Un’altra repubblica. Palcoscenici con i disabili

4 Maggio 2015

Una danzatrice di fama internazionale danza assieme ai disabili

 

Natsu Nakajima è un’esponente importante della seconda generazione del mondo del Butoh, una dei diretti discepoli di Tatsumi Hijikata e di Kazuo Ono, i leggendari fondatori di questa disciplina d’avanguardia giapponese. Trasferitasi a New York prima di compiere 40 anni, per oltre dieci anni si è esibita attivamente sui palcoscenici di tutto il mondo. Ma nonostante i molti successi e riconoscimenti, dopo anni di attività artistiche dove la perfezione richiesta era unicamente sul piano estetico, si sentì svuotata e circa vent’anni fa ha fatto rientro in patria. Da allora, accanto alle sue ricerche coreografiche, ha cominciato a insegnare danza a persone portatrici di handicap.

 

 

Perché una danzatrice riconosciuta nel mondo si mette a lavorare con i disabili? In realtà scopriamo in questa sua scelta una sorprendente coerenza di ricerca corporea.

 

Una scena della lezione del Corso per la Mente e per il Corpo di Yotsuya. Nakajima sta dando indicazioni per la ginnastica delle dita. Tutto viene accompagnato da ritmiche parole infantili

 

Il corso per la Mente e per il Corpo

“Il corso per la Mente e per il Corpo”, che Natsu Nakjima ha avviato secondo i dettami di Wolfgang Stange, autorità in questo campo, è strutturato intorno a tre pilastri. Il particolare approccio di Nakajima prevede che la classe non sia mai composta unicamente da disabili. Anche se il target principale sono persone con disabilità mentali, come ragazzi affetti da ritardo mentale, sindrome di Down o autistici, Nakajima, seguendo ancora i consigli di Stange, crea sempre una classe dove si mischiano disabili e non disabili.

 

Il primo pilastro è costituito da “esercizi di rilassamento per il benessere”. L’aspetto particolare di questa fase è che tutti i partecipanti recitano insieme a Nakajima suoni onomatopeici che sembrano provenire dagli stessi movimenti compiuti e dai massaggi praticati. Suonano come “goshi goshi” (onomatopeica per i suoni di strofinamento delle mani che massaggiano il corpo), “yura yura” (onomatopeica per il dondolamento) ecc. L’uso di queste onomatopee infantili è stato individuato da Nakajima (forse inconsapevolmente) per trovare un linguaggio comune tra disabili e non disabili. La morbidezza di questo linguaggio, assieme al massaggio praticato, allenta le tensioni accumulate nel corpo di persone poco avvezze al contatto fisico e risveglia in esse un sentimento giocoso senza che quasi se ne accorgano.

 

Mentre i partecipanti si cimentano in questi esercizi, è già iniziata anche la pratica del secondo pilastro, denominato “gioco e lavoro in gruppo”. Una pratica come “Boxe (pugilato) schiena contro schiena”, dove gruppi di due o tre partecipanti seduti per terra si spingono schiena contro schiena, ci porta, attraverso contatti fisici molto giocosi, a un livello di comunicazione generalmente molto carente nella vita quotidiana. Secondo Nakajima, molti tra i disabili mentali si rivelano geniali nella comunicazione, e spesso i partecipanti non disabili hanno molto da imparare da loro.

 

Il terzo pilastro è “danzare improvvisando liberamente”: qui i partecipanti inventano liberamente delle danze su vari temi. Per esempio, il tema denominato “il direttore e le macchine copiatrici” è tra i preferiti di Ryo, un ragazzo affetto da sindrome di Down che frequenta il corso di Yotsuya, a Tokyo. Nel giorno in cui ho assistito alla loro lezione, Ryo non sembrava mostrare alcun interesse ai massaggi e ai rilassamenti della prima fase, ma non appena ha sentito l’ordine di Nakajima “Ora tutti imitino Ryo!”, ha cominciato a tirar fuori uno dopo l’altro da chissà quale bagaglio movimenti e suoni tra i più fantasiosi! Il suo ampio vocabolario di espressività corporea mi ha davvero colpito.

 

Ci sono altri ragazzi come Ryo, molto portati a dirigere, ma secondo Nakajima i ragazzi con la sindrome di Down sono spesso molto bravi nell’imparare le movenze degli altri. Ma al di là dei ruoli, in questa pratica l’aspetto più fantastico di questi ragazzi è la loro spontaneità. Si divertono davvero a danzare, senza alcun senso di inibizione che possa bloccarli. Dice Nakajima: “La creazione parte sempre dal gioco. E poiché i ragazzi disabili sono dei geni assoluti del gioco, spesso ti stupiscono davvero con la loro creatività.” Difatti, nel suo corso il fattore gioco è più importante di ogni altra cosa, e non è mai in questione se uno è bravo o meno a danzare.

 

Racconta Nakajima che quando i ragazzi improvvisano utilizzando oggetti o altro materiale, il loro corpo sente qualcosa e questa sensazione traspare naturalmente attraverso il corpo. E questa, dice, è già una bellissima danza. Quando li ha fatti danzare con un uovo fresco in mano, “loro si rendevano istintivamente conto che si trattava di un essere vivente e le loro mani più tese del solito tenevano l’uovo con la gentilezza di chi tiene in braccio un bebè”.

 

Allo stesso modo, “quando tennero in mano una candela accesa fu un momento commovente”, ricorda ancora Nakajima. Specialmente “durante una festa di Natale, un ragazzo autistico cui normalmente è proibito toccare il fuoco rimase incantato a guardare la fiamma della candela”. Per lei “fu davvero una bellissima danza. Nello sguardo meravigliato del ragazzo, il senso di distanza, vicinanza, paura e gentilezza tremolavano come la fiamma della candela”.

 

A ogni lezione, nel momento di “danzare improvvisando liberamente”, Nakajima dà un tema per danzare tutti insieme. Poiché i disabili mentali sono più disinibiti, riescono a mettersi pienamente in gioco e arrivano spesso risultati davvero creativi

 

Un’altra repubblica

Un’altra repubblica, opera coreografata e messa in scena da Natsu Nakajima, fu finalmente esibita nel gennaio 2009 dopo circa sei mesi di preparazione. In questa opera, che dura circa due ore, tre ragazzi di varie disabilità (sindrome di Down, autismo, ecc.) danzarono assieme a Nakajima e altri danzatori della compagnia Mutekisha. Dice Nakajima: “Il nostro intento era quello di creare un’opera per danzatori professionisti e non abbiamo mai parlato della presenza di persone disabili, nemmeno nella pubblicità”, e infatti in questo spettacolo danzatori professionisti e disabili convivono perfettamente.

 

Le questioni sollevate da ognuna delle tre scene in cui danzano i ragazzi disabili sono molto interessanti. Nakajima sostiene di non aver coreografato nuove scene, ma di aver diretto in modo che le caratteristiche dimostrate dai ragazzi durante le lezioni quotidiane venissero fuori così come sono. La realizzazione di queste tre scene fu possibile proprio perché Nakajima interagisce con i disabili non per scopo terapeutico, anche se questo effetto è poi accertato, o di assistenza sociale, ma solo per dar loro occasione di attività espressiva, perché sostiene che “ognuno ha il diritto di esprimersi”. Se nel campo della terapia o dell’assistenza sociale spesso rimane il paradigma della disparità tra non disabili e disabili, nell’attività espressiva questa disparità si riesce a eliminarla totalmente.

 

Proviamo ora a guardare da vicino queste tre scene, paragonandole anche agli assoli di Nakajima nello stesso spettacolo.

 

Da Un’altra repubblica. Danzatori non disabili seguono i movimenti di Yoshimori, affetto da autismo. Pochi giorni prima del debutto Yoshimori si irrigidì improvvisamente sentendo la tensione aumentata nella prova e non volle più fare nulla. Solo i guanti messi da tutti lo liberarono di nuovo

 

Il corpo trasparente che gioca

Guardiamo per prima la scena di Keiichi, il ragazzo affetto da sindrome di Down che Nakajima definisce senza mezzi termini “un genio”, un veterano che frequenta il corso di Nakajima da ben 16 anni. I lenti movimenti con cui Keiichi faceva volare in ogni direzione una grande farfalla, creata dallo scenografo Kei Kato con un tessuto sottile come l’aria teso tra due bastoni sottili, sembravano voler realizzare il suo desiderio impossibile di liberarsi in volo dal suo essere menomato e commossero profondamente il pubblico, che lo applaudì a lungo. Come dice la stessa Nakajima, i disabili mentali spesso riescono a esprimere attraverso il loro corpo in modo naturale e diretto ciò che provano perché non hanno barriere tra la coscienza di sé e l’inconscio, ma in effetti in questa scena la mente (immaginazione) di Keiichi e il suo corpo sembravano perfettamente collegati. È esattamente lo stato che Nakajima definisce una vera danza. Ed è uno stato che un danzatore o un attore non disabili riescono a raggiungere solo dopo un duro lavoro. Infatti, nello stesso spettacolo l’unica che riuscì a danzare in questo stato fu Nakajima stessa.

In un assolo, Nakajima interpreta una misteriosa donna dalla cui testa pendono diverse campanelle in vetro. Sembra una bambina e una anziana allo stesso tempo. E questa bambina-anziana dà l’impressione di abbracciare nei suoni emessi i ricordi dei giorni tanto amati, o di tramutarsi lei stessa in una vecchia campanella.

 

In un altro, lei gioca con un lungo cordone rosso che sembra rappresentare il sangue o la vita stessa di una donna. E anche qui, mi sembrava di vedere sul corpo di Nakajima una bambina e una donna anziana che si guardano divertite dalle due estremità di questa corda lunghissima. Entrambe le scene sono state di grande suggestione poetica. Nel suo ultimo assolo, Nakajima appare avvolta in una grande stoffa bianca da cui gradualmente emerge per poi lasciarla appallottolata sul palco come se offrisse in sacrificio il suo amato bambino o la propria vita. È una danza di liberazione dai legami terreni in cui ci si spoglia dell’ultimo abito di attaccamento. Il pubblico rimane per un istante ammutolito dalla sua bellezza.

 

Ebbene, nella danza di Keiichi c’era una qualità paragonabile a quella degli assoli di Nakajima. Entrambi erano liberi dalla loro inutile coscienza di sé. Il loro corpo, collegato con grande purezza alla mente molto giocosa, diventava “trasparente” affinché sentimenti e visioni venissero proiettati fuori, senza alcun filtro, nitidamente. Le loro danze sembravano indicare poeticamente l’esistenza di “un’altra repubblica”, dove tutti possano risplendere ugualmente al di là delle differenze tra abilità e disabilità.

 

Da sinistra: da Un’altra repubblica, la scena in cui Keiichi danza come se sognasse di volare; Nakajima, nel ruolo di una bambina-anziana, ascoltando i suoni abbraccia i propri ricordi

 

La scena come un modello sociale, dove i deboli trovano possibilità di esprimersi

Come spesso accade con i ragazzi autistici, Yoshimori vagava sempre in giro per la palestra durante le lezioni, come se questo camminare apparentemente senza scopo gli procurasse un senso di pace. Nakajima ha posizionato questo suo camminare at random al centro della coreografia di una scena e senza mai bloccare Yoshimori ha diretto piuttosto gli altri danzatori non disabili a seguire i suoi movimenti o creare contrasti con essi attraverso movimenti minimalisti, rettilinei e ripetitivi. L’approccio di questa coreografia, che incorpora in sé l’esistenza di un ragazzo autistico senza mai sopprimere né correggere il suo modo di essere, può essere interpretato come un modello ideale di ristrutturazione sociale basata sui deboli come criterio.

 

 

Collegamento sotterraneo con il Butoh

La scena che ha stimolato più profondamente la mia riflessione è stata, tuttavia, quella interpretata da Taira. Taira ha la disabilità fisica più grave tra i tre. Senza aiuto non riesce a stare in piedi da solo. In scena, si siede per terra al centro del palcoscenico con le gambe incrociate, muove le mani, lo sguardo, e si muove leggermente sempre in quella posizione. Nel suo straordinario senso di presenza, che è all’opposto dell’estetica della danza classica occidentale, Nakajima riconosce l’essenza del Butoh o del Pyong Sing Chum interpretato da Kong Ok Jin, grande maestra del Pansori, l’arte scenica coreana tradizionale, con la quale la stessa Nakajima ha studiato. “Il corpo non artistico”, non consono all’estetica ufficiale della danza, che Hijikata perseguiva a livello di espressione ispirandosi ai corpi dei contadini della campagna o dei disabili, è lì, presente nel corpo reale di Taira.

 

A proposito di questa parentela tra l’essenza cercata da Tatsumi Hijikata e la danza dei disabili, Nakajima confessa che “se fosse ancora in vita Hijikata, avrebbe capito meglio di chiunque altro il significato di questo lavoro”. In altre parole, si potrebbe forse dire che lo spirito del movimento nato assieme al Butoh e all’Angura (un teatro underground giapponese degli anni ’60-70), costretto a scorrere per lunghi anni come una corrente sotterranea, sta riemergendo oggi sul palcoscenico attraverso i corpi dei disabili. Anzi, guardare oggi il corpo di Taira ci aiuta a capire che i temi del Butoh non erano solo la questione particolare del Giappone, ma una questione fondamentale che riguarda il paradigma della mente e del corpo nel mondo moderno.

 

Da Un’altra repubblica. Taira, con la sua presenza quasi immobile ma di grandissimo impatto

 

Palcoscenici con i disabili per liberarci dall’anatema del dualismo mente-corpo

Una invasione di corpi reali e speciali sui palcoscenici, come nella danza di Taira, ha cominciato a essere molto visibile anche sulle scene europee della danza e del teatro intorno alla fine del XX secolo. Il lavoro del regista italiano Pippo Delbono ne è un tipico esempio. In una scena del suo famoso spettacolo Barboni, Bobo, un attore microcefalo e totalmente sordo, interpreta assieme a Pippo una meravigliosa scena di Aspettando Godot. La vita reale di loro due che vivono insieme si sovrapponeva alla storia dei due personaggi beckettiani e una verità semplice ma essenziale, “un uomo non può vivere da solo”, veniva a galla colpendo il cuore del pubblico. Qualcosa stava cambiando. Opere con “corpi non artistici” cominciavano a essere riconosciute come “opere artistiche” regalando forti emozioni al grande pubblico.

 

Sotto il paradigma del rapporto tra il corpo e la mente secondo il dualismo mente-corpo accettato sin dai tempi di Cartesio nel Seicento, il corpo è stato sempre considerato come una macchina e soprattutto assoggettato alla valutazione omologata di abilità basata sulla “disciplina”, soprattutto a partire dal Settecento, come ha insegnato Foucault. Anche la danza classica occidentale è stata elaborata sotto la stessa ideologia. Mentre il corpo veniva altamente allenato all’interno dell’educazione vincolata dalla tecnica, la mente e il corpo venivano separati ulteriormente, e il corpo a cui non veniva più riconosciuta spiritualità né sacralità viene tuttora esposto allo sguardo violento della scienza in quanto materia naturale da sfruttare. Anche lo sguardo “scientifico”, che discrimina come “inferiori” le persone portatrici di handicap fisici o mentali, appartiene allo stesso paradigma della Modernità occidentale, e neanche le numerose ricerche delle arti sceniche del XX secolo ci hanno ancora sufficientemente liberato da questo anatema. In realtà, anche le ricerche del Butoh erano anch’esse tentativi di liberare la nostra mente e il nostro corpo da questo anatema. Purtroppo la loro innovazione, lungi dall’essere accettata dalla società degli anni ’60-70, fu oppressa e solo la stravaganza della loro nudità totale dipinta di bianco veniva sottolineata, finendo per diventare addirittura un’estetica autoritaria.

 

Agli inizi di questo secolo, però, la possibilità di “liberarci da questo anatema”, che fu il tema originale del Butoh, diventa più realistica attraverso le ricerche espressive che artisti come Nakajima o Delbono realizzano con i disabili in quanto possessori di fisicità speciali (corpi non artistici). Il problema fondamentale del dualismo mente-corpo, che ha assoggettato la Modernità da circa quattro secoli, si sta sciogliendo sorprendentemente sulle scene dei performer disabili. Anche perché oggi non esiste più l’oppressione di un tempo. Il clamoroso successo internazionale di Barboni o la nascita di un’opera come Un’altra repubblica sono sintomi che il cambiamento storico del paradigma mente-corpo sta per aver luogo per davvero. Naturalmente il mondo non può rovesciarsi in breve, la strada è ancora lunga. È però certo che oggi il terreno del cambiamento viene lentamente ma costantemente coltivato attraverso piccoli “campi di gioco”, come “Il corso per la Mente e per il Corpo” di Natsu Nakajima.

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