Addio a Berlino 3
7.
Mai sentito parlare di Marzahn, nei primi anni ottanta fiore all’occhiello della Repubblica Democratica Tedesca? Immaginate un “Nuovo Corviale” da centocinquantamila appartamenti e quattrocentomila abitanti, mixatelo con le “Vele” di Scampia e il gioco è fatto. Caduto il Muro, è stato un fuggi fuggi generale. Nei primi anni novanta il neonazismo berlinese è nato lì.
Oggi – miracoli del welfare tedesco – è stato ‘bonificato’ ed è tornato ad essere un quartiere vivibile, se non appetibile, sedato da uno dei centri commerciali più ampi e onnicomprensivi della città, l’Eastgate, un nome da Mille-e-una-notte. Cinema, negozi, ristoranti che coprono l’intero arco della gastronomia mondiale. Perché andare in centro, se si ha tutto sotto casa e la piazza si è convertita in un immenso emporio coperto, tra le cui pareti non ti accorgi neppure se nevica o c’è il sole? Qui il cielo sopra Berlino e relative ali del desiderio, oggi, paiono non interessare nessuno.
Marzahn Eastgate
Ma andiamo con calma e con rispetto, perché il progetto residenziale di Marzahn – avviato il 13 aprile del 1977 sulla base di una visione sociale a dir poco utopica e portato a termine nel 1990 – ha trasformato irreversibilmente i comuni di Marzahn, Hohenschönhausen, Biesdorf, Hellersdorf, Kaulsdorf e Ahrensfeld, vale a dire il profondo est di Berlino. Dove prima c’erano terreni coltivati, prati, foreste, paludi e rari abitanti si è insediato il più vasto complesso abitativo d’Europa: un paesaggio semi-urbano di centinaia di edifici di grandi dimensioni, perfettamente simmetrici, monolitici e quasi identici, costruiti in quattro e quattr’otto grazie all’uso di pannelli prefabbricati in cemento. Qui li chiamano Plattenbau: rapidità, funzionalità, e soprattutto appartamenti monofamiliari con tanto di cucina e bagno privati per tutti. E strade ampie e diritte, tram, giardini e parchi giochi, scuole e palestre.
La Berlino devastata dalla Seconda guerra mondiale e dallo sfregio del Muro aveva bisogno come dell’aria di nuove infrastrutture abitative. Marzahn tuttavia, nella mente dei pianificatori della DDR, è ben più che la risposta a una necessità primaria. È il sogno di cancellare il passato e di inventarsi un futuro in cui non resti traccia delle vecchie abitudini e dei vecchi stili di vita. Il fatiscente palazzo a quattro piani del centro cittadino – disagevole e angusto, e tuttavia carico di memoria e nemico della privacy – cede il passo all’anonimato dei casermoni di cemento dove tutti sono soli, isolati proprio dal confort implicito nella struttura rigorosamente sorvegliabile e tuttavia anomica dei mammut architettonici.
1978, Berlino-Prenzlauer Berg (©Harald Hauswald) 1982, Berlino-Marzahn (© Harald Hauswald )
Dopo la caduta del Muro, a partire dalla metà degli anni novanta, si assiste a un fenomeno di segno contrario. Mitte, Prenzlauer Berg, Friedrichshain, i quartieri della Berlino orientale evacuati negli anni ottanta in nome di un futuro migliore, si vanno ripopolando e oggi sono il trionfo della gentrification. Una Svizzera in città!
Prenzlauer Berg, tanto per fare un esempio, ha il tasso di natalità più alto d’Europa. Ci nascono solo bambini ricchi ai quali non si fa mancare niente, ma proprio niente. A occhio non si direbbe tuttavia che le famigliole eterosessuali e dal forte impulso riproduttivo di questo quartiere abbiano lasciato genitori e nonni a Marzahn. Viene da pensare piuttosto a quella comunità cosmopolita – benestante, occidentale e senza colore – che compra casa dove la qualità della vita è migliore e l’investimento più sicuro. Non a caso le lingue ‘straniere’ più parlate in zona sono l’inglese e l’italiano.
2013, Berlino-Prenzlauer Berg, (© Maria Nadotti)
8.
Chissà come sarà Prenzlauer Berg tra una decina d’anni. Oggi ci sono due o tre asiletti per isolato e una pletora di ambulatori pediatrici, bar per la prima infanzia, negozi di giocattoli, libri e vestiti per bimbi sotto i sei anni. Il personaggio più inquietante della zona è senz’altro la mutter di due o tre pargoli, spesso gemelli, in età prescolare. La padronalità con cui invade il suolo pubblico e privato con passeggini da sbarco ha come unico possibile raffronto la colona israeliana nei Territori occupati di Palestina. È lì per diritto divino e lo spazio le appartiene.
A temerla sono soprattutto le pazienti cameriere degli infiniti bar e ristoranti della zona, che rischiano di inciampare in un lattante che gattona libero sotto i tavoli o di schiacciarne un altro sotto gli occhi impassibili-estatici della madre di turno. Non a caso lesbiche e gay senza smanie parentali non abitano più qui.
9.
I muri, a Berlino, sono un vivace, parlante tatzebao, una sorta di ininterrotto e mutevole murale, forse il veicolo di informazione più prezioso e efficiente che ci sia. Ai ventenni e trentenni bottiglia-di-birra-in-mano è dedicata la più pervasiva campagna pubblicitaria della città. Working title: stordiscili col luppolo! Le varianti sono infinite, ma la sostanza è una sola: Berlino val bene una birra oppure una birra val bene Berlino!
Accanto agli annunci pubblicitari le locandine di spettacoli, concerti, film, iniziative politiche e sociali, partite di calcio, corsi, laboratori, seminari, inaugurazioni, festival e festicciole di quartiere si avvicendano a ritmi vorticosi, ma ordinati. Nessuno ruba il posto a nessuno e nessuno si sogna di coprire il manifesto di qualcun altro.
La campagna elettorale federale che sfocerà nel voto del 22 settembre prossimo, per esempio, non sporca, non inquina, non offende, quasi non si vede. Invece dei manifesti-lenzuolo spalmati malamente gli uni sugli altri tipici delle nostre città, qui razionalità, discrezione e coscienza della provvisorietà fanno sì che il messaggio politico si riduca a piccoli cartelli cartonati appesi piuttosto in alto ai pali stradali. Vi figurano il volto e il nome del candidato, la sua affiliazione politica e un breve slogan. Unica eccezione, i Pirati, che al viso del candidato sostituiscono di tanto in tanto una mucca, un bambino, un adolescente.
E straordinaria, proprio in questi giorni, la campagna iconografica femminista e antirazzista targata “Migrantas”. Dietro c’è il lavoro di decine di nuove berlinesi – arabe, turche, albanesi, moldave, africane, indiane, latine – che hanno provato a raccontarsi le une alle altre e poi alla città attraverso parole e disegni trasformati a poco a poco in soavi e inequivocabili pittogrammi. L’amministrazione locale sta ospitando il frutto del loro lavoro collettivo nel municipio cittadino, la Rotes Rathaus, a due passi da Alexander Platz.
Se le nostre giunte volessero ispirarsi a questa iniziativa semplice, ma da noi tuttora avveniristica, il sito da consultare” è: www.migrantas.org