Impossibili visioni / Tempo breve
La contrapposizione tra gli apocalittici e gli integrati non è molto convincente. È schematica e semplifica enormemente la realtà delle cose. Eppure, forse proprio per questo, ha avuto negli scorsi anni un notevole successo e continua ad essere largamente impiegata ancora oggi. Com’è noto, tale contrapposizione deriva dal titolo del libro Apocalittici e integrati che è stato pubblicato da Umberto Eco nel 1964. Lo stesso Eco non era convinto della bontà di questo titolo e ha raccontato che gli era stato sostanzialmente imposto dall’editore Valentino Bompiani. Mettere gli apocalittici contro gli integrati può essere a prima vista convincente, ma non permette di analizzare efficacemente l’articolazione e la complessità della cultura di massa contemporanea. Per questo motivo non mi identifico nell’etichetta di apocalittico. Non mi riconosco cioè in quanto hanno recentemente sostenuto le curatrici del volume Il tempo breve: narrative e visioni (Iacobelli editore).
Per Monica Luongo e Giuliana Misserville, infatti, io sarei un apocalittico. Ma se ho scritto, come ho affermato in un passo da loro citato, che “anche tutti gli altri media, a cominciare da Internet, tendono a modificare la nostra percezione del tempo. Infatti, determinano un effetto di natura paradossale: in apparenza promettono di raggiungere la simultaneità e l’istantaneità, ma in realtà proiettano in una dimensione che è quella del già avvenuto” (p. 14), è perché ho cercato di descrivere in maniera oggettiva i principali effetti che i media stanno producendo attualmente su una dimensione cruciale della nostra esistenza come quella temporale. D’altronde, è stato dimostrato da parecchio tempo all’interno di una vasta letteratura scientifica sugli effetti sociali prodotti dai media che questi ultimi modificano costantemente la nostra cultura e la nostra percezione della realtà. Vale a dire che, come è stato sostenuto già da Marshall McLuhan negli anni Sessanta, possiamo essere certi che “Tutti i media ci investono interamente. Sono talmente penetranti nelle loro conseguenze personali, politiche, economiche, estetiche, psicologiche, morali, etiche e sociali da non lasciare alcuna parte di noi intatta, vergine, immutata. Il medium è il massaggio”.
Una prospettiva di questo tipo sembra essere stata condivisa anche da Monica Luongo e Giuliana Misserville nel libro citato. Un libro che si basa principalmente sul tentativo di raccogliere delle riflessioni di un gruppo di studiose e letterate in merito alle profonde modificazioni che sta subendo la nostra percezione del tempo. Riflessioni che muovono innanzitutto dalle tracce riscontrate all’interno dei prodotti culturali che ci circondano e che appartengono all’ambito della letteratura, ma anche a quelli dell’arte, del cinema e delle serie televisive.
Da tali riflessioni emerge principalmente come il “tempo breve” sia la forma che caratterizza la temporalità delle attuali società ipermoderne. E come la sua diffusione sia strettamente legata al ruolo rivestito dai media e in particolare dai recenti media digitali. Oggi, in effetti, il tempo sembra scorrere più velocemente e soprattutto sembra perdere progressivamente di definizione. Assomiglia sempre più a quel concetto di “tempo senza tempo” che è stato formulato tempo fa dal sociologo catalano Manuel Castells. Non è un caso pertanto che nella narrativa contemporanea si trovino diversi esempi di romanzi costruiti su una concezione spiraliforme del tempo. È il caso, ad esempio, della quadrilogia di L’amica geniale di Elena Ferrante e di La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker. E tra i romanzi contemporanei si trovano anche quelli distopici scritti da Margaret Atwood, Dave Eggers e Jonathan Franzen, nei quali il futuro viene rappresentato come qualcosa che non è nuovo, ma si è già presentato in precedenza. La letteratura mostra cioè di voler imitare quel modello che è stato proposto da diversi anni da parte della serialità televisiva e delle saghe cinematografiche di maggior successo, come Star Wars e Harry Potter. Un modello cioè nel quale i principali personaggi sono dotati di un’identità chiara e facilmente identificabile, ma che evolve progressivamente di puntata in puntata. Siamo di fronte perciò anche a quello che potremmo definire un “finto tempo breve”, con storie che sembrano chiudersi alla fine di ogni puntata, mentre in realtà si sviluppano su un lungo arco temporale.
Resta il fatto che il “tempo breve” tende in misura crescente a diffondersi. È sempre più presente cioè una contrazione della dimensione temporale, in cui il passato e il futuro vanno progressivamente ad assomigliare al presente. Si tratta però di una contrazione preoccupante, perché sintomo di una incapacità degli individui che vivono all’interno del mondo occidentale, scrittori compresi, di immaginarsi all’interno di un mondo differente da quello in cui vivono.