernet. Dopo la stampa litografica in bianco-nero, le immagini venivano colorate a mano con pigmenti mischiati con bianco d’uovo, libro per libro. Non era possibile stamparne molte copie, perché erano colorate a mano. 

 

 

La Esposizione di Londra. Raccolta di tutte le notizie relative alla grande mostra cosmopolita dell’industria umana (1852) contiene il riassunto di tutte le invenzioni e gli oggetti presentati all’Expo di Londra nel 1851. È in questa mostra perché è illustrato da litografie. In quel momento non era ancora possibile stampare le fotografie. Spesso i cataloghi avevano fotografie incollate, come un altro rarissimo volume in mostra, incunabolo della fotografia. È un catalogo della Biennale di Venezia del 1887, che riporta alcune opere lì esposte. E queste sono fotografie vere, incollate, perché era l’unico modo per mostrarle. Nel 1894 il Catalogue illustré de Peinture et Sculpture del Salon di Parigi è realizzato a mano. Una serie di pittori, incisori, disegnatori – a volte abilissimi, ovviamente – ha ricopiato quadri e sculture, riproducendoli in litografie per fare un catalogo. Alessandro Pavia pubblica il volume I Mille per il generale Giuseppe Garibaldi (1867) con tutte le fotografie dei patrioti che andarono a combattere in Sicilia. Pavia, fotografo e patriota, in un lavoro faticoso e con molta spesa raccolse in sette anni in album le effigi di tutti i componenti della schiera dei Mille.

 

Garibaldi, I mille per il generale, L. Lavagnino, Genova, 1876.

 

Garibaldi, I mille per il generale, L. Lavagnino, Genova, 1876.


Che cosa hanno spostato ulteriormente, nell’evoluzione dello sguardo, i libri fotografici rispetto ai codici miniati, ai libri con xilografie, incisioni e disegni?

 

Nella seconda metà dell’Ottocento, in particolare nel 1851, con il perfezionamento della tecnologia della fotografia, questo mezzo è ritenuto inevitabile per raccontare e descrivere quella realtà sembiante che la fotografia rappresenta rispetto al disegno. Se andiamo indietro a confrontare i disegni delle piramidi rispetto alle fotografie, la dimensione anche fisica della grandezza è diversa rispetto alla realtà. 

 

Ci potrebbe parlare dei libri di viaggio e di fotogiornalismo presenti in mostra?

C’è un notevole album di Felix Beato. Partito da Venezia in direzione dell’Asia Orientale, Felix seguiva le battaglie dei francesi e degli inglesi, in qualità di fotografo di guerra. Va in Cina e documenta la campagna militare nel suo svolgimento ai Forti Taku. Lo realizza fotografando, camminando in avanti, tra fotografie con i morti, poi arriva in fondo e fa il controcampo. Il primo controcampo lo ha fatto Felix Beato ai Forti Taku. Realizza due album grandi: uno sul paesaggio giapponese e uno sui tipi locali e sui i mestieri. E lì si avvia la cosiddetta scuola di Yokohama. Il libro in mostra, del 1890 circa, è di un discendente di Beato (alcune erano lastre anche sue) e riporta fotografie originali incollate, che testimoniano anche il lavoro delle donne dagli anni Ottanta alla fine del XIX secolo.

 

Felix Beato, Album giapponese 1890, Copertina in lacca intarsiata in avorio e altri materiali, 50 fotografie originali colorate a mano.

 

Felix Beato, Album giapponese 1890, 50 fotografie originali colorate a mano.


In mostra c’è La Battaglia di Mukden. Guerra russo giapponese (1915), narrata da Luigi Barzini, un libro contenente 52 incisioni, tratte da istantanee prese sul luogo dall’autore, 15 piante e una grande carta a colori. Luigi Barzini era un giornalista, inviato speciale del Corriere della sera. Era nato per il viaggio. Quello con il principe Borghese e con l’automobile Itala, da Pechino a Parigi, è stato un mitico attraversamento dell’Asia e dell’Europa. Meno conosciuti sono gli altri suoi reportage. Per esempio le fotografie non sono sempre efficaci, ma certamente di rilevanza storica. Barzini fotografava con apparecchi tecnicamente modesti, soprattutto per quanto riguarda la velocità. E non tutti hanno apprezzato questi risultati, perché c’era già un’idea estetizzante della fotografia pittorialista, della fotografia più bressoniana, della fotografia istantanea. Allora si lamentavano che queste fotografie erano un po’ mosse. C’era un cannone che sparava: per forza la fotografia era mossa! Anche oggi c’è questa idea per cui la fotografia debba essere assolutamente nitida, assolutamente istantanea. Ma non sono d’accordo. Per me la fotografia, come qualsiasi immagine, deve essere emozionante.

 

Quale è un libro della sua collezione che l’ha sorpresa?

 

Il libro Souvenir de Moscou (1917 ca.) per me è stato una sorpresa, perché l’ho comperato senza sapere molto. Le immagini in esso contenute sono fotografie vere, incollate, come si faceva allora con gli album, e dipinte a mano. Questo è un album realizzato prima della Rivoluzione di Ottobre, per cui sfogliandolo si può scoprire come era Mosca al tempo dello Zar. 

 

Souvenir di Moscou, 1917, Copertina.

 

Souvenir di Moscou, 1917, Fotografie originali colorate a mano.

 

Souvenir di Moscou, 1917, Fotografie originali colorate a mano.


A livello concettuale, ci è sembrato interessante il libro sui corpi tatuati. Sembra l’opera di un artista contemporaneo. Tra le particolarità del libro vi è il fatto che tutti i soggetti fotografati sono bendati.

 

Il tatuaggio dei domiciliati coatti in Favignana (1903) è una raccolta di fotografie realizzate dal Dott. Emanuele Mirabella, il quale era direttore anche del carcere. Il volume ha una introduzione di Cesare Lombroso. Accompagna le fotografie un testo, interessante anche dal punto di vista criminologico, in cui Mirabella legge i valori sentimentali dei tatuaggi. 

 

 

Che funzione aveva quel libro che è costituito da montaggi di tanti corpi nudi, in posizioni diverse, da gesti e pose, incorniciati nella stessa pagina?

 

Le Nu Esthétique. L’homme, la femme, l’enfant. Album de documents artistiques d’aprés nature (1902) di Èmile Bayard è una collezione di immagini di nudi che veniva venduta ai pittori, che invece di avere la modella avevano la fotografia. Io ho trovato questi album interessanti, più che per la fotografia in sé stessa, per l’idea che avviava a quello che sarebbe stato poi il Surrealismo, gli anni di Apollinaire, di Man Ray, di Breton. È interessante anche questa dissacrazione dell’immagine. Questo fa parte di una letteratura nuova: la letteratura dell’immagine. 

 

Emile Bayard, Le Nu Esthétique. L’homme, la femme, l’enfant. Album de documents artistiques d’aprés nature, preface J. L. Gerome, E. Bernard, Paris, 1902.

 

Emile Bayard, Le Nu Esthétique. L’homme, la femme, l’enfant. Album de documents artistiques d’aprés nature, preface J. L. Gerome, E. Bernard, Paris, 1902.


A quando risale il primo libro con fotografie a colori? 

 

Colour Photography and Other Recent Developments of the Art of the Camera è stato realizzato nel 1908, ovvero un anno dopo la commercializzazione della fotografia a colori. Il primo a fare fotografie a colori in America è Alfred Stieglitz, che è il padre della fotografia moderna. In questo libro le fotografie venivano stampate a parte, con passaggi di colori, di inchiostri. Queste sono le prime fotografie a colori della storia della fotografia.

Stieglitz Memorial Portfolio 1864-1946 è stato pubblicato da Twice a Year Press nel 1947. Alla fine di una antologia critica, Dorothy Norman pubblica 18 riproduzioni di fotografie di Stieglitz, presenti nella sua collezione. Il libro illustrato diventa una parte fondamentale dell’editoria moderna. 

 

Dorothy Norman ed. Stieglitz memorial portfolio 1864 - 1964, 18 reproductions of photographs by Alfredo Stieglitz, tributes in memoriam twice a year press, New York, 1947.


Quale è il fotolibro (costituito esclusivamente con le immagini) più interessante della sua collezione?

 

Per me il maestro del fotolibro è William Klein. Abbandonò il cinema per la fotografia e realizzò un libro su New York nel 1956, pubblicato dall’illuminato Giangiacomo Feltrinelli, che fece una edizione meravigliosa stampata in rotocalco, dal titolo New York. Non c’è una parola. Tutto il libro è un mosaico di immagini forti in bianco e nero. Notturni fatti in condizioni incredibili, sfocate, mosse, sgranate, storte. È il più bel libro su New York che si possa immaginare. Non è una guida, ma è un romanzo drammatico sulla città.

Ha fatto Tokyo, Mosca. Poi ha fatto Roma. Roma, contesto anche di Pasolini. Anche questo libro è composto solo da immagini. Al di là della fotografia unica, il racconto è fatto dallo stesso autore, per immagini. 

 

William Klein, Rome, Atelier du livre, Paris, 1959.

 

William Klein, Rome, Atelier du livre, Paris, 1959.


Ci sono anche libri interessanti nell’accezione di opere artistiche o che sanno colpire l’immaginazione dei bambini?

 

Un volume interessante in mostra è Index Book (1967) di Andy Warhol, che contiene oggetti (e suoni). Warhol ha voluto copiare i libri per i bambini. C’è questa naïvité del libro, che era una tecnica conosciuta. Ecco la grande ironia concettuale di Warhol.

Pensando al tempo moderno, segnato dal passaggio dalla foto chimica alla foto elettronica, uno degli esempi interessanti è il libro Immagini da Computer (1984). È un piccolo fascicolo, accompagnato da immagini realizzate da computer, le quali sono apparentemente analoghe alla fotografia, fatte con la pellicola tradizionale, ma sono via via diverse. Per concludere, The Sense and Perception. Self Owner’s Manual (2018) di Mirè, un libro che un bambino deve avere il piacere di leggere e seguire. È in inglese, e le fotografie in esso contenute assumono la forma di fumetti. È accompagnato da un disco, per cui quando un bambino apre e sfoglia il libro, vede immediatamente le persone che si animano, escono dal libro e parlano. E c’è la musica, e i personaggi si muovono e corrono. È un punto di passaggio che ho voluto avere in mostra per concludere questo percorso, proprio per segnare questo ponte tra due epoche, tra due momenti. 

 

La fotografia ha 180 anni!

MART di Rovereto

22.02 – 31.05.2020

Da un’idea di Vittorio Sgarbi e Italo Zannier

Coordinamento curatoriale Denis Isaia

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