Sebastian Freire e i corpi debordanti

16 Ottobre 2024

È del corpo, che il potere – economico, politico, sanitario – non smette di preoccuparsi e occuparsi. Di suo il corpo sarebbe, invece, sempre libero, perché il corpo sente ed esplora, tocca ed è toccato, si mischia e si confonde (i corpi infettano e sono infettati, questo fanno i corpi; e per questo sono vivi). Per questa ragione esiste quello che Lacan definisce, nel Seminario XVII. Il rovescio dell’analisi (1969-1970), il “discorso del padrone”, cioè il dispositivo sociale, teorico e pratico, che mette al lavoro il corpo umano per estrarne quello che Marx aveva chiamato il plusvalore, cioè il valore eccedente rispetto alla somma di tutti i fattori di produzione. Il capitalismo, è questo in fondo il discorso del padrone, si basa sulla massimizzazione del plusvalore, ossia dello sfruttamento – nel senso tecnico di capacità di estrarne valore – del corpo del lavoratore.

Il capitalismo, ossia il sistema sociale che domina il mondo (compresa la Cina comunista, che quindi non è chiaro in che senso possa dirsi comunista), si basa su questa radicale subordinazione del corpo al dispositivo del padrone per il quale l’unico corpo ammesso è quello che produce plusvalore, ossia il corpo che ‘accetta’ di subordinare il suo godimento a quello del capitale (“Chi non lavora non fa l’amore” diceva una vecchia e pretesca canzone di Celentano del 1970, curiosamente lo stesso anno del seminario più libertario di Lacan: puoi godere solo se prima hai fatto godere il padrone. Ma siccome il padrone vuole sempre più plusvalore, di fatto non goderai mai).

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Ma che cosa significa, propriamente, che il godimento del corpo è asservito al discorso del padrone? Significa che il corpo deve adattarsi al dispositivo lavorativo, ossia che il corpo, per poter accedere al proprio godimento, deve assoggettarsi al sapere tecnico-pratico che lo mette al lavoro, cioè che lo sfrutta. Solo dopo avere prodotto più di quanto il suo lavoro costa al padrone, cioè appunto il plusvalore, il corpo potrà finalmente godere di sé (se ha ancora voglia e forza per farlo). Questo significa, allora, che il corpo, ossia la sua stessa costituzione cognitiva e anatomica, deve adattarsi ai bisogni del dispositivo del padrone (fino al punto di dover urinare nelle bottigliette per non perdere tempo andando in bagno, ciò che accade negli immensi magazzini delle grandi catene di distribuzione delle merci, come testimoniato da diverse inchieste giornalistiche; v. ad esempio l’articolo di Fabio Rampelli del 22/3/21 sul Secolo d’Italia). Cervello braccia mani e finanche vescica devono essere messi a regime per massimizzare la produzione del plusvalore. Il corpo umano, per non parlare di quello degli animali non umani, è letteralmente una fabbrica che produce incessantemente plusvalore.

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Per questa ragione è il corpo la posta in gioco del discorso del padrone, un corpo quanto più possibile – come si dice comunemente, con una formula il cui carattere lugubre e servile non sembra invece destare preoccupazioni – performante, ossia veloce ed efficiente. Il corpo migliore è infatti quello che sopporta senza fare storie di essere spremuto al massimo per produrre plusvalore. Il corpo migliore è quello che lavora senza interrompersi (come visto neanche per andare a fare la pipì), un corpo felice di essere una risorsa per il discorso del padrone. Si comprende così perché la questione dei corpi sia la questione centrale del nostro tempo, e non solo e non tanto dell’economia, ma dell’intera vita sociale. Perché se i corpi non accettassero di essere messi al lavoro, se non accettassero cioè di essere corpi performanti e soddisfatti di non essere altro che risorse da sfruttare, l’intero dispositivo del padrone si arresterebbe. Parlare di corpi, allora, non significa – come ingenuamente si pensa – parlare semplicemente di emozioni e affetti, significa piuttosto occuparsi della vita degli esseri umani, del loro godimento e della loro capacità di amare. Il discorso del padrone ha assoluto bisogno di corpi ben disposti a farsi usare per produrre plusvalore. 

Ma che succede, invece, se questi stessi corpi si ribellano al discorso del padrone, se rifiutano la condizione di macchine da plusvalore, se non accettano più di essere oggetti del discorso del padrone? Che succede se i corpi si ribellano? Il discorso del padrone funziona solo se il corpo non è un corpo autonomo, solo se il corpo non è altro che il corpo di quello che Lacan chiama il soggetto barrato ($), cioè il soggetto schiacciato sotto il significante padrone. Per liberare il corpo dal discorso del padrone occorre anche liberarlo dal $, cioè dal soggetto che non desidera altro che essere parlato e controllato dal discorso del padrone. 

Sono questi corpi che ci fissano sicuri e sfrontati nelle fotografie, allo stesso tempo affascinanti e terribili, del fotografo argentino Sebastian Freire, nella personale Corpi senza padrone (a cura di Daniele Balicco e Nicola Brucoli, fino al 25 ottobre presso Parentesi – Roma Smistamento/TWM Factory). I corpi in mostra sono corpi mutilati, corpi ibridi in transizione (da donna a uomo), corpi transessuali, corpi eccessivi, debordanti, corpi beffardi, corpi sfasciati dalla vecchiaia, corpi anoressici, corpi orgogliosamente corpi. Perché questo sono soprattutto i corpi, quando si sono liberati del padrone, corpi semplicemente corpi. Improvvisamente li possiamo vedere non come strumenti del lavoro, come risorse, e neanche come esempi di bellezza o orrore. Tutte queste classificazioni, che non sono altro che corollari del discorso del padrone, cessano di esistere nel momento esplosivo in cui questi stessi corpi si liberano dal giogo tanto del $, cioè del soggetto barrato e schiavo, quanto del padrone: ora ci sono solo dei corpi, incontrollabili, indicibili, irriducibili. Perché il corpo esplode, quando può essere, finalmente, soltanto un corpo.

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Quelli di Freire non sono nemmeno corpi che, come vuole uno stucchevole luogo comune, comunicano in modo non verbale. Questi corpi non hanno proprio niente da dire (il corpo comincia dove il linguaggio si arresta), sono soltanto corpi, per questo sono scandalosi, perché non si prestano non solo al discorso del capitalista, ma nemmeno a quello del prete e tantomeno (ahimè, se si pensa che la psicoanalisi era nata con la scoperta della sessualità infantile perversa e polimorfa) a quello dello psicoanalista, che oggi sembra solo preoccupato a tracciare limiti e a attribuire un senso ai corpi e ai suoi affetti. Perché questi corpi non sanno che farsene del senso.

I corpi sono insensati, per questo sono corpi. Sono allora corpi scandalosi, cioè corpi senza vergogna. Questi corpi, scrive infatti Daniele Balicco, nel suo testo “Capovolgere la vergogna”, “ci obbligano a riorientare il nostro pudore. Vergogniamoci di quella parte di noi stessi che ciecamente si sottomette a quel potere ‘civilissimo’ che ci sta rubando la vita. E invece proviamo gioia e orgoglio per quell’altra parte di noi che ancora lotta per salvare qualcosa del nostro essere animali che sognano un cosmo per tutti. Dove ognuno possa essere libero senza paura”. È questa la posta in gioco, essere liberi senza paura. Divenire il corpo che non ci si è mai permessi di essere. Corpi, finalmente. 

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