Cartesio e il navigatore solitario

6 Agosto 2024

È di moda essere antidualisti. Secondo il dualismo, che nella sua più nota versione moderna comincia con Cartesio – il filosofo francese del celeberrimo "cogito, ergo sum", penso dunque sono si dà una separazione fondamentale fra il soggetto umano, il cogito appunto, e il mondo che quel soggetto sente e pensa. Il primo e fondamentale dualismo è allora quello fra il soggetto e l'oggetto, fra l'entità che pensa e quella che viene pensata. Tutti gli altri dualismi – corpo e mente, natura e cultura, come in fondo anche la stessa distinzione fra software e hardware, e così via separando – in realtà non sono altro che manifestazioni di quel dualismo originario fra il cogito e il mondo. Si tratta di un dualismo, è questa la scoperta cartesiana (esplicitata definitivamente da Kant), che non dipende dal capitalismo (come vuole un'altra moda contemporanea) e tantomeno dal maschilismo occidentale; il dualismo è 'cablato' nella costituzione umana (come sostiene lo scienziato cognitivo Paul Bloom in Natural-born dualists). Siamo dualisti perché siamo umani, perché l'umano è il vivente della mediazione, cioè degli schemi – sensoriali, concettuali, linguistici soprattutto – che si frappongono sempre fra il corpo e il mondo.

Ma che cosa significa dualismo, inteso in questo senso radicale? Facciamo un esempio semplicissimo, le dita della mia mano che proprio in questo momento stanno toccando i tasti di plastica della tastiera del portatile. C'è un contatto fra un polpastrello e un tasto, per essere precisi fra il polpastrello del dito indice (scrivo sulla tastiera con un solo dito per mano) della mano destra con il tasto O, con cui completare la scrittura della parola "tasto". Il polpastrello ha direttamente toccato il tasto, cioè non sembra esserci alcuna distanza fra la pelle e la superficie di plastica nera del tasto. Dov'è il dualismo in questo caso? In realtà il tasto viene sfiorato dal polpastrello per scrivere una parola, e quindi non stiamo semplicemente di fronte al caso di una superficie che ne tocca un'altra; non si tratta cioè di un semplice contatto fra entità materiali, al contrario, il polpastrello sta toccando un artefatto tecnologico e culturale, che rimanda alla scrittura, e quindi all'insieme della vastissima tradizione che su questa abilità si è costruita nei millenni. Il tasto è una sorta di rappresentante minimo di un intero e vastissimo apparato storico-culturale. Non è un'entità fisica che viene toccata, allora, un caso semplice di un corpo (vivente) che ne tocca un altro (non vivente); in realtà non c'è nessun contatto diretto con il mondo, perché c'è sempre uno schermo fra il corpo e qualunque entità con cui quel corpo possa entrare in contatto, uno schermo fatto di storie, di tradizioni, di discorsi che sono presenti anche se il corpo non ne sa nulla. Poniamo che a pigiare il tasto, infatti, sia stata una neonata, che casualmente abbia appoggiato la mano sulla tastiera, e abbia così prodotto una stringa di lettere sul monitor. La neonata non sa nulla di questa immensa tradizione che ha portato dalle prime iscrizioni grafiche (che risalgono a più di cinquemila anni fa) fino alla tastiera del computer con cui sta giocando, tuttavia questa tradizione esiste anche se lei non ne sa nulla, perché senza di essa non avrebbe potuto 'scrivere' la sua prima 'frase' scritta, di cui forse un adulto premuroso proverà a indovinare il senso.

Ecco cos'è il dualismo, in definitiva, la scoperta del fatto che l'animale umano – infatti la specie Homo sapiens non smette mai di essere una specie animale come le altre, e in questa sua doppia condizione, insieme corporea e artificiale, risiede la sua ambigua innaturale naturalezza – non sta mai semplicemente al mondo come può fare una zecca o una nuvola, in modo diretto e immediato, ci sta piuttosto sempre in modo indiretto e mediato. È il motivo per cui Cartesio ha potuto sostenere la tesi – che oggi è così aspramente criticata da tutti – che l'essere umano è prima di tutto un essere pensante, un cogito appunto, un vivente che anche quando sente il mondo lo sente, in realtà, attraverso le categorie del pensiero e del linguaggio (che in larga misura, almeno nel caso umano, coincidono).

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Ora succede che la tesi del dualismo è da qualche decennio sotto attacco (con esiti, se dobbiamo essere sinceri, complessivamente deludenti) da parte dei sostenitori di quello che possiamo chiamare, senza scendere in troppi tecnicismi, del monismo, la tesi contraria secondo cui, invece, non c'è alcun dualismo fra mente e corpo, nel mondo c'è una sola sostanza, quella materiale. Il corpo tocca direttamente il mondo, la mediazione concettuale si può mettere fra parentesi, prima del cogito c'è la potenza originaria del corpus. La moda è questa, ma come tutte le mode prima o poi passerà (sta già passando, come quella del new materialism di cui non si sente già più parlare), perché il cogito è tenace e Cartesio se la ride di tutti questi frettolosi monismi. Il punto è che tutto questo parlare di corpo e natura, ad esempio, non smette di essere un discorso sul corpo e la natura, non smette cioè di essere una rappresentazione del corpo e della natura; e che cos'è una rappresentazione se non una forma di dualismo? Non basta auspicare una relazione diretta con il mondo, perché lo schermo concettuale e linguistico è sempre all'opera, anche e soprattutto quando non ce ne accorgiamo (l'inconscio, per Lacan, coincide con il linguaggio. L'inconscio, che non è ciò che non sappiamo, bensì il fatto stesso che non sappiamo che c'è un mondo mentale che sfugge alla coscienza).

È in questo contesto che si colloca La teoria del navigatore solitario, di Gilles Grelet (Luiss University Press, 2024), un libro del tutto inattuale, un libro che difende l'indifendibile posizione del dualismo nel tempo del monismo e dell'immanenza (che è un altro concetto molto di moda nella politica e nella filosofia contemporanea). "Il mondo? No grazie. Ci sono, ma non ne sono parte" (p. 101), così chiarisce la sua posizione Grelet. Puro dualismo, appunto. Ma perché non fa parte del mondo? Perché il soggetto umano, affermando sé stesso come pensiero – come cogito, Cartesio è una montagna difficile da scalare – nello stesso tempo si tira fuori dal mondo, perché definisce sé stesso come qualcosa di separato dal mondo. In questo senso il soggetto sta nel mondo (e dove altro potrebbe stare?, l'umano è un animale qualunque), ma contemporaneamente attesta la sua distanza dal mondo, perché pensa il mondo, e che cos'è il pensiero se non una radicale operazione di distanziamento dal mondo? Da qui anche il modello del navigatore solitario (Grelet vive da dieci anni su una piccola barca che veleggia sui mari antistanti alle coste della Bretagna), che è solitario proprio perché tirarsi via dal mondo significa essere soli, c'è il navigatore e tutto il resto del mondo, la barca e il mare, un radicale e semplicissimo dualismo: "Navigare è padroneggiare tutto, avere padronanza totale della propria imbarcazione (altrimenti si è votati alla catastrofe, grande o piccola che sia), e allo stesso tempo essere pienamente padroneggiati, da parte a parte giocattoli di un’onnipotenza. Né l’uno né l’altro, né un compromesso tra i due: entrambi allo stesso tempo. La navigazione è solo del Due" (pp. 116-117). È la forza, insormontabile, del Due. C'è il navigatore sulla sua nave, e c'è di contro l'immensa distesa dell'oceano, e quindi del mondo. La coscienza del navigatore è nel mondo, ma non coincide con il mondo, per questo "essere solo non vuol dire essere uno, ma due" (p. 126). Appunto, c'è il due, ci sono il navigatore e il mare, non è possibile ridurre a unità questa dualità fondamentale.

Allo stesso tempo, e questo è un aspetto della Teoria del navigatore solitario ancora meno attuale, Grelet soffre della sua condizione di separatezza dal mondo. Il mondo è due, è vero, ma quanta nostalgia per l'uno si può trovare in questo libro! Un uno che non si può ovviamente raggiungere, perché il mondo è appunto due, ma questo non impedisce di provare a fare uno del due, senza però smettere nemmeno per un secondo di abitare quella distanza originaria dal mondo che separa – ma allo stesso tempo unisce – la nave dal mare. Nel testo di Grelet la parola "mistica" compare solo una volta, in una nota, senza avere alcuno sviluppo all'interno del libro. Tuttavia che cos'è l'esperienza mistica se non fare esperienza dell'uno rimanendo all'interno del due? "Come il nomade, il navigatore solitario è immobile, nella misura in cui non si pone la questione dell’inizio e della fine del viaggio, non avendo altro scopo che restare dove si trova, sull’acqua, e non spostandosi mai se non per restarvi, per disporre dei mezzi per restarvi" (p. 114). Il navigatore solitario sta sempre in movimento, tuttavia non esce mai dal mare, rimane cioè sempre nel due, nell'opposizione rispetto al mondo. Il suo navigare non è diretto verso una meta, come se da qualche parte ci fosse un posto dove ci si potesse dire a casa (dove finalmente il due diventa uno, e rimarrebbe solo il mondo); al contrario, si tratta di abitare il due, cioè il mare, come se fosse l'uno, perché "abitare un luogo vuol dire essere messi alla porta di casa propria" (p. 84). Il mondo non è la nostra casa, perché il mondo è due, è dualismo, e noi siamo estranei al mondo; tuttavia, ed è proprio in questa radicale inattualità il merito principale del libro, quel mondo da cui non si può che esser messi alla porta è anche una, per quanto inappropriabile, "casa propria". Possiamo dirci a casa solo nel luogo da cui siamo stati cacciati: "la navigazione non attraversa il cerchio del mare se non per dimorarvi; [...] Radicale, la navigazione è una traversata senza uscita" (116). Non si esce dal mondo, anche se non ne facciamo parte. Occorre, è questa la pulsione mistica sottaciuta che popola queste pagine, soltanto attraversare la nostra insuperabile separatezza dal mondo. Ecco perché, infine, non c'è "nulla di più esatto e più tangibile del mistero, che è l’essenza della navigazione" (p. 116). Abitare quel mistero, ossia non smettere di cercare l'uno nel due, anche se nel mondo non c'è che il due.

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TAGGED: Gilles Grelet