Dell'importanza dell'azione / La donna abitata
La donna abitata è un romanzo del 1988, pubblicato in Italia da e/o nel 1995. La collana Le cicogne lo ripropone oggi, insieme ad altri sette “grandi successi” della casa editrice, tutti con copertina rigida e sovra coperta elegante, a texture astratte, alcune geometriche, altre a motivi floreali stilizzati, tutte a colori accesi e vivi. Una veste grafica che suggerisce il peso e il carisma dei titoli che vi sono collezionati.
Sono già le forme e già i colori giallo zafferano e blu petrolio che s'intrecciano nella copertina, a richiamare la materia della scrittura della Donna abitata. Sinuosa e morbida, di sicuro avvolgente ma in lacci anche duri e stretti che richiedono sguardo lucido, impongono domande, esigono prese di coscienza e posizione; e poi viscerale e impetuosa, sporca di sangue e di terra ma anche pura, cristallina, impregnata di ideali e assolutezza che s'incarnano nel reale e nell'urgenza; una scrittura raffinata, ed estremamente concreta, corporea in ogni sua parola. Questa è la voce di Gioconda Belli, autrice nicaraguense quasi coetanea di Ortega, che negli anni '70 fu parte attiva della lotta del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale contro Somoza e partecipò poi al governo fino al '94.
Con questa voce, Gioconda Belli racconta la storia di due donne vissute in epoche diverse ma il cui sangue e il cui spirito si trovano a condividere le stesse vene in cui scorrere, lo stesso impulso e lo stesso fuoco.
Siamo nell'immaginaria città centro-americana di Faguas, capitale di un immaginario paese governato da un immaginario Grande Generale e ridotto alla povertà, intriso di corruzione – queste, per nulla immaginarie.
Qui vive Lavinia, una ragazza poco più che ventenne, di famiglia appartenente al ceto altolocato dei “verdi” (in teoria in opposizione alla dittatura ma non realmente toccato nei privilegi e nello status – né economico né sociale), appena tornata da anni di studi in Europa, in procinto di cominciare il suo primo lavoro in uno studio d'architettura.
La accompagna il dolore recente della perdita della zia Ines, unico membro della famiglia da cui si sentisse capita nella sua curiosità aperta al mondo, nella sete di indipendenza e di vita, nei sogni e nella fantasia. In eredità, zia Ines le ha lasciato la sua casa, con un bel giardino, un'amaca e un arancio sempre stato un po' secco e proprio ora nel pieno di un nuovo risveglio – una casa, insomma, dove iniziare una nuova vita, libera dai legami con i genitori che non l'approvano come donna lavoratrice e la vorrebbero casalinga, sposata, normale.
Questa è la giovane che incontriamo all'inizio del romanzo. Lievemente ribelle, soddisfatta delle sue scelte, critica nei confronti del governo ma placida e serena nella sua quotidianità e fiera della sua posizione di donna lavoratrice, decisa a farsi rispettare come professionista in un contesto in cui le donne sono al massimo segretarie, in grado di ottenere le sue personali vittorie, e comunque in armonia con il posto che si sta dando nel mondo.
Quello di Lavinia è un viaggio dell'eroe che parte da questo mondo ordinario e in cui il richiamo all'avventura s'insinua non visto, prende la forma di un collega di lavoro, Felipe, con cui nasce quasi subito una relazione intensa ma tutto sommato non troppo fuori dai canoni. Finché un giorno lui si presenta a casa sua a tarda notte, portando tra le braccia un uomo sanguinante e clandestino da nascondere e curare. Felipe, così come l'amico ferito Sebastián, fa parte del Movimento – corrispettivo del FSLN. Questa è la scintilla. Da quel momento, un nugolo di paura e desiderio, interesse e diffidenza determina l'inizio del viaggio interiore di Lavinia, l'operarsi di un processo d'individuazione che poterà quel germe di ribellione e di bisogno di giustizia a prendere corpo e fiorire. Prima guarderà da fuori, scoprirà questo mondo segreto che si nasconde, si mette in pericolo e si muove in mezzo al normale incedere della quotidianità di Faguas, invisibile agli occhi dei rassegnati cittadini, complici o vittime della dittatura. Poi, non per richiesta altrui ma per lucida urgenza, dovrà decidere – perché non si può restare in bilico, la linea è sottile dal momento in cui nasce la consapevolezza e si pone una scelta: da una parte l'assunzione di rischio e responsabilità di chi sta con il Movimento, dall'altra l'ampia schiera dei complici passivi di una politica inaccettabile. Così Lavinia, quasi contro il volere di Felipe, intraprende il suo percorso di avvicinamento al Movimento.
E lo intraprende proprio quando dallo studio le viene commissionato il progetto della casa del Generale Vela, uno dei più alti funzionari del Grande Generale.
Per lunghi mesi il Movimento le chiede non tanto di imparare a usare un'arma o fare chissà cosa lei si era immaginata di particolarmente pericoloso e affascinante: al contrario, le domanda di riavvicinarsi all'ambiente dei “verdi”, rendersi insospettabile, spiare il nemico da dentro, avvicinarsi alla famiglia Vela, fornire tutt'al più i disegni della casa del Generale e dettagli sulla festa d'inaugurazione che si terrà al termine dei lavori.
Ma ogni viaggio dell'eroe, dopo prove più o meno difficili, chiede di perdere tutto, o almeno qualcosa, per giungere a un elisir, un dono, una vittoria. E qui, d'un sol colpo, la lotta le porta via Felipe e la porta al salto più grande: partecipare all'azione che i compagni preparavano da mesi e da cui lei, neofita, era stata tenuta fuori. E lì è la sua stessa fede, il suo stesso sguardo, a chiederle di donarsi – la sua vita per quella di Vela – per salvare l'azione, i suoi compagni, il movimento, la vittoria. Così la morte si fa gravida e le permette di essere lì dove voleva, dove l'involontario maschilismo di Felipe, prima, non avrebbe mai desiderato vederla. Così si compie il sacrificio finale, un olocausto per la vittoria, per l'ideale, dove la morte si fa rituale – non per un dio astratto trincerato nel suo cielo ma per la vita stessa, una vita migliore qui e ora, in terra. È la morte catartica dell'eroe tragico, la purificazione.
Come spesso accade nei viaggi degli eroi, anche qui c'è un aiutante magico. È un aiutante, o un potere, un amuleto, una forza, di cui Lavinia è inconsapevole.
Si tratta di Itzà, combattente indios che lasciò la famiglia per combattere, unica donna, al fianco del fidanzato Yarince e degli altri, ultimi, guerrieri contro gli spagnoli. Itzà che fu sacrificata da una freccia nemica sotto gli occhi disperati dell'amato; Itzà, il cui corpo per secoli si mescolò all'humus e alla terra, e il cui spirito un giorno permeò l'arancio secco del giardino di Lavinia e fiorì, e regalò arance succose, e fu colto, e fu inciso da un coltello, e donò il suo succo e penetrò in Lavinia, nelle sue vene e nella sua vita, senza confondersi; Itzà, che scorrendo nelle vene di Lavinia impara ad ascoltarla, a riconoscere, a spingere quando necessario. Itzà che la abita e pur non sconfiggendone le paure, ne lenisce i timori e ne contiene le esitazioni, si fa fuoco in lei, si fa guizzo di audacia e di fermezza. Itzà, che ci parla in prima persona, con la sua voce di linfa, di legno, di ricordo, e ripercorre la propria vita e rivive attraverso Lavinia e di nuovo combatte.
Queste sono le storie di due donne, entrambe in qualche modo vere – storicamente quella dell'indios, verosimilmente quella di Lavinia. Due storie di formazione e sacrificio, di femminismo, di rivolta e di coraggio. In entrambe Gioconda Belli, che fu rivoluzionaria – e insieme madre di due bambini, e amante di un compagno che in battaglia perse la vita – pone l'accento sul compenetrarsi di pubblico e privato, dove il pubblico non può esimersi dal divenire privato e il privato non può che irrorare il pubblico: in una lotta portata avanti per lo più da uomini, o quanto meno maschilizzata, resa tal volta troppo dura, svuotata dei sentimenti, il rischio è di lasciar fuori l'essere umano, la debolezza, l'amore – insomma il privato che, se non è meschinamente egoistico, può irrorare la lotta di forza e vita, dell'energia viscerale dell'amore, come accade sia a Lavinia che a Itzà e che permette anzi di lottare, come diceva Che Guevara, senza perdere la tenerezza.
La donna abitata racconta di anni '70 che possono parere lontani, perché il nemico era dichiarato, richiedeva una risposta secca, senza troppe sfumature – con o contro di lui. Eppure è pienamente attuale, perché il comodo silenzio, il confortevole indignarsi, è sempre essere complici, qualsiasi forma, più o meno frammentata e sfumata, prenda il nemico. La potenza di questo romanzo sta proprio nell'irrompere autentico di una necessità di agire, di essere fino in fondo, senza sconti, senza alibi e pretesti.
Gioconda Belli, La donna abitata, Nuova edizione Cicogne, E/O maggio 2018, trad. it. Margherita D'Amico, trad. della postfazione di Raul Schenardi.