“Mamma se tu vuoi che io la odio, la odio” / Fanatismi al femminile

4 Giugno 2017

In un’epoca fanatica di guerre e odi sembriamo non tollerare più neppure l’ambivalenza dei legami intimi e privati. “Non si fanno mai cattiverie che per il bene di qualcuno”, sostiene Lacan e poi aggiunge: “Salvo che si fallisce.” Dal punto di vista psicoanalitico la cattiveria è, dunque, un atto mancato. La versione femminile della cattiveria non fa eccezione: quando si è assolutamente certe di fare il bene dell’altro facilmente lo si danneggia. Il movente di Medea, come quello delle madri infanticide è precisamente salvare il figlio da un male, dalla follia – la stessa che le possiede – o da un pericolo, ad esempio un marito che avendo fatto del male a lei “non potrà che farne ai suoi figli”. L’assoluta e fanatica proprietà dei figli impedisce di pensare che essi hanno una storia diversa, separata, e quindi un altro destino.

La cattiveria è legata al fanatismo: si pensa di conoscere meglio dell’altro qual è il suo bene. Scrive Amos Oz: “Il fanatico si preoccupa assai di te. Il fanatico è più interessato a te che a se stesso”.

 

La relazione tra fanatismo e femminilità è poco frequentata; più spesso quel tratto è declinato al maschile sotto la forma di terrorismo politico o di intransigenza religiosa. Credere di essere la sola a sapere infallibilmente qual è il bene del bambino è la forma del fanatismo materno.

Il fanatismo femminile è temibile e particolarmente occulto, strisciante, ammantato com’è di bontà e virtù: esso rovescia l’estrema cura in omicidio, la dedizione in distruzione, la troppa seduzione in assoggettamento. Joyce Carol Oates ha scritto una mirabile raccolta di racconti, La femmina della specie, in cui l’eccesso di virtù femminili porta a esiti nefasti: la sollecita cura dell'infermiera che diventa assassina per compiere un “atto di misericordia” verso i malati; o la donna che seduce un uomo – reso muto da una coltellata materna quindi impossibilitato a denunciarla – per fargli uccidere il padre di suo figlio che non la vuole più; o come la perversa "fedeltà" al padre nella figlia che, per troppo amore, diventa prostituta e tagliagole, all’insaputa del genitore. La Oates è una scrittrice ruvida, non cattura su corde consuete, conosce la sofferenza e la crudeltà della virtù femminile e non fa sconti. Racconta dell’attrazione femminile per l’arcaico e dell’inferno che possono essere i mondi popolati unicamente da donne.

 

 

Il corpo della bambina è uno dei luoghi privilegiati in cui, ad esempio, una madre può condurre la sua battaglia contro la matrigna: se il corpo della figlia è vissuto come una sua proprietà, la scelta di uno stile di abbigliamento o di un nuovo taglio di capelli della figlia può essere sentito dalla madre come un tradimento, soprattutto se il cambiamento della ragazza ricorda un tratto “ereditato” dalla matrigna. Camilla, una matrigna che ingenuamente ha osato tagliare di mezzo centimetro la frangia della figliastrina perché la bimba si lamentava che le dava fastidio agli occhi, è venuta a sapere che la madre ha portato l’episodio in tribunale. “Mamma se tu vuoi che io la odio, la odio”, dice il bambino alla madre parlando della matrigna, nel film Stepmother che, pur edulcorato e buonista, mostra, con questa battuta, quanto i bambini si possono rendere complici del fanatismo di una madre gelosa.

Il fanatismo femminile si annida nell’idea di perfezione, ed è un altro modo di declinare il godimento dell’Uno, dell’indifferenziato che presenta anche un lato totalitario: “un solo popolo, un solo leader, un solo pensiero; movimento verso l’Uno di cui la storia ha, in ogni occasione, confermato la forza di distruzione.”

 

Coraline è una bambina, protagonista di una favola cinematografica piuttosto apprezzata anche dagli adulti. Le bambine soprattutto sono attratte e spaventate da questa storia e domandano di rivederla spesso. Coraline ha undici anni e vive con i suoi indaffarati genitori in una casa sinistra, grande e sporca, dal frigo vuoto, con una madre sempre al computer, che non dà troppo retta alla figlia, che non cucina e un padre che cucina solo cose troppo sane e insipide. Il giardino che circonda la casa è desolato e piove sempre. Una notte, esplorando la casa, Coraline trova una porticina e un tunnel che la conduce in una casa identica ma impeccabilmente pulita e dal giardino ordinato, pieno di fiori colorati. Anche i genitori sono identici solo che la madre si interessa moltissimo alla bambina, cucina cose buonissime per la figlia e il padre compone canzoni per lei. Le due madri, uguali d’aspetto, si distinguono in una madre distratta dal lavoro e una madre perfetta, che si occupa solo di Coraline e della casa e che, come dichiara, vuole solo amarla ed esserne amata. La madre perfetta ha un unico inquietante dettaglio: degli strani bottoni al posto degli occhi che ne rivelano la disumanità. La manipolazione non tarda, infatti, a manifestarsi: non appena vede la bimba soddisfatta dall’essere rimpinzata di cibo e attenzioni, vuole cucirle dei bottoni al posto degli occhi, esattamente come i suoi, perché veda il mondo come lo vede lei. La resistenza ostinata di Coraline a non farsi cucire i bottoni fa sì che, nell’avanzare della storia, la coppia di genitori perfetti mostra pian piano la sua vera natura: crudele e persecutrice la madre, succube di lei il padre.

 

Fotogramma tratto da Coraline e la porta magica (2009). 

 

Come spiegare meglio ai bambini che la madre perfetta è pericolosissima? Il padre succube dice a Coraline “non voglio farti del male è la Madre che lo vuole”: anche lui è ostaggio della Madre impeccabile. Coraline è una favola che sostiene la madre imperfetta, impegnata in un lavoro e che non sta addosso alla figlia. Nel contempo, rivela il mostro invadente dietro la madre perfetta che si trasforma, alla fine del film, in una mano scheletrica, mortifera, che afferra la bambina la quale, dapprima ipnotizzata e soggiogata, non ne vuole più sapere della madre troppo devota. La mano della madre perfetta, con cui la figlia lotta alla fine del film, rappresenta la presa di quelle madri che non mollano le figlie, le controllano instancabilmente e non sanno separarsi da loro. Con uno stratagemma Coraline farà cadere la mano nel pozzo: le farà afferrare il vuoto in una sorta di una messa in scena, qui salvifica, del fantasma anoressico, in cui la ragazza si fa essa stessa vuoto, assenza del corpo, per non essere afferrata da una madre fanatica e divorante.

 

A volte la letteratura ha il dono di isolare i temi come in un laboratorio e di creare una finzione che non raramente è un distillato della loro verità. Il romanzo La pianista di Elfriede Jelinek racconta di una donna che la madre aveva fanaticamente e meticolosamente forgiato, fin da piccola, per farla divenire una pianista, sorvegliandola di continuo e smorzando ogni suo entusiasmo per ciò che era la vita all’infuori dello studio della musica, rendendola una donna fredda e dura. A quarant’anni vive ancora con la madre – il suo Uno –, è insegnante al Conservatorio di Vienna ed è corteggiata da un suo giovane allievo. Una magica sera i due musicisti si esibiscono insieme in una sintonia di mani e corpi. Qualcosa è accaduto tra loro con il medium della musica; al termine del concerto, lui accompagna per un tratto le due donne sperando di poter restare solo con la sua insegnante, ma la madre, come un amante geloso, li sorveglia da vicino e resta attaccata alla figlia. La pianista è attratta dal giovane e talentuoso studente, tuttavia al tempo stesso non vede l’ora che il ragazzo si dilegui per tornare a casa, rannicchiarsi nella sua poltrona preferita insieme alla madre nel loro salotto-utero, immutabile negli anni, e commentare insieme, solo loro due, il concerto appena terminato.

 

Questa brava figlia nel frattempo ha però sviluppato una perversione voyeuristica: segue nei boschi le coppiette e ne spia l’amore che non le è concesso provare. Una sera, essendo tornata un po’ troppo tardi da una di queste uscite, prevede che la madre “urlerà, farà una tremenda scenata di gelosia. Ci vorrà del tempo prima che si riconcili con lei. La figlia, dal canto suo, dovrà renderle una dozzina di servigi d’amore altamente specializzati [...]. Come potrebbe mai riuscire ad addormentarsi temendo di venir risvegliata subito dopo dalla figlia, che si issa sul letto matrimoniale per occupare la propria metà?”. Madre e figlia condividono oscenamente lo stesso letto. Quando, infine, la pianista si concederà allo studente innamorato, stilerà per lui delle regole di rapporto ispirate alla perversione sado-masochista che si è instaurata, a livello psichico, tra lei e la madre. Il ragazzo è l’occasione che il mondo le offre e che viene persa perché il giovane non è vissuto come incontro con l’alterità, ma portato dentro la perversione che le è familiare, assimilato a quella. Da parte sua, lui, che dapprima ha cercato nella donna un amore ideale, finisce per prestarsi al gioco, umiliandola in un’apoteosi di perversioni richieste dalla stessa insegnante, in una strabiliante performance da studente modello al termine della quale, però, abbandonerà la donna. A seguito di questa delusione, lei si ferirà con un coltello, vagando sanguinante e delirante per le strade di Vienna. 

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