Un pieno di vuoto
C’è una storia famosa, nella raccolta 101 Storie Zen curata da Nyogen Senzaki e Paul Reps (Adelphi), intitolata “Pioggia di fiori”: “Subhuti era discepolo di Buddha. Era capace di capire la potenza del vuoto, il punto di vista che nulla esiste se non nei suoi rapporti di soggettività e di oggettività. Un giorno Subhuti, in uno stato d'animo di vuoto sublime, era seduto sotto un albero. Dei fiori cominciarono a cadergli tutt'intorno. ‘Ti stiamo lodando per il tuo discorso sul vuoto’ gli mormorarono gli dèi. ‘Ma io non ho parlato del vuoto’ disse Subhuti. ‘Tu non hai parlato del vuoto, noi non abbiamo udito il vuoto’ risposero gli dèi. ‘Questo è il vero vuoto’. E le gemme cadevano su di lui come una pioggia”.
Che cos’è che Subhuti, discepolo di Buddha, in uno stato d'animo di vuoto sublime ha compreso mentre era seduto sotto un albero? Ovviamente non si può rispondere a questa domanda, perché ogni risposta tradirebbe e renderebbe banale quella stessa illuminazione. Tuttavia per provare almeno a farsi una idea di quello che può essere passato per la sua testa, e per quella degli dèi che gli mormorano delicatamente nelle orecchie, può essere utile un libro di uno scienziato, un fisico, Guido Tonelli, che ha scritto Materia. La magnifica illusione (Feltrinelli 2023). Perché solo per uno sciocco la scienza costituisce la smentita della prospettiva del sacro. Un libro vertiginoso, che in molti punti potrebbe benissimo essere preso per una raccolta di storie zen.
Partiamo proprio dalla materia, da ciò che per i materialisti – cioè coloro che credono che nel mondo ci sia solo materia (anche il materialista è un uomo di fede, in fondo) – c’è di più saldo e indubitabile. All’inizio c’è la materia, appunto. Ma che cos’è la materia? “La materia è fatta di particelle che interagiscono fra loro scambiandosi altre particelle” (p. 50). La materia è fatta di altra materia, e di nient’altro che di materia. La materia è fatta di interazioni materiali. Cioè non è qualcosa che è, ma qualcosa che fa. Perché sono le interazioni fra particelle che fanno la materia. Non è l’essere che fa qualcosa, ma il fare che fa la materia. Ma questo comunque significa che la materia, sia, per così dire, piena di materia? Non è proprio così: “Ecco che l’atomo risulta fatto in larga parte di vuoto. Se espandessimo un atomo di idrogeno fino a fargli raggiungere le dimensioni di uno stadio di calcio, il protone che forma il suo nucleo centrale sarebbe grande come una formica piazzata al centro del campo, mentre l’elettrone gli girerebbe attorno sull’ultima gradinata” (p. 56). La materia non è piena, allora. In realtà è quasi vuota. Sembra proprio una storiella zen, il pieno fatto di vuoto, o di un quasi vuoto. Subhuti si troverebbe a proprio agio con questa storia.
Questo non toglie, risponde il materialista che è in tutti noi, che la materia sia qualcosa, e che questo qualcosa se ne sta lì, a fondamento di tutto il resto, la roccia su cui poggia tutto il mondo. Ma Tonelli, il fisico quasi zen, non ci lascia nemmeno questa certezza, perché la materia, la solida materia, al livello subatomico non è che sia così solida, così rocciosa: “protoni e neutroni localizzati all’interno di un nucleo si muovono incessantemente, vibrano e oscillano di continuo, e questa agitazione riduce fortemente il grado di coesione dei nuclei, soprattutto di quelli più pesanti. Il comportamento della materia nucleare, nonostante l’enorme intensità delle forze coinvolte, somiglia per certi versi a un liquido ad alta densità” (p. 65). Cercavamo la roccia e troviamo invece l’acqua. È come se, paragonando la materia a una città, questa non sarebbe come Matera, la città scavata nella roccia, ma fosse più simile a Venezia, l’onirica città le cui fondamenta affondano nel mare.
Ma ci rimane comunque la massa, la materia ha una massa, su questo non c’è niente da dire: “qualunque oggetto materiale ha una massa, per cui essa è sempre stata considerata una proprietà intrinseca dei corpi. Nessuno si è mai posto la domanda se fosse una proprietà acquisita, cioè non originaria” (p. 95). I corpi hanno massa, punto, questo ci dice il nostro sano e fondamentale materialismo. Cioè i corpi hanno una massa perché sono corpi, la loro massa non dipende da nient’altro che dal fatto che sono corpi. Anche in questo caso, però, Tonelli lo scienziato zen, deve deludere la nostra aspettativa perché la massa “non è più un attributo statico, ma mutevole, cangiante e intimamente collegato alla dinamica dei corpi materiali” (p. 95). Non è che i corpi materiali hanno una massa, perché “la massa non è una proprietà intrinseca della materia, ma la conseguenza di una dinamica” (p. 99). La materia è qualcosa che succede, non qualcosa che è. All’inizio non c’è l’essere, piuttosto è il divenire che dà vita all’essere. Ma allora potrebbe anche darsi che l’essere non succeda. Si vede così, fra l’altro, che quelli ossessionati dalle ultime ricerche scientifiche sono sempre in ritardo rispetto a quello che uno come Subhuti, e i Subhuti di tutti i tempi, hanno sempre saputo, che il mondo è più complicato di come sembra, che il mondo è una infinita fantasmagoria. Oppure che è molto più semplice di come appare. La scienza scopre tante cose, ma su alcuni punti fondamentali ci si era arrivati anche prima della scienza. Torniamo alla materia, a questo punto. Che non è così massiccia come ci piacerebbe che fosse. Ma questo vuol dire, forse, che la materia sia sostanzialmente vuota? Tonelli ci sorprende ancora una volta, da buon maestro zen: in realtà “il vuoto non è vuoto” (p. 97), il che forse non vuol dire altro che le parole con cui cerchiamo di rassicurare le nostre paure sul mondo non colgono mai la verità delle cose. Che cos’è che c’è, allora, se il pieno sembra vuoto, ma il vuoto in realtà non è davvero vuoto?
“Il vuoto è pieno di fluttuazioni; per un istante, un tempo compatibile con il principio di Heisenberg, in esso può comparire una coppia particella-antiparticella che sarà riassorbita subito dopo. Sul piano microscopico il vuoto ribolle, produce di continuo una specie di schiuma sottile, una sarabanda di finissime bollicine, minuscole porzioni di spazio-tempo, nelle quali sopravvivono, per un istante infinitesimo, coppie di elettroni e positroni o di altre componenti di materia e antimateria. L’energia media sarà zero, ma il valore nullo nascerà da un’infinità di stati che si discostano dal valore medio. Grazie a questo meccanismo un’infinitesima fluttuazione del vuoto può riempirsi di inflatoni e dare origine a un universo materiale” (p. 156).
Siamo nel campo della scienza, eppure sembra essere nel mondo di Subhuti; che cos’è, infatti, una “fluttuazione del vuoto” se non la messa radicale in questione della distinzione fra pieno e vuoto, fra ciò che c’è e l’assenza di qualunque entità: “‘Tu non hai parlato del vuoto, noi non abbiamo udito il vuoto’ risposero gli dèi. ‘Questo è il vero vuoto’”. Tonelli ci porta avanti in questo universo così diverso dal modo comune, pieno e pesante, di pensarlo, allo stesso tempo affatto moderno e incredibilmente antico: “il nostro universo”, prosegue sconcertandoci, “è una forma di vuoto” (p. 159). La conseguenza più controintuiva di questa affermazione è che cade il nostro radicato bisogno di cercare, all’inizio dei tempi, un evento straordinario, l’evento originario. Se l’universo è un modo di darsi del vuoto, allora prosegue Tonelli, “non c’è più bisogno di cercare una sorgente di energia immensa” – quella che sarebbe stata appunto all’origine di tutto – “se si deve cercare una sorgente di energia nulla” (p. 159). Il nulla è, appunto, un nulla, non c’è bisogno di evento eccezionale per dare origine al nulla, “la cosa può avvenire spontaneamente proprio perché non richiede alcun dispendio di energia. Il Big Bang è stata una chiassosa trasformazione di uno stato di vuoto in un altro stato di vuoto, equivalente al primo; una grande metamorfosi, non richiedendo energia, può avvenire gratuitamente e procedere nel tempo per migliaia di anni” (pp. 159-160).
Subhuti ha scoperto infine il vero vuoto. Una scoperta che è una liberazione ma anche fonte di una grande letizia, è che “tutto, ma proprio tutto, non è altro che una forma di vuoto” (p. 179). È una liberazione perché se “il mondo materiale è fatto di vuoto” (p. 180) non c’è nessun motivo per attaccarsi alle cose, e nemmeno a sé stessi, dal momento che il sé non è certo più pieno del mondo materiale. Ma è anche una grande letizia, perché coincide con la scoperta di una libertà radicale, la libertà di chi non ha più paura del mondo, perché il mondo, in fondo, non esiste. Ma non tutto svanisce (il vuoto, come abbiamo visto, non coincide con un totale non essere), perché rimangono gli dèi e la pioggia di fiori.